Il futuro sarà dei curiosi di professione

Carlo Ratti durante la sua prima lezione da visiting professor al Politecnico di Milano
Carlo Ratti durante la sua prima lezione da visiting professor al Politecnico di Milano

Abbiamo incontrato Carlo Ratti, in occasione della prima lezione del suo corso da visiting professor presso il Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito (ABC) del Politecnico di Milano dal titolo: Strategic vision for the building Engineering for the future.
Gli studenti italiani e stranieri, che lo hanno accolto in un’aula gremita e attenta, sapevano di avere davanti un guru delle città del futuro, dalla mente fervida e curiosa.

Architetto e ingegnere che ha fondato lo studio CRA, a Torino e New York, e dirige il Senseable City Lab presso il MIT di Boston, in questa intervista Ratti ci racconta in modo coinvolgente e originale la sua visione di città contemporanea, l’ibridazione fra naturale e artificiale, l’importanza dei Big data come strumento per interpretare la città e i suoi bisogni.

L’INCONTRO

Quali i temi che affronterà durante le sue lezioni, che vedranno la collaborazione degli studenti del Politecnico di Milano con i colleghi del MIT Senseable City Lab?

Durante il corso approfondiremo i principali temi della città contemporanea, in particolare il modo in cui le tecnologie dei dati stanno dando forma a nuovi modi di interpretare e progettare la città. Ne parleremo attraverso le ricerche che abbiamo condotto con il MIT Senseable City Lab. Attingeremo dalle scienze computazionali per comprendere come adottare un approccio all’analisi urbana basato sui dati. Un aspetto interessante è appunto che il corso sarà tenuto in inglese in contemporanea a Milano e Boston, a cavallo tra Politecnico di Milano e MIT.

Qual è la sua definizione di architettura? Di città?

Nei suoi “Kleine Schriften”, l’architetto e critico tedesco Gottfried Semper diceva che l’architettura è “un complesso con un carattere individuale, ma che nello stesso tempo sia in armonia con se stesso e con l’ambiente”. Questa armonia può essere interpretata in molti modi. Forse il più rilevante è quello di un nuovo equilibrio – o addirittura una doppia convergenza – tra i poli del naturale e dell’artificiale. Da un lato il digitale – con sensori, attuatori e intelligenza artificiale – ci consente per così dire di “animare l’artificiale”, per esempio facendo sì che gli edifici diventino responsivi e capaci di adattarsi in tempo reale all’ambiente circostante. Dall’altro, sono sempre più numerosi i progetti che incorporano al loro interno veri e propri pezzi di natura: non soltanto specie vegetali, ma anche materiali di origine organica con i quali realizzare progetti autenticamente circolari.

Alla luce della pandemia, da cui stiamo faticosamente uscendo, come dobbiamo ripensare le nostre case, i nostri uffici, la mobilità urbana, le università?

Sono convinto che le città stiano già ritrovando il loro slancio vitale, come d’altronde è successo negli ultimi secoli a seguito di pandemie persino più devastanti del Covid-19. Tuttavia, credo che la crisi sanitaria abbia avuto un effetto importante sui nostri centri urbani: processi di innovazione che avrebbero impiegato anni per essere implementati hanno subito un’accelerazione in pochi mesi. Molte città hanno avviato esperimenti coraggiosi nei modi di gestire la mobilità sostenibile o la gestione degli spazi pubblici. Mantenere questo slancio sarà un obiettivo per la ripresa dei prossimi mesi e anni.

Il suo lavoro è sempre stato all’avanguardia nel campo delle Smart cities, che cambiamenti dobbiamo aspettarci nei prossimi anni?

Non mi piace l’etichetta “smart city”, che dà l’impressione di una tecnologia intesa come mero accidente tecnologico. Mi piace invece l’idea di “senseable city”, che cerca di unire la capacità di “sentire” che è propria dei sensori digitali al “sentire” più propriamente umano, inteso come capacità di ascolto e di integrazione dei bisogni dei cittadini nella costruzione della città.

Progetto per la Biennale di Design di Porto, in Portogallo flows@MIT Senseable City Lab
Progetto per la Biennale di Design di Porto, in Portogallo flows@MIT Senseable City Lab
Che ruolo giocano i big Data nella progettazione degli spazi urbani?

Un ruolo importante. Le tecnologie digitali hanno trasformato radicalmente molti aspetti della nostra vita negli ultimi due decenni: dal modo in cui lavoriamo, a quello in cui comunichiamo, ci spostiamo e ci incontriamo. In maniera simile, oggi siamo agli esordi di una nuova rivoluzione: Internet sta entrando nello spazio fisico – lo spazio delle nostre città, in primo luogo – e si sta trasformando nel cosiddetto “Internet of Things”, l’Internet delle cose, portando con sé nuovi modi in cui interpretare, progettare e abitare l’ambiente urbano. Un’era in cui la tecnologia è così radicata nello spazio che abitiamo da potere finalmente “recedere sullo sfondo delle nostre vite”, elemento onnipresente, ma discreto. Da qui l’importanza dei dati come strumento per interpretare la città e i suoi bisogni. In uno dei nostri progetti più recenti sviluppati con il MIT Senseable City Lab per la Biennale di Design di Porto, in Portogallo, abbiamo usato i tweet geolocalizzati e i dati anonimi provenienti dai cellulari di decine di migliaia di persone per provare a mappare le nuove forme della segregazione sociale: quelli che con il sociologo Richard Sennett abbiamo chiamato “ghetti liminali”. Tali risultati possono aiutarci a identificare da dove dovrebbero iniziare gli interventi per rendere le nostre città più diverse e inclusive.

Come possiamo ripensare le nostre città e le nostre case nella prospettiva di un’economia circolare?

Come dicevamo, oggi stiamo assistendo a una crescente integrazione tra naturale e artificiale. Compito dei progettisti, io credo, è accelerare questa convergenza, partendo proprio da un’architettura in cui tutto sia riciclabile o riusabile (come avviene in natura). E’ quello che abbiamo cercato di fare insieme a Italo Rota, Matteo Gatto e FM Ingegneria al Padiglione Italia presso l’Expo di Dubai.


CRA_TrussardiDehors_GreenRoof
CRA_TrussardiDehors_GreenRoof
Le big cities come Milano riusciranno a essere ancora attrattive? Ci cita qualche esempio virtuoso di città nel mondo?

In quanto ad attrattività, non ho dubbio che le grandi città, con la loro vitalità e la loro offerta di anonimato, continueranno ad attrarre persone da tutto il mondo. Allo stesso tempo, continueranno a esistere anche le città piccole, come anche insediamenti rurali scarsamente popolati. Rispetto agli scenari distopici di chi predica, a seconda della stagione, o la morte delle metropoli e il ritorno ai borghi, o la crisi dei centri minori fagocitati dalle grandi città, un solido aggancio alla realtà ci è dato dalla cosiddetta “legge di Zipf”. George Zipf era un linguista che lavorava ad Harvard nella prima metà del XX secolo. Applicata alle città, la sua legge afferma che il rapporto tra città grandi e piccole rimarrà costante, e anzi che segue una distribuzione matematica. Certo, le grandi città del futuro potrebbero essere più grandi di quelle in cui viviamo ora, ma questo non significa che le piccole città scompariranno o che il rapporto tra città di dimensioni diverse cambierà.

La città dei 15 minuti è realizzabile?

Dopo la crisi del modernismo monofunzionale del dopoguerra, gli urbanisti e i designer hanno cercato di iniettare diversità nei quartieri. Ecco perché trovo il concetto di “città di 15 minuti”, concepito dal mio amico Carlos Moreno, promettente. In ogni quartiere di 15 minuti, uffici, parchi, scuole e negozi potrebbero essere accessibili a tutti senza usare l’auto. Esistono ovviamente aspetti critici da affrontare, ma in generale, da un punto di vista sociale, queste piccole sottounità sono molto più gestibili e favoriscono anche la costruzione di comunità. I progetti che abbracciano questo approccio stanno prendendo il via in tutto il mondo. Con il nostro studio CRA, ne abbiamo sviluppato uno proprio a Milano: parliamo di Parco Romana, il masterplan che abbiamo sviluppato insieme a OUTCOMIST, DS+R, PLP Architecture e Arup per trasformare l’area dell’ex scalo di Porta Romana in un quartiere residenziale e vasta area verde che riconnetta il centro di Milano con la parte sud della città.

Nella progettazione del padiglione Italia per Expo 2020 Dubai con Italo Rota la sua ricerca è stata volta a esplorare il rapporto tra Naturale e Artificiale, in una dimensione di ibridazione. In che modo l’avete realizzato?

Innanzitutto ci siamo chiesti in che modo potessimo fare di questo Padiglione un’architettura riconfigurabile e circolare, che non venga dismessa al termine di Expo, come spesso accade dopo grande eventi temporanei. Da qui l’idea di un edificio che presenta una facciata multimediale realizzata utilizzando due milioni di bottiglie di plastica riciclata. Fa inoltre uso di innovativi materiali da costruzione – dalle alghe ai fondi di caffè, dalle bucce d’arancia alla sabbia – e impiega un avanzato sistema di mitigazione del clima alternativo all’aria condizionata. Anche la struttura stessa dell’edificio esplora il tema del riuso: il padiglione incorpora nella sua copertura tre scafi di navi a grandezza naturale, i quali potrebbero potenzialmente navigare al termine dell’evento.

Assistiamo a una sempre maggiore integrazione del verde negli spazi urbani, ce lo ha dimostrato anche lei con il Digital Water Pavilion progettato per l’Expo 2008 di Saragoza dove dava un’interpretazione fluida dell’architettura con la sua cortina d’acqua che accoglieva i visitatori, o con il progetto della cupola verde verticale in piazza della Scala a Milano per la Maison Trussardi. Come riesce a trovare il giusto equilibrio?

L’intersezione tra il mondo naturale e quello artificiale è il campo di sperimentazione che ispira gran parte del nostro lavoro a CRA – Carlo Ratti Associati. Un progetto recente è la casa di Francesco Mutti a Montechiarugolo, vicino Parma, progettata insieme a Italo Rota. L’edificio si snoda intorno a un ficus alto circa dieci metri, attorno al quale sono organizzati su molteplici livelli tutti gli ambienti domestici. Si tratta di uno di tanti esempi di come a CRA ricerchiamo modi diversi di fondere architettura, elementi naturali e soluzioni tecnologiche.

I vostri progetti di mitigazione climatica che risultati hanno raggiunto e come potrebbero essere ridotti i consumi energetici nei nostri edifici grazie ai vostri studi?

I campi di ricerca sono molteplici. Uno dei punti di partenza è stato il fatto che molta energia sia sprecata per il riscaldamento e il raffrescamento di grandi spazi vuoti – qui il riferimento a un nostro articolo scientifico di qualche anno fa. A partire da questa analisi, abbiamo cercato di ridurre questa asimmetria sincronizzando la presenza umana al controllo climatico. Ne sono nati dapprima due prototipi – Local Warming, presentato alla scorsa Biennale di Venezia e CloudCast, installato per la prima volta a Dubai. Queste idee sono poi confluite nel progetto per Fondazione Agnelli, a Torino, un edificio dotato di un sistema di controllo degli spazi. La ricerca è proseguita anche con la torre CapitaSpring, che sarà inaugurato tra pochi mesi a Singapore. Qui sarà possibile lavorare nel mezzo di una foresta tropicale sospesa nel mezzo del grattacielo, proprio grazie a sistemi di climate mitigation molto sofisticati. Insomma, grazie ai Big Data e al digitale possiamo monitorare i consumi energetici, modificarli in tempo reale sulla base delle esigenze degli utenti, e creare nuovi spazi di lavoro che ci avvicinino alla natura.

Capita Spring Green Oasis (Photo: RENDY ARYANTO/VVS.sg)

Capita Spring Green Oasis (Photo: RENDY ARYANTO/VVS.sg)
Lei che ha una formazione così poliedrica che consigli darebbe a un giovane architetto?

C’è una scena per me significativa del film “Jules et Jim” di Truffaut. Quella in cui Jim racconta il dialogo con il suo professore Albert Sorel: “Mais alors, que dois-je devenir ?” — “Un Curieux.” — “Ce n’est pas un métier.” — “Ce n’est pas encore un métier. Voyagez, écrivez, traduisez…, apprenez à vivre partout. Commencez tout de suite. L’avenir est aux curieux de profession.” Ecco, “Viaggiate, scrivete, traducete, imparate a vivere dovunque, e cominciate subito. Il futuro sarà dei curiosi di professione”. Questo è il mio consiglio.

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