La pandemia da Covid-19 ha acceso i riflettori sullo stato della sanità mondiale e su come dobbiamo prepararci nel prossimo futuro alla diffusione di virus finora sconosciuti. Un ruolo importante nella gestione della salute di tutte e tutti è senz’altro quello degli ospedali che hanno bisogno di innovarsi per rispondere al meglio alle nuove sfide, una su tutte l’invecchiamento della popolazione globale.
Il Design & Health Lab del Dipartimento di Architettura, ingegneria delle costruzioni e ambiente costruito (DABC) del Politecnico di Milano concentra la propria ricerca proprio su questi temi, riuscendo a elaborare indicatori e linee guida adottate anche in un documento dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ce ne parla il ricercatore Andrea Brambilla che si è interessato all’architettura ospedaliera fin dalla tesi magistrale con un progetto di Alta Scuola Politecnica con il professor Stefano Capolongo per poi proseguire la sua ricerca sempre al Politecnico.
“Dopo la laurea sono stato consulente di un progetto di Fondazione Politecnico e EY sull’organizzazione degli ospedali e contemporaneamente seguivo un master in progettazione ospedaliera – racconta il ricercatore- Ho avuto modo di visitare gli ospedali della Lombardia e valutarne le performance organizzative, le cartelle cliniche, aspetti che apparentemente non c’entravano con l’architettura. Ogni giorno mi chiedevo come mai tra tutti i parametri di valutazione delle performance delle strutture non ce ne fosse uno legato allo spazio che i pazienti e lo staff vivevano.
Forse è stato questo il momento in cui ho accolto la possibilità di fare il dottorato sul tema della valutazione dell’architettura ospedaliera. Per la prima volta abbiamo ragionato su quali fossero gli elementi misurabili dell’architettura per poter realizzare un ospedale migliore, più bello, più efficiente, più sostenibile, più digitale.
Durante il percorso di dottorato al Politecnico di Milano e alla Chalmers University of Technology in Svezia, grazie ad un Grant Idea League, ho avuto la possibilità di confrontarmi con una realtà all’avanguardia su questi aspetti, con un approccio multidisciplinare. Alla Chalmers insegnava il primo ricercatore di questi temi, Roger Ulrich. Lui è un medico (non un architetto) che negli anni Ottanta ha condotto un esperimento, dividendo un gruppo di pazienti in due sottogruppi: il primo ricoverato in una stanza dove la finestra dava su altre costruzioni, il secondo aveva una vista sul verde. È emerso che, a parità di condizioni, i pazienti del secondo gruppo avevano un tempo di recupero molto più rapido, meno medicazioni e meno stress. Questo studio è alla base delle ricerche di Evidence-Based Design, la progettazione di architetture per la salute basate su evidenze scientifiche e misurabili.
Andrea Brambilla
Il mio tema di ricerca è quello della valutazione dell’architettura e della sostenibilità degli ospedali, in termini non soltanto ambientali, ma anche sociali e organizzativi. Sono partito da uno strumento di mappatura delle performance già esistente, sviluppato dal gruppo di ricerca dove lavoro al Politecnico, l’ho implementato in termini di sostenibilità di un’organizzazione ospedaliera. L’ho “calibrato” con esperti di metodologia di analisi multi-criteriale e testato su alcuni casi per verificarne il funzionamento. Questo tool può fornire al Direttore Generale una visione olistica e oggettiva sulla sostenibilità della struttura e sul dove investire per migliorare le performance: un approccio che in sanità si usa regolarmente per scegliere le attrezzature o per il personale. Lo strumento è alla base di uno spin-off che stiamo lanciando, grazie ad un partner commerciale.
L’obiettivo di un ospedale è curare meglio i pazienti: anche lo spazio fisico può contribuire alla causa.
Il tuo dottorato ha coinciso con un grande periodo di stress per gli ospedali, quello della pandemia di SARS Covid-19. Che lezione hai imparato sul campo?
«In quel periodo gli ospedali cambiavano di giorno in giorno: ho compreso l’importanza del concetto di flessibilità applicato all’ospedale e alla ricerca.
Gli ospedali cambiano non solo con le pandemie, ma come tutte le “architetture sociali”, per i cambiamenti della società, più lenti e meno palpabili. Basti pensare che con l’invecchiamento demografico saranno un luogo prevalentemente abitato da anziani o al tema del cambiamento climatico. L’architettura e la progettazione devono cambiare di conseguenza: questa è la lezione più importante che ho appreso.
Lo spazio dell’ospedale è importante non solo per aspetti organizzativi, ma anche per quegli aspetti legati alle infezioni. Bisogna infatti mitigare il rischio di contrarre le famose infezioni correlate all’assistenza».
La pandemia ha portato alla ribalta anche il tema della sanità territoriale. Cosa hai dedotto dalle tue ricerche su questo argomento?
«All’interno del gruppo di ricerca ci siamo occupati anche di redigere le linee guida per Agenas – l’Agenzia Nazionale per i servizi sanitari Regionali – che ha emanato le indicazioni per la progettazione di case di comunità, ospedali di comunità e centrali operative territoriali. Alcune regioni prima della pandemia erano più avanti di altre con un’attenzione diversa al tema del territorio.
In altri paesi si stavano già sviluppando strutture più bassa intensità dove poter ospitare i servizi di livello ‘low care’ adattati ai contesti sociali e alle caratteristiche socio demografiche ed epidemiologiche del territorio. L’ospedale non è un organismo unico, ma è parte di un sistema».
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha presentato a Baku (Azerbaijan) le nuove raccomandazioni progettuali per i nuovi ospedali che verranno realizzati nella Regione Europea, frutto di accordo di ricerca con il Politecnico di Milano. Il documento ‘Hospitals of the future’ è stato curato dal tuo laboratorio e tu sei tra gli autori. Come lo avete sviluppato? Avete aggiunto qualcosa in più alle ricerche precedenti?
«Il lavoro è frutto dei monitoraggi lanciati durante il Covid-19. Come dipartimento curavamo l’ “osservatorio” sugli Ospedali Resilienti e io ero nel gruppo di ricerca che aveva redatto un decalogo di strategie per gli ospedali “post Covid”. L’OMS ci ha chiesto di fare un passo in più: guardare davvero al futuro – non solo post pandemico – e mettere nero su bianco per la Regione Europea come sono cambiate le esigenze ospedaliere, una grande sfida per noi.
Le raccomandazioni sono state divise in macroaree, da una parte guardiamo l’ospedale rispetto all’esterno, al contesto, per cui i temi della localizzazione, delle relazioni con il territorio, con la rete della sanità territoriale, gli spazi verdi, l’accessibilità, i trasporti.
Il secondo capitolo guarda all’interno dell’ospedale, quali caratteristiche deve avere: dalla flessibilità alla possibilità di gestire i rischi e le infezioni, al comfort degli utenti. Abbiamo puntato molto sul tema delle camere singole, della sostenibilità e della sicurezza perché erano un po’ i temi chiave anche a livello di politica europea, soprattutto per quegli Stati non ancora membri dell’UE ma affini geograficamente. L’ultima parte pone l’accento proprio sui temi della misurabilità delle linee guida, suggerendo degli strumenti per aiutare i progettisti a gestire il processo e non solo il progetto come un insieme di parole chiave.
Il technical brief è stato letto e adottato da moltissimi enti a livello europeo e tanti hanno iniziato a chiedere un supporto per applicarlo. La prima esperienza è stata in Moldavia, dove per un problema di vicinanza e di confine con l’Ucraina, c’è anche un tema di migrazione sanitaria legata alla guerra.
Abbiamo aiutato enti ad applicare queste strategie in un contesto reale, tanto da iniziare un processo di accreditamento a “collaborating center” per l’OMS: tra i centri di ricerca accreditati il Politecnico di Milano potrà essere il primo ente tecnico-scientifico al mondo.
La misurabilità entra in gioco anche nella Joint Research Partnership ‘Healthcare Infrastructures’ (JRP HI) di cui il Dipartimento ABC è promotore insieme a Fondazione Politecnico, una piattaforma di ricerca nazionale con un grande network di aziende e istituzioni per delineare dei veri e propri requisiti misurabili per gli ospedali.
Questa seconda esperienza è più legata al nostro sistema sanitario (che ha le sue caratteristiche, i suoi limiti, anche normativi): essendo molto regolamentato, l’innovazione va fatta all’interno di alcune regole generali, una sfida difficile ma stimolante».
Ad oggi non esiste a livello nazionale (né europeo) una norma prestazionale aggiornata sugli edifici ospedalieri. UNI – Ente Italiano di Normazione ha recentemente istituito un Gruppo di Lavoro coordinato dal Prof. Stefano Capolongo per la redazione di una Norma Tecnica sulla progettazione ospedaliera, in cui sei coinvolto. Come nasce questo progetto?
«All’interno del JRP uno degli output previsti è quello di una norma UNI per sviluppare un nuovo strumento, di carattere prestazionale, non prescrittivo che stimoli i progettisti professionisti, le aziende, il mondo dell’industria a fare sempre meglio.
Prima di emanare una norma si sviluppa una norma terminologica, in cui si vanno a delineare le definizioni comuni da utilizzare. L’ospedale è un’infrastruttura così complessa e che vede l’interazione di diverse professionalità che ogni ente ha il proprio vocabolario. Per esempio l’idea di ‘reparto’ o “dipartimento” dipende fortemente dal modello organizzativo: progettare un nuovo ospedale sulla base dei reparti attuali e dei relativi posti letto per qualcuno è lo standard, per altri è obsoleto.
Un altro esempio è la terminologia specifica come la flessibilità o lo ‘spazio polmone’: nel lessico comune del progettista è lo spazio che permette un’espansione futura ma spesso viene frainteso con lo spazio verde o con quello dedicato ai gas medicali. Fin dal dottorato questa discrepanza è stata lampante».
Quali sono i progetti per il futuro? Ci sono degli ambiti di ricerca che vorresti sviluppare?
«Sicuramente dopo l’esperienza del Covid m’interessa il tema delle infezioni correlate all’assistenza perché ha un grande impatto clinico sulle persone. Su questo abbiamo anche presentato delle proposte di progetti a livello europeo. Finora le ricerche più solide legate al tema delle infezioni in ambiente fisico ospedaliero le han condotte solo i microbiologi, non gli architetti, perché conoscono bene il tema della trasmissione ma non conoscono il tema degli spazi.
Mi piacerebbe continuare a lavorare sul tema della misurabilità realizzando dei veri e propri mock-up, modelli di stanze ospedaliere da poter modificare, utilizzare, vedere e misurare con la sensoristica e i sistemi di intelligenza artificiale: simulare come al cambiare dello spazio, cambiano determinati parametri e si ottengono determinati risultati. Ci sono dei centri di ricerca che a livello internazionale stanno andando in questa direzione ad esempio in Svizzera, vicino a Berna, si sviluppano delle simulation room.
Il terzo, “sogno”, è accrescere l’accessibilità del dato. Oggi non abbiamo un database o una mappatura affidabile dello stato di conservazione di qualità del nostro patrimonio ospedaliero. Senza una conoscenza puntuale dello stato di fatto però non è possibile ricercare e implementare soluzioni realistiche ed alto impatto per tutto il sistema sanitario nazionale, soprattutto per una infrastruttura così complessa e che cambia costantemente».