I BBPR tra progetto architettonico e antifascismo militante

Quello che vogliamo raccontarvi oggi è l’intreccio tra la storia del sodalizio di quattro alumni politecnici e la Storia, quella con la esse maiuscola.

I BBPR: Gian Luigi Banfi, Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti ed Ernesto Nathan Rogers

Siamo nel 1932. Sfogliando gli annuari dei laureati di quell’anno, troveremmo quattro nomi divenuti in seguito fondamentali per l’architettura italiana. Si tratta di Gian Luigi Banfi, Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Ernesto Nathan Rogers, Enrico Peressutti. Amici fin dai tempi del liceo i primi tre, unitosi al primo anno di università Peressutti.

Nel luglio del 1932 si laureano lavorando alla tesi insieme. Il taglio è prevalentemente accademico, coerente con l’impostazione data alla scuola da Camillo Boito. Quelle rigide prescrizioni fanno affiorare da subito le preferenze dei quattro.

Non potevamo rifiutare i temi nel loro complesso; cercammo però di liberarci almeno dei vincoli stilistici, affrontando la progettazione con un linguaggio assunto dalle prime testimonianze del Movimento Moderno.

Lodovico Barbiano di Belgiojoso

È così che nasce lo Studio BBPR, dalle iniziali dei loro cognomi, in rigoroso ordine alfabetico. Il gruppo aderisce da subito alla lotta per il rinnovamento della cultura architettonica sia nazionale sia internazionale, approfondendo storicamente e criticamente gli apporti delle nuove concezioni operative. Il loro “razionalismo” appare meditato, evita di scadere in equivoci imitativi e manieristici. Dal 1935 diventano membri dei Congressi internazionali di architettura moderna (CIAM). Iniziano inoltre a collaborare con alcune riviste, tra le quali Quadrante e Casabella.

Torre Velasca a Milano (foto di Phillip Wong – CC BY-NC-SA 2.0)

Ma ricordiamo ancora una volta in che anni ci troviamo, perché è impossibile considerare le vicende del gruppo scindendole dalla temperie storica che sta vivendo l’Italia.

Se infatti è netto il rifiuto della retorica e del monumentalismo del regime fascista, non altrettanto netta è la presa di posizione rispetto alle strutture politiche che ne sono alla base. I “BBPR” cercano di condizionare il regime dall’interno, per mezzo di una prassi culturale moderna e progressista. L’onestà dei loro intenti è dimostrata da tutta la loro opera teorica e professionale.

Il precipitare della situazione politica e la guerra segnano però il risveglio dall’illusione. Tra il 1936 e il 1940, tutti i componenti del gruppo passano da una posizione di fronda interna al fascismo ufficiale a una di antifascisti militanti.

L’adesione al regime inizia a essere messa in discussione da Rogers nel 1937, in base alla riflessione per cui «l’architettura della misura umana» non possa coincidere con il fascismo.

Nel 1938 vengono promulgate le prime leggi razziali. Per le sue origini ebraiche, Rogers viene costretto all’anonimato e non può più firmare progetti e articoli. Assieme a Belgiojoso aderisce al movimento antifascista Giustizia e Libertà, dal 1942 al Partito d’Azione e nel 1943, al Comitato di liberazione nazionale. Nello stesso anno, i due vengono arrestati per poche ore sotto l’accusa di attività di propaganda non consentita. Rogers decide quindi per l’esilio in Svizzera.

Gian Luigi Banfi

Nel 1943 anche Banfi si iscrive al Partito d’Azione ed è tra i diffusori clandestini di Italia Libera, fino all’8 settembre: dopo l’armistizio tenta di organizzare a Chiavari una resistenza armata contro i tedeschi. Tornato a Milano, si occupa di stampa clandestina e dell’espatrio verso la Svizzera di gruppi di ebrei tenendosi in contatto con i partigiani della valle d’Intelvi, dove Banfi possiede una villa che diventa centro attivo di resistenza e di smistamento di fuorusciti.

Nel 1944, a seguito di una delazione, Banfi e Belgiojoso vengono arrestati per spionaggio e complotto e detenuti nel carcere di San Vittore per 45 giorni, per poi essere condannati alla deportazione. Per i successivi tre mesi vengono rinchiusi nel campo di Fossoli, per poi essere trasferiti a Mauthausen-Gusen.

Belgiojoso rimane qui fino al 28 aprile 1945, quando passa a Gunskirchen. Viene liberato dalle truppe americane il 4 maggio.

Banfi, invece, era morto a Mauthausen poche settimane prima, il 10 aprile, quando mancava meno di un mese alla resa dei tedeschi.

Pietra d’inciampo davanti alla sede dello studio BBPR in via dei Chiostri 2 a Milano (foto di Christian Michelides, CC BY-SA 4.0)

Dopo la guerra, lo studio BBPR ottiene una vasta considerazione grazie all’attività professionale, didattica ed editoriale dei tre membri sopravvissuti. Alcune loro opere, tra cui la post-razionalista e brutalista Torre Velasca di Milano, hanno un ruolo essenziale nell’architettura del Novecento.

Dagli anni Ottanta in poi, Belgiojoso inizia a rievocare l’esperienza della deportazione in alcuni scritti, accompagnati dai disegni redatti durante la prigionia e subito dopo la liberazione.

«Il campo era solo sofferenza. La sofferenza riempiva ogni spazio, come qualcosa di solido. La si coglieva nel fruscio lento di chi si muoveva trascinandosi, la si riconosceva nella voce e nei gesti, si trasmetteva gli oggetti, ai luoghi, al paesaggio».

Lodovico Barbiano di Belgiojoso

L’architetto continuerà a ricordare quegli eventi attraverso una serie di opere commemorative: il Monumento al Deportato politico e razziale al cimitero monumentale di Milano (1946, con i BBPR), il Memoriale a Mauthausen-Gusen I (1967), il Museo monumento al deportato politico e razziale a Carpi (1973), il Memoriale italiano nel campo di Auschwitz (1979) e il Monumento al deportato a Sesto San Giovanni (1998).

Monumento ai morti in campi di concentramento al Cimitero Monumentale di Milano
(immagine di Flaviam88 – CC BY-SA 4.0)

Oggi, passando davanti al numero 2 di via dei Chiostri a Milano, sede dello studio BBPR dal 1940 al 1998, ci si può imbattere nella pietra di inciampo che ricorda la deportazione e la morte di Gian Luigi Banfi.

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