Il successo della ricerca sta nella sinergia, nella diversità e nella passione per lo studio e alle ragazze dico “Si può fare!”

Paola F. Antonietti, classe 1980, è responsabile del Laboratorio di Modellistica e Calcolo Scientifico MOX del Dipartimento di Matematica e professoressa ordinaria di Analisi Numerica al Politecnico di Milano.
Recentemente ha vinto un ERC SYNERGY GRANT per il progetto NEMESIS. Nel 2015 aveva già ottenuto un finanziamento SIR per giovani ricercatori finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca. Nel 2020 ha ricevuto il Premio “Jacques-Louis Lions”, assegnato ogni due anni dalla European Community on Computational Methods in Applied Sciences (ECCOMAS) a giovani ricercatori con contributi eccezionali nel campo della matematica computazionale.
Nel 2024 presenterà i risultati della sua ricerca in una invited lecture all’ “European Congress of Mathematics”, il secondo evento più grande di matematica al mondo organizzato, ogni quattro anni, dalla European Mathematical Society.

Cominciamo proprio da lei, che studi ha fatto e come è nata la scintilla per la matematica?

Spesso si associa l’immagine del matematico a quella di un individuo un po’ isolato, ma desidero sottolineare che ho avuto un’infanzia del tutto normale!
Sin da piccola ho dimostrato un forte interesse per le materie scientifiche: amavo studiare e ho avuto la fortuna di incontrare una professoressa di matematica e fisica al liceo che mi ha consigliato di iscrivermi al corso di Laurea in Matematica presso l’Università di Pavia, rinomata per la sua eccellenza.
Gli anni della laurea sono stati impegnativi, ma meravigliosi. Mi sono laureata a 23 anni e in quel momento ho realizzato quanto amassi lo studio. Ho quindi proseguito con il dottorato di ricerca presso l’Università di Pavia, dove ho trascorso tre anni straordinari dedicati esclusivamente alla ricerca nel gruppo guidato dal Professor Franco Brezzi e dalla Professoressa Donatella Marini, in un ambiente di alto livello internazionale. Durante il dottorato, ho avuto due supervisori di fama internazionale, le professoresse Annalisa Buffa e Ilaria Perugia, entrambe emigrate in seguito verso prestigiose università europee. Ho anche trascorso del tempo presso l’Università di Oxford sotto la guida del professor Endre Suli, esperto di metodi numerici per le equazioni differenziali. Dopo il dottorato, ho continuato la mia avventura nel mondo della ricerca, trascorrendo un periodo come research fellow presso l’Università di Nottingham, prima di vincere un concorso da ricercatore al Politecnico di Milano e tornare in Italia nel gruppo del professor Alfio Quarteroni.
Venivo da un percorso teorico e qui, grazie al professor Quarteroni e all’ecosistema del Laboratorio MOX, ho imparato che amavo molto le applicazioni, che mi piaceva dialogare con i colleghi ingegneri, designer, architetti. Non è stato facile all’inizio, però ho imparato tantissimo e sono molto cresciuta professionalmente.

Recentemente ha vinto un ERC SYNERGY GRANT, un finanziamento molto prestigioso e cospicuo del Consiglio Europeo per la Ricerca, per il progetto NEMESIS (New Generation Method for Numerical Simulator). Di che si tratta e perché premiano la sinergia?

L’European Research Council (ERC) è il principale organismo di finanziamento paneuropeo dedicato a sostenere la ricerca di frontiera e promuovere l’eccellenza scientifica in tutti i campi. La linea di finanziamento ERC SYNERGY GRANT, una delle cinque disponibili, si basa sull’idea che le sfide e i problemi affrontati siano così complessi e all’avanguardia che richiedano il contributo sinergico di più ricercatori, pertanto le proposte devono coinvolgere un team di 2-4 Principal Investigators.
Il team del progetto NEMESIS è composto da quattro Principal Investigators. Oltre a me, i miei colleghi Lourenco Beirao da Veiga (Università degli Studi di Milano Bicocca), Daniele A. Di Pietro (Università di Montpellier) e Jerome Drouniou (CNRS). Siamo tutti matematici applicati, esperti nella costruzione di metodi per simulazioni al calcolatore, focalizzati sullo studio di problemi emergenti nell’ingegneria e nelle scienze applicate in generale. Sebbene tutti noi abbiamo una formazione in analisi numerica, ci completiamo a vicenda.

Quali le principali applicazioni del vostro studio?

Il ruolo delle simulazioni al computer sta diventando sempre più cruciale nel trattare problemi che sono considerati prioritari nel contesto dello sviluppo sostenibile. I modelli matematici e i relativi metodi numerici impiegati per risolverli al computer sono diventati sempre più complessi, tanto da presentare limitazioni significative in termini di costi computazionali e impatto ambientale, poiché i cluster di supercalcolo richiedono ingenti risorse energetiche.
Nel progetto NEMESIS, ci proponiamo di sviluppare una nuova generazione di nuovi metodi sempre più precisi ed efficienti, anche ricorrendo a tecniche di intelligenza artificiale. Inoltre, ci occuperemo di validare tali metodi in contesti applicativi legati allo sfruttamento sostenibile del sottosuolo e a processi di produzione avanzata, come ad esempio quello dell’alluminio, noto per il suo elevato consumo energetico. Anche piccoli miglioramenti nel processo produttivo, che possono essere simulati al calcolatore prima di essere implementati, possono portare a risparmi energetici importanti.

La Prof.ssa Paola Antonietti a una conferenza internazionale
La Prof.ssa Paola Antonietti a una conferenza internazionale
Consiglierebbe quindi un’esperienza all’estero?

Sì, è stata un’esperienza molto formativa e di grande crescita per me. L’ecosistema della ricerca sia a Oxford che a Nottingham era di altissimo livello, ma io desideravo tornare in Italia. Un’esperienza internazionale rappresenta un grande valore aggiunto per il curriculum dei giovani ricercatori: si impara tantissimo, soprattutto nel costruire relazioni e nello sperimentare nuove possibilità.

Non sono tanti i finanziamenti assegnati attraverso questi ERC (37), l’Italia è quarta con 5 progetti, Milano è in prima linea con quattro ricercatori. Come avete fatto a vincere?

Sono bandi estremamente competitivi. Nel bando 2023, su 395 proposte progettuali presentate, ne sono state finanziate solo 37 (circa il 9%). Delineare e scrivere il progetto di ricerca ci ha richiesto un anno e mezzo di intenso lavoro.
La valutazione delle proposte progettuali nella linea ERC Synergy avviene in tre fasi. Nella fase 1, un singolo comitato composto da circa 80 membri e 5 presidenti assicura una prima fase di selezione. A valle della fase 1, vengono poi costituiti 5 panel multidisciplinari, che si avvalgono anche di revisori esterni con competenze specializzate, per la revisione dei progetti. Nella terza e ultima fase, i proponenti dei progetti selezionati vengono invitati a Bruxelles per sostenere un’intervista. I 5 presidenti dei panel sono noti sin dall’inizio della valutazione, mentre l’elenco completo dei membri dei 5 panel multidisciplinari è reso noto solo alla conclusione del processo di valutazione.
L’intervista a quattro voci del progetto NEMESIS è durata 45 minuti, di cui 10 minuti di presentazione e il resto del tempo di “fuoco incrociato” in un flusso continuo di domande. L’intervista è stata in assoluto la cosa più difficile che io abbia mai fatto nella mia vita professionale (ride!).
Volevamo mettere in risalto il fatto che il nostro progetto fosse fortemente integrato e collaborativo valorizzando allo stesso tempo le differenze di ciascuno dei quattro proponenti. L’altra grossissima difficoltà è che il panel è multidisciplinare e non noto a priori, per cui dovevamo essere sufficientemente “tecnici”, in modo che i membri del panel più di prossimità culturale potessero apprezzare il contenuto verticale, ma allo stesso tempo anche con una prospettiva sufficientemente ampia per rivolgerci anche ai membri del panel di altre discipline.
È stato un investimento di energie importante, ma vale la pena provarci: la preparazione stessa del progetto è un’esperienza che fa crescere e costringe il ricercatore a razionalizzare le idee e a confrontarsi con i partners. Nella call del 2023 il progetto NEMESIS è l’unico progetto di matematica che è stato finanziato. Nella storia del Politecnico di Milano è il secondo ERC synergy grant: sento la responsabilità, ma anche l’entusiasmo per questa sfida.

Dopo questa esperienza, che consiglio darebbe a dei giovani ricercatori?

Di provarci! Dopo aver lavorato duramente per costruire un curriculum internazionale e una rete di collaborazioni, è fondamentale prendersi del tempo per riflettere con calma su cosa si desidera fare in un orizzonte temporale di 5/6 anni. Questa fase è estremamente importante perché spesso siamo sopraffatti dalla routine lavorativa quotidiana, fatta anche di didattica e impegni istituzionali. Chiedersi dove ci si veda tra 5/6 anni è necessario per studiare a fondo, per comprendere come la ricerca sta evolvendo e dove ci si vuole posizionare.

Alle ragazze cosa dice? Come è riuscita a farsi strada in mondo prettamente maschile?

Vorrei incoraggiare soprattutto le ragazze a tentare questa strada. Il pregiudizio di genere è ancora presente nel mondo accademico e nella società nel suo complesso, soprattutto nel campo scientifico, anche se penso che grossi passi avanti siano stati fatti.
Durante le fasi iniziali del mio percorso accademico personalmente non ho avvertito direttamente questo problema. Sono stata fortunata a crescere in un ambiente di eccellenza dove non ho mai avvertito alcun segnale di discriminazione, o forse, se c’era, non l’ho percepito.
Ho cominciato a sperimentare la cosiddetta segregazione verticale man mano che progredivo nei gradi accademici; ancora oggi, spesso, mi ritrovo ad essere l’unica donna seduta al tavolo. Tuttavia, credo fermamente che nella diversità risieda il successo. Ognuno di noi porta le proprie esperienze, la propria formazione e le proprie sensibilità, contribuendo a risolvere i problemi da prospettive diverse.
Penso che sia fondamentale per le future ricercatrici mostrare che “si può fare”. Spesso c’è questa convinzione implicita che, a parità di competenze, le donne ricercatrici debbano essere “un po’ più brave” dei loro colleghi. Questo è uno stereotipo che, a mio parere, deve essere abbattuto, soprattutto nei ruoli apicali dove persiste ancora una disparità significativa.
Il Politecnico dimostra una grande sensibilità su questo fronte. C’è una volontà tangibile di agire in modo concreto.

Prof.ssa Paola Antonietti, direttrice del MOX
Prof.ssa Paola Antonietti, direttrice del MOX
E lei in alto ci è arrivata, è stata da poco nominata responsabile del MOX, al posto del mitico prof. Quarteroni

È un immenso onore e al contempo una responsabilità enorme. Il laboratorio MOX è un’eccellenza riconosciuta a livello internazionale. Fin dalla sua fondazione ad opera di Alfio Quarteroni e nel corso dei numerosi anni della sua direzione, grazie alla sua visione internazionale e alla sua eccezionale qualità scientifica, il laboratorio ha saputo anticipare molteplici sfide e affermarsi nel panorama internazionale della ricerca. Sono profondamente onorata di aver ricevuto questo prestigioso incarico dalla Direttrice del Dipartimento di Matematica, Professoressa Sabadini, al quale mi sto dedicando con grande entusiasmo ed energia, sperando di poter contribuire a consolidare il posizionamento del Laboratorio MOX nel panorama internazionale della ricerca.

Adesso di che ricerche vi state occupando?

Stiamo lavorando a una vasta gamma di problemi matematici e relativi contesti applicativi. La modellistica matematica e numerica, la statistica applicata e il calcolo scientifico costituiscono un linguaggio universale. Utilizzando i medesimi strumenti formali della matematica e sapendo dialogare tra lingue e interfacce diverse, stiamo affrontando questioni che spaziano ad esempio dalle scienze della vita alla geofisica computazionale, dai processi manifatturieri avanzati a tematiche di inclusione sociale.
Una delle cose che mi ha sempre affascinato è il fatto che il formalismo matematico alla base è universale. Con equazioni molto simili possiamo descrivere quantitativamente gli effetti di un terremoto sull’ambiente costruito così come i meccanismi neurodegenerativi presenti nel cervello umano durante patologie come l’Alzheimer e il Parkinson.
I ricercatori del MOX operano in un contesto unico e stimolante, grazie alla loro capacità di dialogare con una varietà di attori, che spaziano ad esempio dagli ingegneri, ai medici, dai biologi ai designer.

Mesh poligonale di una sezione di cervello nel piano sagittale e simulazione della concentrazione di proteina alfa-sinucleina nella malattia di Parkinson in un arco temporale di venti anni. Lavoro in collaborazione con Mattia Corti e Francesca Bonizzoni.
Mesh poligonale di una sezione di cervello nel piano sagittale e simulazione della concentrazione di proteina alfa-sinucleina nella malattia di Parkinson in un arco temporale di venti anni. Lavoro in collaborazione con Mattia Corti e Francesca Bonizzoni.
E quindi bisogna sfatare questo mito, dello scienziato pazzo che studia isolato…

Certamente, le grandi sfide globali come, ad esempio, la sostenibilità o l’invecchiamento della popolazione si posizionano al confine tra le discipline. Il concetto del “tuttologo” è ormai obsoleto poiché la nostra conoscenza si è approfondita così tanto che il progresso è possibile solo attraverso gruppi di ricerca integrati, non solo dal punto di vista delle competenze, ma anche dell’identità di genere, del contesto socio culturale in cui questa conoscenza è maturata. Solo in questo modo possiamo stimolare l’innovazione necessaria per affrontare sfide così complesse.

Cosa la affascina della matematica?

Ho sempre apprezzato l’approccio della matematica, la possibilità di affrontare un problema concreto che emerge da discussioni anche con interlocutori molto diversi e identificare gli elementi chiave relativi alla domanda posta. Successivamente, mi piace astrarre il problema e descriverlo utilizzando un linguaggio universale come quello della matematica, per poi osservarne i risultati concreti attraverso simulazioni al computer. Questa capacità di analizzare un problema decomponendolo in problemi più semplici e poi riunendo i pezzi ha sempre esercitato un forte fascino su di me.

Tornando alle ragazze come riuscire a spingerle a intraprendere questa strada?

È un discorso difficilissimo, ci sono tanti piani di analisi e di azione, parlo come mamma e come scienziata.
Sappiamo che gli stereotipi di genere si formano in tenerissima età e molto spesso nel contesto sociale e familiare, e ci impongono schemi di comportamento, scelte di vita. Ci vuole quindi uno sforzo di tutta la società. Come dico alle mie figlie se vi impegnate potete fare tutto quello che desiderate. Bisogna lavorare in tutte le fasce di età per educare all’uguaglianza.
Per le future studentesse, scardinare il grado di adesione agli stereotipi che associano le discipline scientifiche in area STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) al genere maschile, per poter dare a tutti le stesse possibilità, trasmettendo modelli virtuosi. In questo senso l’ateneo ha investito tantissimo.
E poi c’è la fase delle ricercatrici nelle prime fasi della carriera lavorativa, un momento delicato che di solito coincide con la costituzione di una famiglia e le fasi iniziali della genitorialità. Anche in questa dimensione, secondo me, l’ateneo ha profuso grandi sforzi. Azioni concrete come gli asili nido, i centri estivi, il welfare, aiutano a non dover scegliere. Gli strumenti, i servizi possono fare la differenza.
Oggi il cambio di rotta è tangibile e ci sono dei segnali positivi: la prima rettrice donna al Politecnico, la prima donna alla guida della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (Crui), tutti e tre gli atenei pubblici milanesi guidati da donne, che dimostrano che si può fare.

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