Durante gli ultimi anni, complici le restrizioni della pandemia e i nuovi dispositivi sul mercato, abbiamo potuto apprezzare un nuovo mezzo di comunicare: la videoconferenza. Non tutti sanno che questo importante strumento che ci ha permesso di affrontare il lockdown rimanendo in contatto con colleghi e amici, ha origini lontane, inaspettatamente italiane e legate al Politecnico di Milano.
Il protagonista di questa storia è Giorgio Coraluppi, nato il 20 febbraio 1934 a L’Aquila, dove è anche cresciuto. Nel 1946 si trasferisce con la sua famiglia a Milano e nel 1958 si laurea in Ingegneria industriale sottosezione Elettrotecnica al Politecnico e subito dopo lavora al Laboratorio di Ricerca Elettronica della Olivetti.
Qualche anno dopo Coraluppi decide di trasferirsi negli Stati Uniti, dove in un primo momento lavora alla Space Defense Division dell’America Optical Company di Pittsburgh, poi nel 1968 fonda la Compunetics Inc.
Nel 1986, con la sua società ottenne un contratto da 4 milioni di dollari con la NASA per sviluppare un sistema di conferenza che potesse supportare 4.000 porte informatiche, che all’epoca non esisteva sul mercato.
Nel 1988, l’azienda ha realizzato il suo primo circuito stampato a montaggio superficiale che sarebbe stato utilizzato in una delle prime serie di personal computer IBM. Poi, nel 1990, Compunetics ha sviluppato e venduto per 4,5 milioni di dollari un sistema di telecomunicazioni vocali per la Federal Aviation Administration, un elemento cruciale per il controllo del traffico aereo in tutti gli Stati Uniti.
Per servire meglio gli interessi commerciali, Coraluppi ha lanciato la controllata Compunetix Inc. nel 1990 per fornire ai consumatori una tecnologia di commutazione voce e dati e conferenza e tre anni dopo ha fondato un’azienda fornitrice di servizi di teleconferenza, la Chorus Call Inc., un’altra controllata di Compunetics.
La rivoluzione della teleconferenza
Se oggi basta accedere a un link, aprire un’app o lanciare un software per avviare una videochiamata di gruppo, fino a qualche decennio fa non era minimamente immaginabile farlo con dei dispositivi così compatti e potenti in maniera automatica. Come altre invenzioni nate in ambiente militare o aerospaziale, anche la tecnologia dietro ad una videoconferenza è figlia di una precisa esigenza della NASA.
All’inizio degli anni ’80, il Controllo Missione della NASA decise di migliorare il sistema con cui i suoi ingegneri, tecnici e astronauti comunicavano.
Durante qualsiasi missione, le informazioni devono fluire costantemente, poiché tecnici e ingegneri monitorano i livelli di carburante di un veicolo spaziale, il tempo sul sito di atterraggio, i dati biometrici degli astronauti e altro ancora. Già con le missioni Mercury alla fine degli anni ’50, l’Agenzia ha costruito un sistema complesso che è riuscito a collegare le persone a terra e in orbita attraverso una rete di 18 stazioni di terra e tre navi in diversi oceani, con l’hub centrale a Goddard presso il Centro di volo spaziale nel Maryland.
Ma negli anni ’80, la NASA desiderava un sistema digitale a 4.000 porte che collegasse istantaneamente le persone all’interno di più gruppi intercambiabili in luoghi fisici distanti. Il sistema esistente consentiva tale collegamento in rete, ma era ingombrante. Proviamo a immaginare la scena – il cinema sull’esplorazione spaziale ci aiuta- in cui abbiamo dei grandi pannelli con tutti i cavi che si inseriscono man mano per collegare le persone. Un’operazione di inserimento e scollegamento dei cavi che andava fatta manualmente, che con le chiamate di gruppo diventava ancora più difficile, con uno staff dedicato a questa funzione. Con il progresso della tecnologia informatica, la NASA ha colto il potenziale per automatizzare il sistema per renderlo più semplice per tutti gli utilizzatori.
L’Agenzia spaziale americana sceglie Giorgio Coraluppi e la sua Compunetics per costruire due nuovi sistemi digitali per la commutazione e la distribuzione della voce (VSS e VDS), che hanno consentito la riconfigurazione istantanea e automatica delle connessioni vocali e dei loop delle conferenze. Non occorrevano più decine di persone a collegare e scollegare cavi ma solo premere un pulsante.
I sistemi di Compunetics sono stati installati nel 1992 e, dopo numerosi test, il NASA (Ground) Communications System (NASCOM) alla fine è cambiato completamente. Il passaggio dall’analogico al digitale ha migliorato la velocità e la flessibilità, il tutto richiedendo molte meno persone dietro le quinte. Oggi NASCOM ha ancora personale 24 ore su 24, ma invece di 40 o 50 tecnici, ne bastano solo 8.
L’evoluzione della tecnologia
Fino a qualche tempo fa, fuori dal contesto della space economy, se si voleva organizzare una chiamata di gruppo bisognava mettersi in contatto con le singole compagnie telefoniche che preparavano l’hardware per la connessione di più numeri di telefoni che andavano comunicati precedentemente.
Con il nuovo sistema che ha costruito per la NASA, l’azienda di Coraluppi, Compunetics, aveva intuito la potenzialità del sistema inventato per l’agenzia spaziale, inserendo un suo brevetto, uno switch non bloccante, che permetteva, una volta che una serie di porte era stata collegata, che le chiamate potevano essere collegate in qualsiasi configurazione all’interno della rete, anche senza connessioni contigue. Sebbene Giorgio Coraluppi avesse effettivamente inventato questo algoritmo non bloccante prima del contratto con la NASA, il finanziamento dell’Agenzia gli ha permesso di capire il mercato e sviluppare l’invenzione in un sistema completamente funzionante.
In seguito, l’ingegnere e il suo team hanno associato un’interfaccia di utilizzo facile che consentiva di aggiungere e rimuovere partecipanti dalla conferenza tramite computer. In sostanza, ha cambiato le chiamate in conferenza da un’attività manuale di collegamento dei cavi telefonici a porte contigue, a una funzione software di collegamento di diversi pezzi di una rete interconnessa, che è la base per le attuali chiamate in conferenza.
Coraluppi, però, non ha mai smesso di innovare e fino alla sua recente scomparsa, avvenuta a settembre di quest’anno, è sempre stato al lavoro su nuove soluzioni tecniche e per far ciò con la sua Compunetix si è rivolto al CEFRIEL del Politecnico di Milano.
“Era una persona dalla competenza tecnica enorme, mai sopra le righe, dai modi gentili, una personalità unica – racconta a Frontiere il professor Alfonso Fuggetta, CEO e Direttore Scientifico di CEFRIEL – Era un appassionato ricercatore, alla sua età stava ancora lavorando su algoritmo per la criptografia, andando in ufficio tutte le mattine. Aveva grandi capacità imprenditoriali per ricerca, con grandi clienti pubblici e privati.
È stato protagonista della trasformazione di Pittsburgh e del suo distretto dalla dismissione delle grandi acciaierie alla svolta hi-tech, raccogliendo la sfida. Ho imparato tanto da lui sia dal punto di vista umano sia da quello professionale, sapeva assumersi le responsabilità, i rischi di impresa. Per la sua azienda al CEFRIEL lavora un team di 7-8 persone, un gruppo di ricerca e sviluppo che opera con loro sullo sviluppo di firmware per una macchina di codifica con multiprocessore, coding, video conferenze web assistite di alta qualità.
Sono grato perché sempre stato tra i soci più seri, ha valorizzato il rapporto con CEFRIEL e ci ha sempre “sfidato” a essere partner di alta qualità aiutandoci a crescere nel lavoro”.