L’architetto del nord che tutela i paesaggi fragili

7 giugno 2022 Kjetil Trædal Thorsen durante la sua Lecture al Politecnico di Milano "Nature as the client"
Kjetil Trædal Thorsen durante la sua lecture “Nature as the client” del 7 giugno 2022 al Politecnico di Milano

Abbiamo incontrato Kjetil Trædal Thorsen prima della sua conferenza al Politecnico sul tema Nature as the client, in cui ha illustrato i suoi progetti di architettura in paesaggi di montagna particolarmente vulnerabili. A seguire è stata inaugurata la mostra “Arctic Nordic Alpine”, visitabile gratuitamente nell’atrio della Scuola di Architettura (fino al 27 luglio), che vuole proprio indagare l’impatto che le nuove realizzazioni potrebbero avere su questi ambienti dai climi estremi.

È un uomo sportivo, abbronzato, che ama pescare e che nel parlare rivela una sincera preoccupazione per l’eredità che lasceremo ai giovani e per l’urgenza di proteggere i paesaggi più fragili.

L’INCONTRO

Lei è stato un giovane fondatore dello studio Snøhetta, studio internazionale di architettura multidisciplinare. Ci spiega la vostra realtà e come avete cominciato?

Quando sei molto giovane non hai limiti, pensi che tutto sia possibile.
E per noi è stato straordinario vincere nel 1989 il concorso della Biblioteca Alessandrina ad Alessandria d’Egitto, che ha catapultato un po’ le nostre carriere. Ma ci è voluto anche molto tempo: per quasi 12 anni abbiamo lavorato quasi esclusivamente a questo progetto, concluso nel 2001, anche se nel frattempo abbiamo realizzato altri progetti più piccoli.

Bibliotheca Alexandrina (1989-2001) (Egypt) © Gerald Zugmann
Bibliotheca Alexandrina, Egitto (1989-2001) © Gerald Zugmann

Che età aveva quando ha fondato lo studio?

30 anni. Ma ho studiato a lungo, a Graz, in Austria, perché all’epoca non si sentiva la pressione di dover finire presto. Ma quando sono tornato a Oslo, in Norvegia, era difficile trovare un lavoro; e così, con un gruppo di amici, abbiamo deciso di provarci, organizzare un piccolo studio e vedere come andava.

Era il 1987, ma già all’epoca sapevamo che ci sarebbero voluti molti sforzi e molto tempo. Abbiamo abbozzato un piano trentennale: sì un piano generazionale. Abbiamo definito i primi dieci anni come un tentativo di affermarci, i successivi dieci per consolidare l’aspetto multidisciplinare della professione e gli altri dieci per iniziare a costruire cercando di fare cose importanti.

È andato quasi tutto secondo i piani, ma allo stesso tempo ci sono stati lungo il percorso molte traversie e molti sforzi, la crisi economica del 2008; molte cose non sono andate come programmato, ma non possiamo pianificare tutto, giusto? Sono successe molte cose semi-casuali, come vincere la competizione della Biblioteca di Alessandria. Poi abbiamo vinto il bando per il Teatro dell’Opera di Oslo nel 2000, ma almeno allora avevamo dimostrato a noi stessi e agli altri che non eravamo una meraviglia una tantum.

The Norwegian Opera & Ballet © Jens Passoth
The Norwegian Opera & Ballet © Jens Passoth

Quindi tutto è iniziato affermandoci come un vero e proprio studio, e poi lentamente, organicamente, ci siamo espansi dall’architettura del paesaggio all’architettura come arte, in cui abbiamo incluso molto presto l’urbanistica e l’architettura d’interni, la progettazione grafica e la progettazione digitale, il design del prodotto.

Così, all’improvviso avevamo tutte le professioni all’interno dell’azienda e ora dopo tanti anni, quasi trentacinque, stiamo lavorando in Australia ad Adelaide, a Hong Kong, a Parigi… Le cose stanno andando avanti molto rapidamente.

University of South Australia Pridham Hall ©Mark Syke
University of South Australia Pridham Hall ©Mark Syke

Come fate a mantenere un livello così alto?

Devi ardere come un fuoco, avere una fiamma viva, tutto il tempo, anche se si invecchia. Non puoi rilassarti, devi essere davvero impegnato, concentrato sempre. Perché tante cose accadono in una frazione di secondo, quindi devi mantenere una mentalità aperta e respirare continuamente l’aria intorno a te.

Devi lasciarti ispirare anche da cose a cui normalmente non ti ispireresti: penso infatti che sia molto importante avere la capacità di combinare problemi apparentemente non correlati. Come il lato destro e sinistro del cervello che devono trovare una sorta di consenso, è così che arrivano le buone idee.

Tornando alla progettazione della Biblioteca Alessandrina, a cui poi sono seguite l’Opera Nazionale di Oslo e il Museo per il memoriale dell’11 settembre a New York, come si gestisce la responsabilità di progettare edifici così iconici?

È una responsabilità che ti assumi molto presto e poi ti organizzi di conseguenza. Quindi sì, è una grande responsabilità fare questi progetti, ma non è tutto affidato a te stesso: hai un collettivo, diverse professionalità che contribuiranno.

Quindi, in una certa misura, impari mentre procedi nel lavoro. Stabilisci determinate procedure in ufficio per assicurarti di poter controllare sempre cosa sta succedendo. Introduci alcune linee guida per gli architetti, per esempio non usare mai più di tre materiali per un dettaglio.

Ma prima di tutto bisogna centrare bene il concept: devi essere contestuale e concettuale allo stesso tempo. Oslo è diversa da Tokyo. Non puoi reagire allo stesso modo con l’architettura in un paese arabo così come a Parigi, sono contesti diversi. Ecco perché abbiamo stabilito un processo coerente, perché mettiamo le persone al primo posto e poi proviamo a guardare all’architettura come a uno strumento per migliorare l’accessibilità degli edifici pubblici.

Dov’è il tuo corpo? Dov’è il tuo orizzonte? Come si confronta con la natura? Un sacco di punti di vista diversi. Sì, e anche le preposizioni: dentro, sotto, sopra, in mezzo, davanti e dietro. All’improvviso capisci che l’architettura offre molte possibilità in relazione all’esterno. Perché oggi si tratta di natura come cliente. Chi ascoltiamo? Ascoltiamo la persona o cerchiamo di ascoltare la natura?

Tverrfjellhytta – Norwegian Wild Reindeer Centre Pavilion – © Diephotodesigner.de OHG 2010

Sì, la Natura come cliente è il titolo della sua conferenza di oggi al Politecnico di Milano. Voi costruite grandi edifici nelle metropoli, ma siete molto attenti ai paesaggi fragili a cui è dedicata la mostra che inauguriamo. Come mai?

Ma semplicemente perché ci troviamo in una situazione in cui la natura è sotto stress, la diversità biologica è sotto stress, le condizioni climatiche sono sotto stress. Lo abbiamo fatto per un lungo periodo di tempo, fin dalle origini; è importante per noi dimostrarlo anche agli studenti. Anche se è solo una piccola porzione del lavoro che stiamo facendo in tutto il mondo.

Per me è un linguaggio molto personale e importante, che cerca di sensibilizzare le persone sulle situazioni vulnerabili proteggendo la natura dagli umani. E questi progetti cercano di farlo, sia che si tratti di una fabbrica, di un centro visitatori o di un percorso pedonale.

Svart – ©Snøhetta/Plompmozes

Anche il nome che avete scelto per il vostro studio Snøhetta ricorda un paesaggio naturale: è infatti una montagna della Norvegia, nel comune di Dovre

Sì, anche se la storia è un po’ diversa ed è legata a un pub di Oslo. Noi ci eravamo stabiliti sopra questo locale e da lì abbiamo preso il nome.

È nota la vostra sensibilità al tema della sostenibilità unita al verde negli spazi esterni. Ci può parlare in particolare dell’uso del legno e dei materiali naturali?

Non c’è dubbio, il legno è sempre stato una parte importante dell’edilizia nordica tradizionale, principalmente nelle costruzioni private, ma anche nella costruzione di strutture più grandi. Cercare di portare il legno nelle costruzioni cittadine, cercare di renderlo un materiale ragionevole è ancora una battaglia contro le normative antincendio, che in tutto il mondo sono molto stringenti.

Ma rimane la scelta migliore rispetto a molti altri materiali sostenibili, anche se non è l’ideale perché per ogni metro cubo utilizzato in una costruzione in realtà dovresti piantare 3 nuovi alberi e mantenere questo equilibrio non sempre è facile.

Stiamo combattendo principalmente con il cemento, l’industria delle costruzioni emette il 40% dei gas nell’atmosfera: peggio che volare e guidare un’auto tutto insieme. Le costruzioni sono molto colpevoli e dobbiamo fare ricerche serie per trovare delle alternative sostenibili. Sappiamo che non ci libereremo del calcestruzzo, quindi dobbiamo renderlo il più rispettoso possibile dell’ambiente.

Alpinschule Innsbruck (ASI) – @ Christian Flatscher

Come riesce a far passare la sua filosofia della sostenibilità anche in paesi che non sono così sensibili a questo tema?

Non è così facile. È una parte del lavoro in continua evoluzione; avanziamo passo dopo passo cercando di convincere sull’utilizzo di linee di produzione di energia pulita, l’efficienza del fotovoltaico, la scelta dei materiali riciclabili.

In Cina o in Medio Oriente qualcosa si sta muovendo, anche se ancora lentamente. È per questo che dobbiamo concentrarci parallelamente sulle questioni della biodiversità: dobbiamo trovare soluzioni rapide perché non c’è molto tempo.

Shanghai Grand Opera House – ©MIR and Snøhetta

Sappiamo che il vostro studio ha vinto anche il progetto per il Masterplan dell’ex macello. Ce ne parla?

È un progetto di Reinventing cities [una competizione globale promossa da C40, network di circa 100 città influenti a livello globale impegnate a combattere il cambiamento climatico n.d.r.] in cui stiamo cercando di stabilire una direzione sostenibile a tutti i livelli, compresa la produzione di energia, il sistema di trasporti, la permeabilità del terreno, il minor utilizzo di energia e la riduzione del consumo di energia, le linee di produzione di energia pulita, di elettricità rinnovabile.

Il nucleo del progetto è quindi la sostenibilità, ma anche il riutilizzo di vecchi edifici. Poiché la CO2 negli edifici già costruiti è già contabilizzata, la CO2 è già lassù, e questo potrebbe essere un problema. L’ex-macello vuole diventare un esempio di come lavorare a più livelli.

Render Ex Macello – © Visualizing Architecture

Quindi trascorrerà più tempo a Milano?

Sì, anche se abbiamo grandi uffici con degli ottimi italiani che parlano la lingua, mentre io ho sempre bisogno della traduzione. Comunque sì, verrò più spesso.

Le piace Milano?

Sì, mi piace, è una città molto diversificata e io amo la diversità. Ha grandi strutture educative, come il Politecnico di Milano, ma è anche un posto che senti reale: non è Venezia, è una vera città. Ha l’industria con tutte le sue linee di produzione, ha persone reali che la vivono, non è una città solo per i turisti.

Aula Rogers durante la Lecture di Kjetil Trædal Thorsen
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