Scienza e filosofia: un incontro inaspettato al Politecnico

Può la filosofia incontrare la scienza? E, più in generale, possono le discipline umanistiche avere qualcosa in comune con quelle scientifiche? Spoiler: la risposta è sì, perlomeno al Politecnico di Milano. Dove due mondi all’apparenza agli antipodi si incontrano ogni giorno.

Accade tra i ricercatori del gruppo META, che si occupa per la precisione “scienze sociali e umanistiche per la scienza e la tecnologia”. Si tratta di un gruppo di ricerca interdisciplinare, che spazia tra le tre principali discipline del Politecnico (Ingegneria, Architettura e Design).

Pochi giorni fa, sono stati presentati in rettorato tre nostri progetti di riflessione critica, resi possibili dalla collaborazione con Fondazione Silvio Tronchetti Provera, che indagano lo sviluppo e l’utilizzo di tecnologie emergenti integrando ingegneria meccanica, biomedica, gestionale e ricerca etica, filosofica, sociologica.

Noi di Frontiere abbiamo parlato con i tre giovani dottorandi, ognuno da un dipartimento diverso, che hanno preso parte al workshop “Etica e tecnologie emergenti”: Stefano Canali del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria; Fabio Fossa del Dipartimento di Meccanica e Chris Hesselbein del Dipartimento di Ingegneria Gestionale.

Stefano Canali (DEIB)

Stefano Canali è un ricercatore in bioingegneria. Si occupa di filosofia e di etica della scienza, in altre parole, di questioni meta-scientifiche.

“Le domande che mi faccio più spesso sono: che cos’è la conoscenza? Come generiamo conoscenza? Quando si forma la conoscenza? Studio quindi i modi in cui la scienza produce conoscenza, soprattutto per capire se si può migliorare qualcosa in questo processo”.

Più nello specifico qual è il tuo ambito di ricerca?

“Da un po’ di tempo mi concentro sui dati, soprattutto in ambito biomedico. Cerco di capire che ruolo abbiano nella generazione della conoscenza, come devono essere trattati e integrati tra di loro. Anche e soprattutto dal punto di vista etico, perché la conoscenza deve essere eticamente legittima, giusta”.

Perché il Politecnico è il posto giusto per il tuo percorso di ricercatore?

“Fare questo tipo di ricerca al Politecnico è particolarmente stimolante. Occupandomi appunto di questioni meta-scientifiche, stare qui è come essere direttamente dentro alla ricerca scientifica. Puoi osservare ogni processo da molto vicino”.

Come ti sei appassionato al mondo della ricerca? 

“Fin dalle scuole superiori sono sempre stato interessato sia all’ambito scientifico che a quello filosofico. Poi all’università ho studiato filosofia e mi sono reso conto che avrei voluto dare un contributo alla riflessione generale sulla scienza e sulla produzione scientifica. Quindi su come la scienza viene ‘prodotta’.

“Poi, quando ho deciso di andare all’estero per studiare, c’è stato un momento in cui ho percepito questa attività come una professione. Diciamo quindi che nel mio caso la scelta di diventare un ricercatore in filosofia della scienza è stata un qualcosa di graduale, una consapevolezza che ho acquisito con il passare del tempo”.

Fabio Fossa (DMEC)

Anche Fabio Fossa è un filosofo di formazione, e si occupa di scienza. Il suo campo di ricerca riguarda l’etica della guida autonoma: “Lavoro a stretto contatto con gli ingegneri che stanno sviluppando le tecnologie legate alla guida autonoma. Il mio scopo è far sì che questioni di carattere sociale ed etico siano prese in considerazione, e possibilmente previste e affrontate già nella fase di progettazione. Portare considerazioni di carattere etico e sociale nel cuore dei processi di sviluppo di una tecnologia ci permette di anticipare, per quanto possibile, alcuni dei problemi potenziali che potrebbero emergere in futuro”.

Perché hai scelto il Politecnico di Milano per il tuo percorso?

“In questo momento al Politecnico si sta investendo molto sull’integrazione di competenze umanistiche in ambiti tecnologici. E quindi su profili come il mio. Siamo abituati a pensare alla valutazione etica come un qualcosa da fare a posteriori, ovvero dopo l’insorgere di un problema. Questo è, naturalmente, un processo poco funzionale, nel senso che ormai il danno è fatto. L’idea è quindi quella di integrare ragionamenti di carattere etico prima che il danno sia fatto, in modo da provare a evitarlo. Se non facessimo così, aumenterebbe il rischio della perdita di fiducia nelle nuove tecnologie. E una volta persa la fiducia, il rischio è quello di perdere i vantaggi che una tecnologia può portarci”.

Come ti hanno accolto gli ingegneri? Ti vedono come un controllore oppure sono collaborativi?

“Devo dire che inizialmente avevo anch’io qualche dubbio su come gli ingegneri percepivano l’etica. Ma in realtà non mi vivono per niente come un controllore. C’è grande consapevolezza sul fatto che l’etica non è un qualcosa di esterno alla tecnologia, né tantomeno è un qualcosa che cerca di comprimere la tecnologia. Sanno perfettamente che invece è fondamentale per rendere una tecnologia efficiente nel tempo. Riscontro grande interesse e curiosità, e ci sono le condizioni per fare un buon lavoro, che sul lungo termine può portare a risultati tangibili”.

Un esempio concreto sul tipo di lavoro che svolgi?

“A settembre del 2020 l’Unione Europea ha emanato un report su etica e veicoli autonomi. Si trattava di principi e raccomandazioni da seguire: in questi casi c’è sempre il problema di passare dalla teoria alla pratica. In altre parole, di creare una connessione concreta tra ciò che il documento dice e ciò che succede nella realtà. Ho quindi deciso di organizzare alcuni incontri con gli ingegneri in cui ho presentato il report. Loro lo hanno commentato, facendomi avere impressioni e giudizi su quelle linee guida. Sono applicabili? Lo sono facilmente? Ci sono connessioni con il mio lavoro? Da questi incontri è uscito un articolo in cui abbiamo dato una valutazione dal basso del report, proponendo degli strumenti metodologici per capire come calare queste raccomandazioni nella quotidianità degli ingegneri.

Su quali temi vertono queste raccomandazioni? Diccene uno…

“Ad esempio su come gestire il tema della privacy, uno dei punti chiave quando si parla di veicoli autonomi, visto che le auto a guida autonoma raccolgono una serie di dati personali che vanno saputi gestire e proteggere”.

Chris Hesselbein (DIG)

Chris Hesselbein è invece un etnografo. Semplificando, è uno che va sul campo, che si cala in una cultura che vuole studiare. Attraverso l’osservazione di riti, rituali, cerimonie, norme, valori, credenze e comportamenti prova a comprendere quel tipo di cultura. Secondo Chris “la scienza ha una forte dimensione sociale. Spesso ci viene semplicemente detto che gli scienziati hanno fatto una qualche scoperta scientifica, ovvero ci viene tutto presentato come qualcosa di già dato”.

In realtà, invece, dietro ogni scoperta scientifica c’è un percorso molto complesso…

“Esatto. Come abbiamo visto e stiamo vedendo anche con i vaccini, c’è un percorso piuttosto complesso di negoziazione sociale dietro ogni scoperta scientifica o avanzamento della tecnologia. Con il mio lavoro cerco di stabilire come la scienza interagisce con la società e come la società interagisce con la scienza. Non è un caso che l’autorità della scienza sia spesso stata discussa, e ci sono sempre più controversie anche attorno alla ricerca scientifica. I vaccini ne sono un esempio tipico, così come gli Ogm, le nanotecnologie, la bioingegneria e così via”.

In sostanza, tutte le tecnologie emergenti si portano sempre dietro anche delle questioni sociali.

“Sì. Ad esempio, uno dei progetti in corso riguarda la tecnologia 5G, su cui una parte della società nutre molte perplessità. Io mi occupo di capire quali sono le teorie che creano queste perplessità, da dove vengono e da che cosa sono motivate. Cerco quindi di prendere in carico quelle paure e di capire il perché del loro punto di vista”.

Condividi