Gli scarti della lavastoviglie danno vita a nuove piante

Immaginatevi un sistema che trasformi le acque di rifiuto di un elettrodomestico che molti di noi hanno in casa, la lavastoviglie, in linfa che doni nuova vita producendo vegetali. È questo il contenuto di un brevetto depositato nel 2019 da Politecnico di Milano e Università degli Studi di Roma Tor Vergata in collaborazione con diverse aziende.

L’idea è quella di un sistema da associare ad una lavastoviglie per rigenerarne i reflui in modo da poterli riutilizzare nei successivi cicli di lavaggio e usare per l’irrigazione di vegetali. Il refluo della lavastoviglie, rigenerato tramite un biofiltro progettato ad hoc, alimenterebbe così la crescita delle piante grazie al suo contenuto di nutrienti mineralizzati.

Scenario architettonico

Come nasce questo brevetto

L’idea è nata da un gruppo di ricerca del nostro Dipartimento di Design, guidato da Fiammetta Costa, insieme al team di biologi di Luciana Migliore, dell’università di Tor Vergata. L’idea era quella di pensare a un modo per riciclare le acque di scarto degli elettrodomestici e riutilizzarle.

In particolare, l’idea è ricaduta sulla lavastoviglie, principalmente per due motivi. Per prima cosa, nella lavastoviglie si lavano i piatti che hanno dei residui di cibo, che possono quindi diventare naturalmente concime per le piante perché sono organici.

Inoltre, rispetto, per esempio, a un acquaio, l’elettrodomestico genera una quantità di scarti di acqua e detersivo standard, secondo livelli prevedibili. A ogni ciclo, quindi, l’acqua consumata è la stessa, se si usa lo stesso programma. Anche il detersivo è un fattore più controllabile, perché di solito si utilizza una tavoletta predosata.

Le applicazioni

Il concept parte innanzitutto da un ambito domestico. Il sistema è in grado di riciclare i reflui del processo di lavaggio e risciacquo di una lavastoviglie attraverso un sistema di filtraggio e ridistribuzione dell’acqua. Il prodotto depurato viene inviato in parte a un orto verticale per l’irrigazione di piante, in parte ritorna alla lavastoviglie per essere usato nel ciclo successivo.

Il funzionamento

I principali componenti sono:

  • il sistema di coltivazione e irrigazione di vegetali;
  • un primo serbatoio per il contenimento del liquido di scarico della lavastoviglie;
  • un filtro biologico che trasforma la componente organica del liquido di scarico in componente inorganica, comprendente sostanze nutrienti per i vegetali;
  • un secondo serbatoio per il contenimento del liquido trattato da riusare in successivi cicli di lavaggio;
  • un dispositivo di pompaggio atto a fornire liquido trattato al sistema di irrigazione di vegetali, o al secondo serbatoio se non necessario per il sistema di irrigazione;
  • un secondo filtro e un secondo dispositivo di pompaggio atti rispettivamente a filtrare e fornire liquido presente nel secondo serbatoio ad un ingresso di acqua di lavaggio della lavastoviglie.
Scenario indoor

Il prototipo realizzato comprende un biofiltro che funziona su quantità piccole di acqua. I ricercatori stanno portando avanti esperimenti per arrivare ad averne uno che riesca a trattare più o meno dieci litri di acqua in un giorno, che è in media quello che consuma una lavastoviglie per ogni ciclo.

Contemporaneamente, in collaborazione con Ka We srl, è stato progettato il sistema di collegamento della lavastoviglie al filtro. In pratica sono necessari due serbatoi, perché l’acqua esce calda dalla lavastoviglie, quindi deve prima raffreddarsi per poi essere trattata nel biofiltro ed essere stoccata per le successive irrigazioni. È un sistema abbastanza complesso, con varie valvole, pompe e serbatoi.

La fase successiva è quella del sistema di irrigazione, con la presenza di valvole per poter decidere se usare l’acqua per l’irrigazione o riutilizzarla in un successivo ciclo della lavastoviglie.

Nel prototipo il sistema di irrigazione è verticale, quindi si applica perfettamente a piccoli orti all’interno della cucina.

Gli sviluppi futuri

In prospettiva, l’idea è di applicare il sistema ad ambiti più ampi: orti urbani, ristorazione collettiva (ristoranti, mense, agriturismi), ambienti estremi (rifugi montani, basi antartiche, applicazioni spaziali). Tutto dipenderà dalla quantità di superficie che si avrà a disposizione all’interno e all’esterno.

Scenario urbano

Vantaggi

Il sistema è un ottimo esempio di applicazione dei paradigmi dell’economia circolare e di stimolo di comportamenti sostenibili.

Il vantaggio più importante è quello di ridurre significativamente la quantità di acqua potabile usata per il lavaggio: quella del refluo scaricato viene infatti utilizzata per successivi cicli di lavaggio e per la produzione di vegetali edibili direttamente in cucina a chilometro zero e di piante ornamentali che migliorano la qualità dell’aria, riducendo contemporaneamente i costi ambientali connessi alle attività tradizionali di trasporto del cibo.

Inoltre, un dispositivo di questo genere permette di integrare tipologie di prodotto diverse in un unico sistema dedicato sia al trattamento delle acque reflue che alla coltivazione di piante eduli e ornamentali.

L’elemento più innovativo è nel biofiltro

Mentre i depuratori di grandi dimensioni funzionano già utilizzando dei sistemi con microrganismi, alla scala più piccola questi sistemi al momento non esistono. Vengono ancora utilizzati filtri meccanici, lampade UV, carboni attivi, ecc. L’uso di batteri applicato a questa scala è l’innovazione più promettente.

Il segreto di questo filtro biologico sta nel cianobatterio Trichormus variabilis VRUC168 e nei batteri eterotrofi del refluo, assemblati ad hoc in un sistema chiuso: i primi producono ossigeno, mentre gli altri mineralizzano la componente organica.

La possibilità di estendere il sistema anche alla lavatrice

Anche questo elettrodomestico utilizza ad ogni ciclo una quantità di acqua più o meno fissa, così come di detersivo. Una lavatrice, però, consuma molta più acqua, e diventa quindi tutto molto più grande da gestire. Inoltre i detersivi per lavatrice sono più aggressivi rispetto a quelli per lavastoviglie, quindi lo studio di questa applicazione si sta rivelando una sfida interessante.

L’obiettivo a lungo termine sarà sicuramente applicare i principi di questo brevetto a tutta la cucina, e magari a tutte le acque grigie, escludendo ovviamente le acque nere.

Da chi è composto il team che ha proposto il brevetto

Per il Politecnico di Milano, il progetto è guidato da Fiammetta Costa del Dipartimento di Design; nel team Attilio Nebuloni, Giorgio Buratti e Matteo Meraviglia. Ha collaborato il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale, con Manuela Antonelli.

Fondamentali allo sviluppo del progetto, sono i biologi di Roma Tor Vergata, guidati da Luciana Migliore, e gli agronomi dell’Università degli Studi di Milano coordinati da Antonio Ferrante.

Sono anche state coinvolte delle aziende, come Verde Profilo, Ka We, Meg e Spinitalia. Per il prodotto finale sono in corso contatti con produttori di detersivi sostenibili e noti marchi di produzione di lavastoviglie, interessati all’aspetto del recupero dell’acqua.

Lo stato di realizzazione del brevetto

Al momento siamo allo stadio sperimentale di un prototipo funzionante, quindi non è ancora disponibile per i consumatori.

Uno degli scopi della ricerca scientifica è quello di produrre risultati che abbiano un impatto sulla società. Tali risultati costituiscono il patrimonio di proprietà intellettuale del nostro Ateneo e possono essere tutelati con i brevetti. Il brevetto è il diritto di produrre, usare e commercializzare in esclusiva un’invenzione – una nuova idea che ha un’applicazione industriale – per un massimo di 20 anni.
Al Politecnico di Milano ci sono ogni anno più o meno 200 tecnologie che aspirano a diventare brevetti: circa la metà di loro arriva al traguardo, ovvero al brevetto. Di tutte queste tecnologie si occupa il Technology Transfer Office (TTO), la cui missione principale è quella di supportare ricercatori, studenti e personale docente nel trasferire le conoscenze scientifiche dal laboratorio al mercato.
Noi di Frontiere abbiamo pensato a una rubrica mensile per capire come nascono e come si sviluppano le idee migliori che ogni anno popolano i banchi e i laboratori del Politecnico. E, soprattutto, come potrebbero influenzare il nostro futuro.

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