La fluidodinamica… del naso

Maurizio Quadrio

Maurizio Quadrio, PhD, è professore di Fluidodinamica e Turbolenza al Politecnico di Milano, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziali, e Mercator Fellow del Karlsruher Institute of Technology.

La sua ricerca combina esperimenti e simulazioni numeriche per studiare flussi turbolenti confinati da una parete, con un interesse particolare per la riduzione della resistenza di attrito turbolenta. Utilizza intensamente la Simulazione Numerica Diretta (DNS) per sviluppare tecniche di riduzione di attrito, spesso usata come strumento per indagare la turbolenza di parete e per comprenderne meglio la fisica.

I suoi interessi scientifici comprendono anche la fluidodinamica computazionale (CFD), tecniche di ottimizzazione basate sull’aggiunto, e soprattutto la fluidodinamica del naso umano: in questo settore, grazie a uno sforzo di ricerca pluriennale, applica tecniche di flow control che vengono utilizzate nella pratica quotidiana dei chirurghi otorino. Lo abbiamo incontrato per capirne di più.

Come ha iniziato a occuparsi della turbolenza e delle sue applicazioni?

Sono partito, giovane e incosciente come tanti, quando per una serie di circostanze ho “incontrato” il problema della turbolenza, che mi ha poi affascinato e attratto per tutto il resto della mia vita. Per usare una citazione un po’ inflazionata di Richard Feynman, la turbolenza è “l’ultimo problema non risolto della fisica classica”. E la sua soluzione non sembra vicina!

Come mai è un tema così complesso?

Si tratta di un problema estremamente sfidante dal punto di vista scientifico, ma con importanti ricadute pratiche. Che si studia sia in laboratorio che con simulazioni numeriche di grande scala. E che spazia dalla fisica fondamentale, alla dinamica dei sistemi complessi, a numerosi problemi applicati. In aeronautica, per esempio, è molto importante: l’aeroplano è una macchina che “deve stare su”, cioè deve produrre una forza verticale – la portanza – e quella è la parte facile. Ma deve anche farlo bene, cioè producendo poca resistenza. Perché poca resistenza significa poche emissioni, poco rumore, tanta autonomia e pochi costi.

Istantanea di un campo di moto turbolento, calcolato con Simulazione Numerica Diretta (DNS) su una porzione di ala transonica. La DNS è un approccio numerico “ad alta fedeltà” ma comporta grandi costi di calcolo, i gradi di libertà spaziali qui sono svariati miliardi, e l’integrazione delle equazioni avviene per centinaia di migliaia di passi temporali. Sono visibili le strutture turbolente (nella zona posteriore e nella scia) e l’onda d’urto a metà della corda. Le nostre strategie di controllo permettono di modificare in modo significativo le prestazioni aerodinamiche dell’ala e dell’intero velivolo interagendo anche con l’onda d’urto.
Come sono continuati i suoi studi, dopo il primo incontro?

Andando avanti con la carriera mi sono concentrato su quello che si chiama flow control, dove non ci si accontenta di (provare a) capire come è fatta una corrente turbolenta, ma si ha addirittura l’ambizione di controllarla, di modificarla a nostro vantaggio.

E in questo campo, ormai un po’ di anni fa, abbiamo scoperto una tecnica di controllo della turbolenza che si chiama spanwise wall forcing o forzamento trasversale. Oggi lo spanwise forcing ha grande successo presso la comunità scientifica, ed è diventato la tecnica di controllo forse più studiata. Ancora non ci sono attuatori capaci di farla funzionare come si deve sul problema reale, ma per il resto ha tutti i requisiti che servono: semplice, robusta, costa poca energia, etc.  Abbiamo anche realizzato, una decina di anni fa, la prima prova di concetto sperimentale, che ha avuto grande (e per molti versi ancora ineguagliato) successo, misurando una riduzione di resistenza turbolenta di oltre il 40%. Che è tantissimo.

Direi che, riassunta in due parole, questa è quella che potrei definire la mia prima vita scientifica.

Esperimento di principio per la misura sperimentale della riduzione di resistenza di attrito mediante spanwise forcing. Dell’acqua circola in un condotto a circuito chiuso, in cui la perdita di pressione per attrito (resistenza) viene misurata fra due sezioni distanti oltre 2 metri. In questa parte di condotto, il controllo consiste nel movimento azimutale del tubo cilindrico, che nell’esperimento viene “tagliato a fettine” capaci di ruotare attorno all’asse in modo indipendente. L’immagine mostra una vista della sezione controllata, con in primo piano i motori e gli alberi per l’attuazione.
La prima vita? E qual è la seconda?

Eh… E poi arriva la crisi esistenziale – in senso scientifico – a 45-50 anni…

Ero in sabbatico e facevo pendolarismo settimanale da Parigi a casa. Dodici ore di viaggio due volte la settimana; un regime che non mi ha fatto bene alla salute. Fra l’altro, si è deteriorata una mia sinusite cronica, che ho deciso finalmente di affrontare. Con il chirurgo otorino che mi ha operato, alla fine siamo diventati amici, e oggi collaboriamo intensamente nella ricerca.

Durante la prima visita – ancora ci conoscevamo pochissimo – mi disse: “Ah sì, sì, io ti farò questo e quest’altro, ma mica lo so bene il perché, lo faccio e basta. Vedrai però che starai bene”. Adesso infatti sto bene.

Una visita decisamente illuminante…

Sì. È proprio in quell’occasione che ho realizzato che quello del naso è un magnifico problema di fluidodinamica. E che la chirurgia si può interpretare come una forma di flow control in cui con il bisturi si modificano, ottimizzandole, le forme anatomiche. Non posso dire di aver direttamente applicato le mie tecnologie di flow control, perché il problema del naso è molto più complesso della semplice riduzione della resistenza aerodinamica: in questi casi l’unica via è la chirurgia. Ma ho potuto applicare concetti e conoscenze di fisica, di turbolenza, di numerica, di ottimizzazione.

Sono in contatto regolare con un gruppo di 5-6 chirurghi otorino, il che significa che abbiamo sviluppato un linguaggio comune. Sono stato anche in sala operatoria, ad assistere e a capire. Ormai ho imparato a leggere le loro TAC. Loro capiscono quando parlo di Computational Fluid Dynamics, di DNS e LES. Ho portato la simulazione numerica nella loro routine clinica.

Che cosa è mancato finora nel comune approccio al problema del naso?

Il problema del naso è un problema che nemmeno i medici riconoscono più di tanto. Certo, oggi c’è l’endoscopia e si può “vedere”. Si fanno interventi endoscopici meno invasivi, ma ancora tutto si basa sull’esperienza del chirurgo. Io ho selezionato un gruppo di medici ai quali il tema interessa davvero, e questo è fondamentale. Sono loro a sottopormi i problemi: un approccio diverso da quello di altri ricercatori, che è spesso quello di andare in parallelo alla clinica. Invece noi siamo letteralmente in clinica.

Il problema del naso può sembrare minore: di solito non si muore per un setto storto o una sinusite. Ma confrontando i miei due campi di studio, le mie due vite scientifiche, ho realizzato che il problema del naso è molto più rilevante del problema dell’aeronautica: circa 10 volte solo dal punto di vista economico, senza contare tutti gli aspetti non economici.

Pensate che circa una persona su tre ha un problema di respirazione nasale. Nelle correzioni chirurgiche di settoplastica funzionale, cioè la correzione del setto nasale deviato, il 50% degli interventi fallisce, non il 5 per mille, ma il 50%, la metà: è tantissimo!

Il margine di miglioramento è enorme. Ogni paese ha il suo sistema sanitario, quindi in certi paesi questo diventa una questione che riguarda più le assicurazioni che i chirurghi, e la cosa va declinata diversamente. Ma un problema enorme c’è, sta, appunto, proprio sotto il nostro naso [ride] e sono davvero in pochi a riconoscerlo. Io ci sono capitato dentro per caso, ormai più di dieci anni fa. E, dopo un decennio, tutta questa fatica sta iniziando a dare i suoi frutti.

Quali sono i frutti? Di cosa tratta la sua ricerca?

La differenza sostanziale fra i “miei” due campi di ricerca è che, per l’aeroplano, sappiamo benissimo cosa vogliamo, ovvero ridurre la resistenza; per il naso, invece, non lo sa nessuno. Si va dal medico a dire che si respira male. Il medico spesso non è in grado di dire perché, e quindi non sa scegliere con sicurezza la correzione giusta: talvolta si sbaglia, talvolta si fanno correzioni chirurgiche inutili o dannose. Inoltre, non c’è un naso “standard”: c’è una variabilità anatomica elevatissima, apparentemente senza correlazione col benessere del paziente. E lo stato dell’arte è che i chirurghi fanno il possibile, ma… ancora nessuno sa davvero come funziona il nostro naso!

In dieci anni abbiamo fatto tante cose, all’interno di una linea di ricerca che chiamiamo OpenNose. Abbiamo creato un modello di testa umana in silicone trasparente in scala 1:2, ricavato da una TAC e quindi anatomicamente fedele per le cavità nasali, che hanno forme molto complesse nella loro parte interna. Questo “testone” – o “TestOne”: lo chiamiamo così perché è il primo benchmark – ci permetterà di osservare e misurare istantaneamente il flusso all’interno delle cavità nasali, usando tecniche di velocimetria laser a immagini di particelle. La prospettiva è quella di misurare in laboratorio, abbinare poi ai dati sperimentali una raffinata Simulazione Numerica Diretta, e mettere tutto open source per avere davvero il primo benchmark aperto di comunità.

Ma solo molto recentemente abbiamo avuto come un’illuminazione che ci ha avvicinato alla soluzione del problema. Quando capisci come funzionano le cose, poi è tutta discesa. E infatti adesso abbiamo un programmino capace di progettare in tempo reale la chirurgia ottima: dai primi riscontri pare che stia funzionando proprio molto bene. Non perché il programmino sia particolarmente geniale, ma semplicemente perché abbiamo capito qual è l’obiettivo giusto da perseguire.

Costruzione di TestOne, partendo (a sinistra) dalla stampa 3d in materiale solubile delle forme interne dei condotti nasali. Al centro si vede lo stampo, colorato in azzurro, attorno a cui è stato colato del silicone trasparente. A destra infine la testa vera e propria, in cui il materiale solubile è stato rimosso e sono rimaste le cavità. La misura di velocità, secondo la tecnica del phantom model, avverrà dall’esterno impiegando un liquido (acqua + glicerina) che ha lo stesso indice di rifrazione del silicone, e quindi rende il modello otticamente trasparente. Illuminazione laser e ricostruzione stereoscopica tridimensionale del campo di moto avverranno dall’esterno.
E adesso, quali sono i piani per il futuro?

Quello che vorrei fare è riuscire a chiudere il cerchio: finora ho tenuto le mie due vite scientifiche ben separate, chiaramente sfruttando molto nella seconda quello che ho imparato nella prima. Ma adesso ho l’ambizione di riuscire a portare nella mia comunità scientifica quello che secondo me è e sarà il ruolo sempre più importante del flow control in ambito biomedico.

Stiamo inoltre ottenendo insieme a un collega del DEIB [Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria. N.d.R.], Giacomo Boracchi, interessanti sviluppi nell’uso di tecnologie di Machine Learning in campo fluidodinamico, con un approccio originale in cui il ML viene utilizzato per predire quantità non calcolabili, cioè per fare la diagnosi, sulla base dei risultati di fluidodinamica computazionale: questo sarebbe un risultato di interesse generale.

Cosa suggerirebbe a un giovane che voglia intraprendere questi studi? 

Domanda difficile, ma anche bella: da sempre sono molto sensibile a quell’un per mille di persone speciali che decidono di intraprendere questa strada, difficile e piena di fatiche, ma anche potenzialmente molto gratificante.

Un giovane che inizia questo percorso vedrà i primi frutti probabilmente fra dieci anni, in uno scenario di università e ricerca che sarà completamente mutato. Oggi quindi consiglierei cautela, facendo scelte strategiche che non siano troppo limitanti, cioè non fissandosi troppo su un posto dove si vuole andare, su un tema che si vuole studiare, ma essere tanto, tanto flessibili. Siamo alla vigilia di evoluzioni anche molto radicali, ed è difficile prevedere cosa succederà da qui a breve.

Rimane il fatto che questi sono temi affascinanti. Il flow control è un campo molto difficile, dove tanti scienziati bravi falliscono. Non è uno di quei problemi ingegneristici dove vai avanti per continuità, aggiungendo un pezzettino alla volta. Qui devi proprio inventarti la tua via, inventarti il tuo strumento. Insomma: trovati la strada giusta, oppure aprine una nuova!

Fino ad oggi il flow control è rimasto confinato all’interno dell’aereonautica e in generale dell’ingegneria; da domani il flow control diventa importate anche in campo biomedicale. Il futuro appartiene a chi è capace di pensare fuori dagli schemi!

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