L’inventrice dei “maglioni dell’invisibilità”

Rachele Didero ha frequentato il Liceo Classico a Torino, ma è al quarto anno in una high school in Montana che ha frequentato il suo primo corso di cucito. Si è poi iscritta al Politecnico di Milano alla Triennale di Design della Moda, che ha poi proseguito con la magistrale in Design for the Fashion System. Durante i suoi anni universitari, grazie al supporto del Politecnico, ha potuto viaggiare molto studiando tra Milano, Barcellona, New York e Tel Aviv.

È proprio a New York che ha sentito parlare per la prima volta di telecamere di riconoscimento biometrico e delle problematiche che questa tecnologia comporta a livello sociale. Oggi sta procedendo nella ricerca con un dottorato di ricerca al Politecnico di Milano all’interno del dipartimento di Design nel gruppo di ricerca di Maglieria del professor Giovanni Maria Conti. Collabora con il DEIB (Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria), in particolare con il gruppo di ricerca del Professor Giacomo Boracchi.

Come hai scoperto il mondo della moda? Lo hai respirato in famiglia o è stato un tuo percorso personale?

È stato un processo graduale. Credo, da italiana, di essere sempre stata in contatto con la cultura del bello e del fatto bene. Da piccola mia nonna mi faceva giocare con i suoi foulard e io e mia sorella abbiamo sempre avuto una costumeria per le nostre recite in cui raccoglievamo dai travestimenti di carnevale ai vestiti dei saggi di danza. Mia mamma è architetto, mi ha sempre portato a visitare musei, mostre. Sono stata cresciuta così e questa creatività mi ha portato ad avvicinarmi al mondo dei tessuti e della moda. Fino a che, nel 2015, ho deciso di vedere se questa passione sarebbe potuta diventare il mio lavoro, un giorno.

Rachele Didero Phd al Politecnico di Milano
Rachele Didero Phd al Politecnico di Milano

Come ti è venuta l’idea di proteggere la nostra identità creando un tessuto che impedisca il riconoscimento facciale?

Questa idea è nata nel 2019 a New York, nel momento in cui, tra amici, discutevamo il caso di una comunità di colore di Brooklyn che aveva vinto una causa contro il complesso di appartamenti in cui viveva, proprio perché, all’ingresso, erano state installate delle telecamere del riconoscimento biometrico. Tra i miei amici c’era un ingegnere di computer science che mi ha parlato di particolari immagini che confondono gli algoritmi di riconoscimento biometrico, abbiamo quindi deciso di crearne dei vestiti protettori. Il tessuto non poteva che essere in maglia, per le caratteristiche di questa e per la mia conoscenza pregressa legata alla specializzazione del mio terzo anno di Politecnico.

Cosa sono i dati biometrici?

I dati biometrici sono dati personali legati alle nostre caratteristiche fisiche, fisiologiche e comportamentali. Sono quei dati che permettono la nostra identificazione univoca, che ci accompagneranno tutta la vita e che non possiamo scegliere di cambiare.

Esempi di dato biometrico sono l’impronta digitale, l’iride, il DNA e il calcolo biometrico del nostro volto, anche chiamata “facial signature” data dalla rilevazione della distanza tra gli occhi, tra le sopracciglia, le narici…
Possiamo avere lo stesso nome di qualcun altro, possiamo scegliere di cambiare il nostro nome, ma non potremo mai avere la stessa impronta digitale di altri o scegliere di cambiarla.

Con il rilevamento di un dato biometrico collegato a un database, si può risalire ai nostri dati personali come nome, indirizzo, relazioni familiari e così via. Il rilevamento del dato biometrico del nostro volto avviene spesso senza che ce ne rendiamo conto, proprio perché non vediamo le telecamere collegate alla tecnologia del riconoscimento facciale che sono però in spazi pubblici o in spazi privati aperti al pubblico.

In che modo riesci a confondere l’algoritmo?

Dobbiamo immaginare i vestiti come QR code che ci proteggono invece di dare informazioni. Forniscono così tanti input al sistema di riconoscimento oggetti in tempo reale che questo si confonde e non riesce a identificare il soggetto che indossa gli indumenti come una “persona”. L’innovazione tecnologica alla base di questo progetto risiede nella creazione di un sistema in grado di trasporre immagini (chiamate adversarial patches) su un tessuto a maglia che può essere utilizzato per ingannare i rilevatori di persone in tempo reale. Indossando un indumento in cui è intessuta un’immagine avversaria, si possono proteggere i dati biometrici del proprio volto, che o non saranno rilevabili, oppure saranno associati a una categoria errata come “animale” piuttosto che “persona”.

Fino ad ora le immagini avversarie sono state solo stampate. Il metodo che Cap_able ha brevettato permette di incorporare l’algoritmo nella texture in modo da garantire una perfetta vestibilità dei capi senza perdere la loro efficacia e fondendosi perfettamente con i volumi del corpo.

Questo tessuto è stato testato con YOLO, il più comune e veloce sistema di rilevamento di oggetti in tempo reale. Le persone che indossano i capi di Cap_able non vengono riconosciute come tali dal software, che invece identifica cani, zebre o giraffe all’interno del tessuto.

Modelle che indossano maglie Cap_able che il software identifica come cani, zebre o giraffe all'interno del tessuto
Modelle che indossano maglie Cap_able che il software identifica come cani, zebre o giraffe all’interno del tessuto

Quanta tecnologia c’è nella realizzazione dei tuoi capi?

I capi della Manifesto Collection sono interamente in maglia e prodotti in Italia con complessi processi industriali. Ad esempio, ci vogliono sette ore per lavorare a maglia i pezzi della felpa con cappuccio, che vengono poi tagliati a mano e assemblati a mano. Le macchine elettroniche per maglieria necessarie per produrre questi capi sono molto complesse e sono le uniche in grado di riprodurre i tessuti nati dalla tecnologia brevettata con più di tre anni di lavoro di ricerca alle spalle. Il risultato finale è un pezzo di design e tecnologia unico e di altissima qualità.

Siamo una startup impegnata nella sostenibilità a tutti i livelli. Ciò significa che facciamo del nostro meglio per limitare il nostro impatto ambientale. Di conseguenza, i materiali utilizzati per produrre questi capi seguono i più alti standard di qualità e provengono da produttori certificati che garantiscono le migliori condizioni possibili ai propri lavoratori.

Rachele Didero nel laboratorio di maglieria del Politecnico di Milano
Rachele Didero nel laboratorio di maglieria del Politecnico di Milano

Perché il titolo di questa collezione è Manifesto?

Sono pattern colorati, che vogliono essere il Manifesto di un movimento, il Manifesto di un cambiamento. Questi schemi colorati ci rendono, quasi ironicamente, invisibili all’IA ma molto visibili agli esseri umani, comunicando così un messaggio chiaro per aumentare la consapevolezza dell’importanza dei diritti umani e comprendere i rischi associati alla sorveglianza di massa.

Non rischiate di essere accusati di proteggere i malintenzionati? Di dare un mantello dell’invisibilità?

La tecnologia è completamente legale poiché il volto di chi indossa i capi rimane scoperto, questo permette di essere riconoscibili e identificabili in qualsiasi momento da parte di altre persone.

Non sussiste, e non sarebbe compatibile con l’attuale quadro costituzionale, un dovere generalizzato in capo a chi circola liberamente in spazi pubblici o aperti, al pubblico di essere sottoposto indiscriminatamente al rilievo dei propri dati biometrici da parte di strumenti automatizzati di riconoscimento facciale. L’impiego dei prodotti che Cap_able intende produrre e commercializzare costituisce il legittimo esercizio di diritti fondamentali tutelati a livello costituzionale nella maggior parte dei Paesi democratici. La tecnologia CAPABLE contribuisce a tutelare la riservatezza e la protezione dei dati personali, proteggendo i consociati che decidono di indossare i suoi capi da abusi e intrusioni illecite nella vita dell’individuo.

Quali i prossimi progetti, le prossime frontiere dei tuoi studi e del tuo lavoro?

Mi appassiona creare prodotti di design funzionali che riescano ad unire tecnologia ed etica. La mia missione a lungo termine è quella di operare in questo ambito. Il mio obiettivo è quello di non perdere mai la curiosità di conoscere, il piacere di capire e la voglia di comunicare, come ci ricorda uno dei designer che più mi ha ispirato nel mio percorso, Munari. Mi appassiona creare progetti multidisciplinari, unire conoscenze diverse e creare interazioni, prima di tutto a livello umano.

Oggi mi trovo al Media Lab del MIT, dove ancora una volta sto trovando un ambiente estremamente fertile che spero porterà a grandi riflessioni e stimoli.

Condividi