La docente del Politecnico di Milano protagonista del ripristino dell’antico ospedale del Filarete, oggi sede dell’Università degli Studi di Milano.
La Ca’ Granda di via Festa del Perdono a Milano è uno degli edifici simboli della città: oggi ospita la sede centrale dell’Università Statale ma anche eventi importanti, come il Fuorisalone, durante il quale i suoi cortili si riempiono di originali installazioni di design. Eppure non tutti sanno che la Ca’ Granda è stata importante nella storia milanese perché ha ospitato il primo grande ospedale della città fino alla prima metà del Novecento quando le bombe lanciate durante la Seconda guerra mondiale lo hanno pesantemente colpito. La sua rinascita si deve a una grande architetta e docente del Politecnico di Milano: Liliana Grassi.
Il grande ospedale di Milano voluto da Francesco Sforza
Nel 1451 Francesco Sforza promette ai milanesi di istituire “un grande e solenne ospedale”, promessa che si concretizza con il decreto del 1° aprile 1456. Pochi giorni dopo il duca Sforza e sua moglie Bianca Maria Visconti pongono la prima pietra dell’hospitale grando accorpando ben sedici ospedali milanesi con l’obiettivo di ripristinare la vocazione assistenziale di Milano: da lì l’appellativo di “maggiore”. L’ospedale viene presto rinominato “Ca’ Granda de’ Milanesi” proprio per la sua accoglienza di degenti di ogni provenienza sociale ma anche territoriale (forestieri e stranieri) e per la capacità di attrarre le donazioni di benefattori e l’opera di numerosi volontari.
Il progetto iniziale viene affidato ad Antonio Averlino detto il Filarete e prevede due crociere (una per gli uomini e una per le donne), inscritte in un quadrato, che delimitavano a loro volta quattro cortili interni quadrati: queste due grandi sezioni erano collegate tra loro da un cortile con al centro una chiesa. Nonostante l’impianto dei cortili sia rimasto fedele all’originale, il protrarsi dei lavori per lunghi secoli, spesso per mancanza di fondi, e le esigenze legate al clima e alla logistica hanno portato ad alcune modifiche in fase di realizzazione.
Tra l’ottobre del 1942 e l’agosto del 1943 Milano viene bombardata dalle forze angloamericane: fabbriche, stazioni ferroviarie, siti militari strategici ma anche edifici religiosi, artistici e scuole sono l’obiettivo degli Alleati. In particolare le bombe cadute tra il 13 e il 16 agosto 1943 causano il crollo parziale della facciata di via Festa del Perdono, la distruzione del Cortile d’onore e dei portici e gravi danni dei chiostri.
Liliana Grassi
Protagonista del restauro della Ca’ Granda è Liliana Grassi (1923-1985), laureata in architettura nel 1947, diventa poi assistente ordinaria e libera docente. Grassi è stata professoressa alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano dal 1960 al 1972 (Caratteri stilistici e costruttivi dei monumenti, Restauro dei monumenti e Disegno dal vero 1) poi alla Facoltà di Ingegneria, dove insegna Tecnica del restauro fino alla morte avvenuta nell’estate del 1985. Inoltre è stata direttrice dell’Istituto di disegno generale nel periodo 1972-82. Suo è il progetto di restauro della Ca’ Granda di Milano (1948-1985), oggi sede dell’Università degli Studi di Milano, prima come collaboratrice di Annoni e Portaluppi, poi come responsabile.
“Il recupero dei valori spaziali e numerali non è da intendersi come meccanico ‘revival’… ma come recupero creativo della memoria storica, realizzato attraverso una impalpabile relazione tra i fondamenti che illuminano la ricerca progettuale e i dati della tradizione”.
Liliana Grassi
Il restauro della Ca’ Granda
Il lavoro di restauro della Grassi, con l’aggiunta di parti ex novo, è basato su un lavoro storico molto rigoroso, basato su una scrupolosa analisi delle fonti documentarie e iconografiche che ha preservato il lavoro e l’orditura del Filarete. Questo processo si è concentrato essenzialmente in tre fasi.
Recupero della parte ottocentesca
La prima fase dei lavori interessa l’ala ottocentesca e la sua sistemazione ad uso didattico: qui il suo intervento prevedeva un’ampia attività di manovra creativa, dal momento che il valore artistico di questa parte era nettamente inferiore a quello del resto dell’edificio e per l’esigenza di creare spazi idonei alla didattica (aule) per l’Università Statale.
Nonostante ciò la Grassi decide di conservare lo schema a crociera, dopo una riflessione iconografica:
“Il Filarete, nel suo trattato, non parla mai dei valori semantici delle architetture da lui ideate e realizzate, bensì solo della loro funzionalità– scrive Liliana Grassi – Si ritiene, tuttavia, che la sua scelta sia stata intenzionale. Infatti, l’attenzione agli edifici a pianta centrale, evidente nei suoi disegni e nelle sue osservazioni scritte, e la manifesta predilezione per tale impianto planimetrico nelle scelte progettuali, rendono certi che, nel concepire le sue architetture, egli esprimeva, sia pure a livello inconscio, la cultura sua e del suo tempo. In questo ambito si rinviene quindi quel ‘quid’, scientificamente difficile da definire, che ha indirizzato le scelte dell’autore.
… la distruzione profonda della seconda crociera, causata dai bombardamenti e la scarsa caratterizzazione di tre dei suoi quattro cortili metteva in discussione la necessità di attenersi all’impianto filaretiano negli interventi di progetto di parti nuove, sollevando il problema della possibilità di soluzioni libere dalla conformazione preesistente (…) ma una più matura e consapevole riflessione del problema portò alla decisione di conservarlo, in considerazione sia del valore emblematico dell’impianto a crociera (ricorrente in più edifici di vari periodi storici), sia dell’atteggiamento che aveva caratterizzato prima l’intervento di F. M. Richini, che dovette mantenere una evidente continuità con la parte già costruita ‘secondo la maniera de li antichi’, poi anche il completamento settecentesco, che si era adeguato all’impianto filaretiano”.
Ecco quindi che vengono costruite le nuove strutture per le Facoltà di Lettere, Filosofia e Giurisprudenza: l’Aula Magna (creata da uno dei cortili), il Rettorato, la sala lauree, i Seminari, aule e servizi (lungo i bracci della crociera).
Il restauro del Cortile d’onore
La seconda fase del restauro fu decisamente più impegnativa: il recupero del Cortile d’onore. Il restauro venne effettuato con la tecnica dell’anastilosi ossia la ricostruzione minuziosa del manufatto attraverso i pezzi originali. Una tecnica promossa anche dalla Carta del restauro di Atene del 1931: “quando le condizioni lo permettono, è opera felice il rimettere in posto gli elementi originari ritrovati (anastilosi); e i materiali nuovi necessari a questo scopo dovranno sempre essere riconoscibili.”
Questa fase culminò con l’inaugurazione del 1958 della nuova sede dell’Università degli Studi.
Il ripristino dei quattro chiostri
Terza, ultima e delicatissima fase è stata quella del recupero dell’ala quattrocentesca, dei quattro chiostri e la facciata di via Francesco Sforza.
Per la facciata Liliana Grassi decide di conservare il muro originale e costruire il resto della facciata senza richiami stilistici: questo fa sì che la facciata non è un semplice accostamento di elementi di epoche diverse ma il racconto ben visibile della storia dell’edificio, con tutte le sue stratificazioni.
I numerosi riscontri tra dati filologici e dati del monumento portano la Grassi alla scoperta della prima bifora di sinistra e di una serie di cornici in cotto e fogliami nelle murature di riempimento.
Negare la separazione tra presente e passato non significa, naturalmente, che il momento operativo debba realizzarsi facendo ricorso a un revival romantico per il quale si pervenga a parziali integrazioni o a totali ricostruzioni in “stile” proposte sotto le mentite spoglie di ripristini rigorosi. La soluzione del problema dipende da una concezione globale del mondo nella quale è fondamentale atteggiarsi nel o di fronte al tempo.
Lo squarcio dei bombardamenti da via Francesco Sforza coinvolge anche il cortile della Ghiacciaia. Anche qui il restauro procede per anastilosi ma solo per i due lati perché per gli altri non fu possibile trovare i pezzi originali, poiché alcune bombe, cadute proprio in quel punto, avevano polverizzato ogni cosa.
Anche qui, come sulla facciata, si costruisce integrando: il perimetro del vecchio cortile resta visibile nella parte non recuperata grazie alle basi e ai frammenti delle colonne. Un’operazione che da un lato rievoca la struttura ma dall’altro fa riflettere sulla distruzione: l’autrice infatti parla di “rinsaldo fra speranza e memoria”.
Anche nei Cortili della Farmacia e dei Bagni il lavoro della Grassi è quello di valorizzare delle tracce che testimoniano le varie fasi della costruzione dell’edificio, senza cedere alla tentazione di museificare il cortile e quindi cristallizzarlo, ma compiere un atto di recupero creativo, che è un po’ il senso di tutto il suo progetto:
“Il recupero dei valori spaziali e numerali – scrive l’architetta- non è però da intendersi come meccanico ‘revival’… ma come recupero creativo della memoria storica, realizzato attraverso una impalpabile relazione tra i fondamenti che illuminano la ricerca progettuale e i dati della tradizione”.
E proprio grazie al suo recupero creativo, non solo la Ca’ Granda è tornata agli antichi splendori, ma con l’insediamento dell’Università degli Studi di Milano è tornata ad essere un luogo di crescita per la comunità milanese.
Le immagini del cantiere della Ca’ Granda sono tratte dagli Archivi Storici del Politecnico di Milano.