La tecnologia al servizio della salute spiegata dalle ricercatrici di TEDH

applicazione wearable su MW-TUTA
Applicazione wearable su MW-TUTA

Ci sono molti modi in cui la tecnologia può supportare il mondo della salute e del benessere. Offrire soluzioni innovative e soprattutto concrete, che semplifichino e migliorino la vita del paziente e dei caregiver familiari e clinici, è sicuramente uno di questi.

Al Politecnico di Milano abbiamo un gruppo di ricerca che si occupa proprio di questo aspetto, progettando sistemi, prodotti, ambienti e servizi in una visione human-centered e sinergica. Il TEDH – Technology and Design for Healthcare ha sede tra il Campus di Milano Bovisa e il Polo Territoriale di Lecco. Al suo interno, il laboratorio LYPHE, che applica tecnologie per lo studio dell’interazione fisica dell’utente coi sistemi e l’ergonomia, e Sensibilab, che progetta sensori per il monitoraggio indossabile e non intrusivo di parametri fisici e fisiologici con applicazioni nella medicina, nello sport e nelle Tecnologie Assistive. 

L’individuo è al centro per definizione, nel fare ricerca in quest’ambito: quindi non si può prescindere dal fattore umano, dalle esigenze concrete delle persone. Dell’importanza di un approccio di questo genere abbiamo parlato con le ricercatrici più giovani di TEDH, Maria Terraroli e Martina Scagnoli, che ci hanno raccontato come design, tecnologia e umano convergano nelle loro ricerche. 

Acquisizione dei parametri fisiologici durante l’attività fisica
Le ricerche del gruppo TEDH si muovono principalmente nell’ambito medico-riabilitativo: quali sono i progetti che vi hanno viste maggiormente coinvolte? 

MT: Il progetto a cui sono più legata è Bluebelly, un’applicazione per la somministrazione e la raccolta dell’EPDS, un questionario di autovalutazione dello stato emotivo nel periodo perinatale, ovvero quello che va dal settimo mese di gestazione alla settimana dopo il parto. 

Il progetto, che ha l’importante funzione di tenere in contatto mamme e donne incinte con i professionisti del settore ginecologico e ostetrico, è nato in collaborazione con l’Ospedale di Lecco. Come gruppo di ricerca, abbiamo seguito tutte le fasi del progetto: dalle ricerche sull’utente, svolte tramite focus group mediati dall’ospedale e dai consultori, alla fase di sviluppo e a quella di test. Al momento l’app è in fase di test nel territorio dell’ASST di Lecco.  

MS: Con il progetto Multimodal Wearable-TUTA finanziato da un grant INAIL, abbiamo realizzato un sistema di dispositivi indossabili, che monitorano i parametri vitali (ad esempio il battito cardiaco e la respirazione) e la correttezza degli esercizi fisici svolti durante un percorso riabilitativo di reinserimento lavorativo. La tuta sensorizzata è collegata ad un’applicazione scaricabile sullo smartphone, che supporta il paziente nell’attività di riabilitazione svolta da remoto, con la quantificazione dell’esercizio attraverso opportuni indici che possono essere inviati al medico. 

Controllo dell’elettronica al microscopio
Il progetto TUTA permette quindi di velocizzare e rendere più completo il processo di recupero. Ma il fatto che il paziente sia da solo, senza la presenza di un professionista, è sicuramente un fattore da tenere in conto nella progettazione… 

MS: Il paziente è da solo, ed è in una condizione di fragilità psico-fisica, ma il sistema motiva al recupero con un’interfaccia intuitiva e con la facilità di utilizzo, in modo che il paziente sia portato ad indossarlo ed usarlo per avere un esercizio guidato e un processo con indici quantitativi che portino all’aderenza alla terapia senza provare frustrazione. Nella progettazione, abbiamo infatti voluto conciliare l’aspetto estetico con quello funzionale. 

Anche MT ha lavorato al progetto TUTA: qual è stata la sfida più grande che avete dovuto affrontare per realizzarlo? 

MT: Uno degli aspetti più problematici che si incontrano spesso in questo genere di progettazione è quello di trovare delle soluzioni efficaci e user-friendly per agganciare i dispositivi indossabili al tessuto. In questo caso abbiamo utilizzato le tecnologie di stampa 3D per lo studio delle morfologie e per la realizzazione delle pre-serie delle scocche e gli agganci dei dispositivi elettronici al tessuto. 

Elementi del sistema multiparametrico MW-TUTA per il monitoraggio dell’atto riabilitativo
Potremmo quindi dire che il lavoro che svolgete è quello di trovare soluzioni innovative che rispondano ad esigenze diverse. A questo proposito come vi siete avvicinate al mondo del design?  

MS: Il mio percorso non inizia da design, ma da ingegneria, in particolare ingegneria energetica. Sono appassionata da sempre alle materie scientifiche; ma nel corso degli anni mi ero resa conto che scienza e numeri mi piacevano, ma erano troppo limitati rispetto ai miei interessi e alle mie passioni, che riguardavano anche l’ambito artistico e filosofico. Mi sarebbe piaciuto quindi applicarmi in qualcosa che non fosse troppo settorializzato e tecnico. Nel design ho effettivamente trovato la sintesi dei miei interessi, e l’opportunità di esplorarli in maniera meno verticale e più orizzontale. 

Ho quindi conseguito la laurea triennale in Disegno Industriale e Ambientale nelle Marche, di cui sono originaria; sono poi stata in Erasmus nei Paesi Bassi, dove alla TU Delft ho fatto un tirocinio in laboratorio su un progetto che prevedeva l’impiego di materiali di scarto per la creazione di nuovi prodotti. Quest’esperienza è stata molto significativa per me, tanto che, tornata in Italia, ho deciso di iscrivermi a Design & Engineering al Poli. Questo corso mi è sembrato subito perfetto, perché mettendo insieme ingegneria e design univa la mia passione per le materie scientifiche alla creatività. 

MT: Tutto il mio percorso universitario l’ho svolto qui al Politecnico. Ho studiato in particolare Design del Prodotto e mi sono appassionata al corso tenuto dal professor Andreoni, che coordina TEDH. Al momento della scelta della tesi sapevo già che mi sarebbe piaciuto lavorare a un progetto con lui, qualcosa che potesse risolvere un problema concreto

Come Martina, che ha fatto la sua tesi sul progetto TUTA in collaborazione con INAIL, anche io ho fatto una tesi su un progetto di TEDH in collaborazione con un’azienda. Si tratta di un guanto “intelligente”, in cui un lettore che utilizza la tecnologia RFID (la stessa che è presente ad esempio nelle card elettroniche, come gli abbonamenti per i mezzi pubblici) è direttamente incorporato nei tessuti conduttivi del guanto. Il prodotto al momento è ancora in fase di test. 

posizionamento delle parti realizzate in 3D nel contenitore per la polimerizzazione post-stampa
Ci sono altri progetti interessanti a cui avete partecipato? 

MS: Sicuramente il progetto europeo NESTORE, rivolto alle persone anziane con l’obiettivo di supportare in maniera innovativa e personalizzata uno stile di vita sano, aumentando l’autonomia funzionale dell’utente. 

MT: Tecnicamente ciò è possibile grazie all’utilizzo di più oggetti: uno speaker, un bracciale e un sistema analogico, per controllare e visualizzare i miglioramenti negli esercizi svolti. Gli utenti hanno così a disposizione un coach virtuale che guida e monitora la differenza tra l’inizio e la fine del percorso.  

Come definireste l’Approccio human-centered, che utilizzate nelle vostre ricerche? 

MS: Questo tipo di approccio parte dallo studio dell’essere umano nel contesto in cui si trova; questo vuol dire analizzarne i bisogni non solo fisici, ma anche quelli meno espliciti, indagando ad esempio la sua condizione emotiva. Si tratta di un approccio innovativo, perché in passato l’indagine si è concentrata maggiormente sull’aspetto funzionale e medico.  

MT: La ricerca e l’analisi sono le fasi iniziali, ma anche quelle fondamentali, dei progetti di designing the right thing. Ad esempio, nel caso del progetto Bluebelly, abbiamo svolto tre focus group non solo con le donne in gravidanza e le madri, che sono le dirette utilizzatici dell’applicazione, ma anche con le operatrici ostetriche e psicologhe, cercando di coprire tutto lo spettro degli utenti. 

Avere un approccio human-centered significa quindi tenere conto delle idee, delle aspettative e dei suggerimenti degli utenti. Un processo simile è stato seguito anche per il progetto TUTA, in collaborazione con il centro di riabilitazione Villa Beretta. 

Modelli di studio del case di ricarica (cerniere, forme, alloggi per wearable)
Nel vostro lavoro la collaborazione con medici, fisioterapisti e in generale con i professionisti del settore sanitario sembra molto importante. Com’è andata questa collaborazione? C’è fiducia verso la tecnologia o riscontrate diffidenza? 

MT: Per quanto riguarda la mia esperienza, legata soprattutto allo sviluppo della app Bluebelly, c’è molta fiducia. Ci hanno fatto sapere quali erano i desiderata e quali i vincoli a livello medico; per il resto ci hanno lasciato carta bianca. È stato bello vedere valorizzato il lavoro dei designer e di tutti i progettisti. 

Immagino che ci siano anche degli ostacoli da affrontare nella realizzazione di progetti particolarmente ambiziosi… 

MS: È fondamentale la parte di test: più si tratta di qualcosa di futuristico, maggiore è la necessità di testarlo, in modo che sia sicuro. L’obsolescenza dei dispositivi, non solo diminuisce la qualità ottenibile, ma inibisce nuovi servizi e la riduzione dei costi; da questo punto di vista c’è sicuramente bisogno di finanziare un cambio generazionale dei prodotti e dei macchinari.  

termosaldatura degli elettrodi su tessuto
Quali sono secondo voi gli sviluppi in quest’ambito?  

MT: Siamo solo all’inizio di quello che queste tecnologie possono sviluppare nell’ambito della salute. Sicuramente oggi c’è molta attenzione alle tematiche legate alla salute e alla prevenzione

Ad esempio, come TEDH abbiamo fornito consulenza all’azienda di CAPSULA, una cabina dove è possibile misurare diversi parametri fisici e fisiologici, restituendo così un quadro dello stato di salute dell’utente. È un progetto interessante perché può essere collocato in ambienti non specificatamente del settore, come ad esempio i centri commerciali. Quello su cui noi designer dobbiamo concentrare i nostri sforzi è nel rendere queste tecnologie utilizzabili e più oneste possibili… 

MS: …e anche comprensibili! È fondamentale il modo in cui l’informazione viene veicolata all’utente. La User Experience e la User Interaction devono essere quindi centrali nella progettazione, e devono anche tener conto delle conoscenze dell’utente a cui sono rivolte, e delle condizioni in cui esso si trova. 

Tecnologie come la stampa 3D stanno prendendo sempre più piede in diversi ambiti. Saranno il futuro della medicina? 

MS: La stampa 3D è molto utile in quegli ambiti in cui c’è l’esigenza di personalizzare un prodotto e la medicina è sicuramente uno di questi. Ogni persona è infatti diversa e presenta caratteristiche uniche. Fino a qualche anno fa, abbiamo conosciuto soluzioni che, seguendo le logiche dell’industrializzazione, sono fatte in serie e uguali per tutti. Con la stampa 3D è invece possibile ottenere soluzioni personalizzabili, e ad un costo non troppo elevato progettare per l’unicità, non per la diversità.  

MT: Se si riuscisse a democratizzare e standardizzare maggiormente alcune tecniche, queste ovviamente si diffonderebbero di più. Per il futuro sicuramente si arriverà ad un punto in cui tutte le strutture ospedaliere ne saranno fornite. Al momento sta aumentando il numero di piccoli laboratori negli ospedali, soprattutto all’estero, ma l’augurio è che anche in Italia si acceleri questo processo a cui il design può grandemente contribuire. 

Condividi