Quando il vento incontra un ponte… Un problema da matematici!

Edoardo Bocchi
Edoardo Bocchi

A volte, per i profani, la matematica può sembrare una disciplina totalmente teorica, il cui ricordo sbiadisce nel tempo, tra i banchi di scuola del liceo. In realtà è qualcosa che pervade il mondo molto più di quello che immaginiamo, anche con le sue innumerevoli applicazioni pratiche.

Uno dei più diffusi ambiti della matematica, oggi, è quello dei modelli teorici da applicare ai più diversi fenomeni fisici per applicazioni ingegneristiche.

Abbiamo intervistato Edoardo Bocchi, ricercatore al Dipartimento di Matematica, che ci ha raccontato il progetto THANAFSI (Theoretical analysis of fluid-structure interaction problems and applications) su cui sta lavorando.

Nell’ingegneria civile così come in quella costiera, è necessaria una piena comprensione dell’interazione tra fluidi e strutture. Per raggiungerla, vengono presi in considerazione, tra i tanti, due problemi: la stabilità dei ponti sospesi sotto l’azione del vento e l’impatto delle onde oceaniche sui convertitori di energia marina.

Edoardo Bocchi è riuscito a stabilirsi in Italia grazie a una MSCA Marie Skłodowska Curie Postdoctoral Fellowship dell’Unione Europea. Nel 2023 sono stati 13 i ricercatori beneficiari che hanno scelto il Politecnico di Milano come sede del loro progetto di ricerca. Il grant viene infatti concesso a singoli ricercatori per progetti particolarmente promettenti, che riguardano campi scientifici di frontiera o tecnologie emergenti con grande potenziale di innovazione e di interesse collettivo, con l’obiettivo di far acquisire nuove competenze attraverso una mobilità internazionale, interdisciplinare e intersettoriale.

Per Edoardo Bocchi, questa fellowship ha significato stabilirsi in Italia, dopo la sua lunga esperienza all’estero e un breve periodo come assegnista di ricerca al Politecnico di Milano. Vincere la borsa è stata una grande soddisfazione, il suo primo grande progetto di ricerca presentato. E così, dallo scorso settembre, ha iniziato il suo progetto sempre al Politecnico di Milano, dove l’abbiamo incontrato nel suo ufficio, nel familiare edificio della “Nave”.

Ponte dello stretto di Akashi, Giappone
Ponte dello stretto di Akashi, Giappone

Il mio percorso universitario inizia alla Statale di Milano, dove ho studiato matematica sia in triennale che in magistrale, quando mi sono laureato nel 2016. Ho trascorso l’ultimo anno in Erasmus all’Università di Bordeaux, dove ho scritto la mia tesi. Sono poi tornato a Bordeaux, dove ho ottenuto il dottorato in matematica applicata nel 2019. Successivamente sono stato ricercatore postdoc all’Università di Siviglia per due anni e mezzo. È dopo il covid che è nato in me il desiderio di tornare in Italia.

Ed eccomi qui, da poco trentunenne, al Politecnico di Milano. Il finanziamento che ho vinto mi permetterà di continuare la mia ricerca per altri due anni al Dipartimento di Matematica.

Be’, innanzitutto per una questione di distanza: era il periodo del covid, volevo riavvicinarmi alla mia famiglia. E poi mi piaceva l’idea di provare a farcela nel paese dove ho studiato. Il mio obiettivo era quello di tornare in Italia: la scelta di Milano è arrivata dopo.

Il Politecnico è una delle poche università italiane che ha un nome anche all’estero. Ma soprattutto, il tema di ricerca della posizione era molto affine a quello su cui mi stavo dedicando da tempo.

Devo ammettere che mediamente, all’estero, il lavoro di ricercatore postdoc è meglio remunerato. Le borse poi sono più lunghe, in Italia durano spesso solo un anno e vengono rinnovate di volta in volta.

È anche vero che la borsa Marie Curie offre un buon riscontro economico. Ho dei fondi propri, quindi mi permette di essere indipendente, di frequentare convegni e farmi conoscere anche da collaboratori esterni. Serve proprio per valorizzare l’esperienza che può darti un periodo di ricerca all’estero.

Il focus della mia ricerca è un’analisi teorica di problemi di interazione fluido-struttura.

L’idea è di migliorare, grazie all’analisi matematica, la comprensione di problemi che sorgono nell’ingegneria civile e costiera marittima, tanto nell’interazione tra i ponti sospesi e il vento, che può generare oscillazioni dell’impalcato, per prevenire il collasso e progettare strutture affidabili, quanto nell’interazione tra onde e convertitori di energia marina per migliorare la loro efficienza.

Il mio approccio è quindi di tipo teorico, mi soffermo sullo studio qualitativo e teorico dei modelli matematici. È diverso da un approccio numerico, quantitativo, che mira alla fase successiva, quella della sperimentazione.

Oscillating water column alle Azzorre
Onshore OWC nelle Azzorre, Portogallo

I problemi sono principalmente due. Il primo è quello della stabilità di ponti sospesi sotto l’azione del vento. Il secondo è l’impatto delle onde oceaniche su alcuni tipi di convertitori di energia marina, chiamati “Oscillating water columns” (OWC).

Partiamo dal secondo. In questo caso, le onde che arrivano dal largo incontrano sulla costa una camera parzialmente aperta. L’onda che arriva si frange contro la struttura esterna della camera, facendo sì che una parte dell’onda passi attraverso l’apertura ed entri dentro la camera, andando su e giù (da qui ‘oscillating’). Siamo quindi in presenza di una variazione del volume d’aria, che si trova obbligata a uscire da una fessura in alto, attraverso una turbina. La turbina, muovendosi, trasforma energia libera, pulita, in energia elettrica. Un’energia che è possibile utilizzare, convertendola.

Sì, mi vengono in mente le boe galleggianti nelle zone dette ‘nearshore’, una zona a distanza intermedia dalla costa. Le boe sono collegate al fondale da cavi e collegate alla costa da altri cavi. Il fatto stesso che la boa galleggi crea un’energia meccanica, che a sua volta crea energia elettrica.

Sì, il mio lavoro è proprio derivare modelli matematici dal fenomeno fisico. Ottenere soluzioni che risolvono il problema. La complessità, nel caso che ho citato, è rappresentata dall’interazione tra struttura e fluido.

In questo modello, la struttura è rappresentata dal ponte, il fluido dal vento. Qui bisogna studiare la quantità e la tipologia delle forze che entrano in gioco con il ponte per esempio la portanza, magnitudine del vento, la sua forma. Si utilizzano le equazioni di Navier-Stokes per descrivere il flusso di questi fluidi. Trovare la soluzione fa parte dello studio qualitativo.

A livello applicativo, la condizione ideale sarebbe una portanza minima, in modo che il ponte non si sposti, o si sposti il meno possibile. Per chiarire cos’è la portanza, è quella che fa volare gli aerei. È una forza perpendicolare all’apparecchio e per farlo salire, in quel caso, ci vuole un valore grande di portanza, a differenza del ponte.

Costruzione di un ponte sospeso

Un esempio celebre di studio della stabilità strutturale è quello del Tacoma Narrows Bridge, che crollò nel 1940 a pochi mesi dalla sua inaugurazione. Del crollo abbiamo uno straordinario documento audiovisivo, realizzato con una cinepresa. Si nota che prima del crollo del ponte si hanno dei moti ondulatori verticali, dovuti all’interazione col vento; successivamente, si notano dei movimenti torsionali, quando la campata inizia a muoversi e oscillare: sono questi che hanno creato il collasso.

Nel nostro progetto studiamo ad esempio che forma deve avere la campata di un ponte per minimizzare la portanza.

Nella camera oceanica studiamo la parte qualitativa. Il passo successivo è approcciarsi con la parte numerica. Dobbiamo dimostrare che le soluzioni di modelli semplificati della realtà sono coerenti con quanto succede negli esperimenti. Se coerenti, possiamo provare a migliorare l’efficienza del convertitore di energia.

L’efficienza è il rapporto tra energia catturata ed energia in entrata. Nel caso ideale, guadagniamo tutta l’energia. Nella realtà, se questo rapporto è di 0,5 è già tanto. Il problema di questi convertitori è che hanno molta dispersione, più costi di implementazione e quindi un guadagno ridotto. La domanda che ci poniamo è se si può migliorare questa efficienza energetica, spingerci sempre un po’ più in là.

Io sono ancora all’inizio, quando si deve capire che tipo di modello si vuole avere: non il più difficile, ma uno che rispecchi il più possibile le proprietà qualitative del sistema.

Uno dei miei obiettivi è ridurre la complessità del modello senza perdere troppe informazioni e renderlo meno costoso da implementare, per poi studiarne la soluzione.

Per farti un esempio, un modello utilizzato in regimi di acque basse (shallow water) potrebbe essere applicato anche in un modello di tsunami, mantenendo il valore del modello, perché il rapporto tra profondità del mare e lunghezza d’onda è piccolo in entrambi i casi.

Faccio parte del gruppo “fluidi teorici” del Dipartimento di Matematica, con cui discuto di matematica, ma principalmente lavoro con il mio supervisor, il professor Filippo Gazzola, e collaboratori in università estere (Francia, Spagna).

Non aspettarti grandi laboratori e camici bianchi. Essendo un matematico, gran parte del mio lavoro si svolge in studio. I miei strumenti sono computer, carta e penna, lavagna.

Ma oltre la parte teorica, ci sono altre attività che fanno parte del progetto. C’è la parte formativa, che prevede anche un periodo di due mesi all’estero per andare a collaborare con altri colleghi. C’è la parte divulgativa, durante la quale andremo a parlare della nostra ricerca nei licei.

La parte di divulgazione è molto intrigante per un ricercatore teorico come me. Molte volte gli studenti delle superiori non si rendono conto che dietro progetti di grandi opere come ponti ci sia tanta matematica. È bello stimolare l’interesse di ragazze e ragazzi su questi temi, e attrarli così verso la scelta di un corso di studi di matematica.

Già dalle scuole medie, e poi alle superiori, avevo particolare facilità nello studio della matematica. Non mi pesava, e anzi mi piaceva.

Quando ho finito il liceo, ecco il dilemma: matematica o ingegneria? Ho scelto col cuore, ho scelto matematica. All’università ho visto tutto un altro livello, rispetto a quello a cui ero abituato fino ad allora: non era poi così facile.

Durante la magistrale, non avevo ancora idea di andare avanti. Fu allora che a un convegno sentii un professore parlare di un modello che descriveva le onde marine, senza strutture. In breve tempo, ho notato con sorpresa il mio interesse per la descrizione rigorosa e matematica di fenomeni come le onde marine. Era la prima volta che vedevo un’applicazione concreta (sebbene teorica) di concetti che fino ad allora avevo solo studiato.

Grazie a questo mio nuovo interesse, decisi di voler fare la mia tesi magistrale a Bordeaux, dove lavora il professor David Lannes, uno dei massimi esperti di modellizzazione di onde marine. Dopo la sua risposta positiva e la successiva proposta di continuare con un dottorato, sono entrato nel mondo della modellizzazione matematica della meccanica dei fluidi. Ho scoperto una grande comunità internazionale di ricercatori matematici che studiano questi modelli da un punto di vista rigoroso.

Edoardo Bocchi
Edoardo Bocchi

Il primo pensiero è che vorrei rimanere qua. Il tipo di ricerca che faccio qui è matematica con un occhio all’applicazione, dove l’applicazione è la fisica dei modelli, ed è la ricerca che mi piace.

La sfida è quella di trovare una posizione permanente per me qui al Poli, dopo la borsa MSCA. È un’esperienza forte nel mio curriculum, e spero che mi aiuti nella carriera accademica futura.

Con la parte divulgativa del progetto sono venuto a contatto da poco, ma devo ammettere che è molto stimolante. L’aver scritto il progetto per la borsa mi ha aiutato ad approcciarmi al mondo della divulgazione e della comunicazione. L’apertura verso l’esterno è anche la direzione verso cui spingono le indicazioni europee di Open Science.

Provare a spiegare in maniera più semplice concetti complessi al mondo esterno al laboratorio è una vera sfida per un matematico teorico. È proprio il racconto della ricerca ad essere veramente affascinante.

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