Filippo Renga e Matteo Matteucci collaborano da alcuni anni nello studio delle tecnologie digitali impiegate nell’agricoltura. Tengono insieme il corso di Data Analytics for Smart Agriculture del programma PoliMI Ambassador in Green Technologies, che si occupa di applicare le tecniche di intelligenza artificiale all’analisi dei dati in ambito agronomico e di valorizzare il mondo dei dati anche dal punto di vista economico e strategico. Ma iniziamo dalle presentazioni.
Filippo Renga, docente del Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano, si occupa da 23 anni di digital innovation in diversi settori. È co-fondatore degli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano, nei quali si è occupato di mobile services, turismo, finanza e agricoltura. È co-autore di diversi articoli accademici ed è co-fondatore di 5 startup. Attualmente dirige l’Osservatorio Innovazione Fintech & Insurtech, Travel Innovation e Business Travel e coordina le attività a livello EU e internazionale del centro di Ricerca.
Matteo Matteucci è docente di Sistemi di Elaborazione delle Informazioni presso il Dipartimento di Elettronica Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano. La sua ricerca riguarda la robotica autonoma e l’apprendimento automatico, in particolare il riconoscimento di pattern, la percezione robotica, la visione artificiale e l’elaborazione dei segnali. È coautore di più di 50 articoli su riviste internazionali, 25 su libri internazionali, e più di 150 contributi su atti di conferenze e workshop internazionali. È stato responsabile di progetti di ricerca finanziati nazionali e internazionali su apprendimento automatico, robotica autonoma, percezione robotica e benchmarking di sistemi intelligenti e autonomi.
Partiamo da alcuni chiarimenti. A cosa ci riferiamo quando parliamo di Agricoltura 4.0? Che cosa la differenzia, ad esempio, dall’AgriTech?
FR: L’Agri Tech riguarda tutta la tecnologia applicata al mondo dell’agricoltura: non riguarda solo l’innovazione digitale, ma anche quella meccanica, biochimica, dei processi e molto altro. Ciò su cui io e Matteo ci concentriamo è in particolare l’applicazione dell’innovazione digitale nei processi produttivi dell’agricoltura. In questo caso, si parla di agricoltura 4.0: semplificando, si tratta di un paradigma che segue quello dell’industria 4.0 ed è l’unione dell’agricoltura di precisione (meccanica ed elettronica, ad esempio), che è nel mercato ormai da una trentina d’anni, con le tecnologie più recenti come l’Internet delle cose, l’intelligenza artificiale, la sensoristica, ecc.
Ci tengo subito a chiarire che, sebbene si possa pensare il contrario, l’agricoltura non è un settore arretrato; anzi, la maggior diffusione di robot (questo me l’ha insegnato Matteo) si trova nell’agricoltura, soprattutto nell’allevamento. Per fare un esempio, per tanto tempo i wereable device più diffusi sono stati quelli applicati ai bovini.
La componente che presenta senza dubbio maggiori opportunità è l’interconnettività. I sistemi di monitoraggio delle temperature nei mezzi di trasporto di alimenti, ad esempio, permettono di ritirare un prodotto dalla vendita, nel caso in cui sia decaduto come qualità; la mappatura satellitare permette, d’altro canto, di riconoscere gli stress idrici e di conseguenza intervenire con un’irrigazione mirata e più attenta. L’agricoltura 4.0 è quindi un’agricoltura più interconnessa, soprattutto a livello di filiera.
MM: La connettività e la disponibilità del dato permettono inoltre la sua storicizzazione e l’ottimizzazione dei processi grazie all’applicazione di modelli basati, appunto, sui dati. È importante sottolineare che i dati riguardano tutti i passaggi di filiera: in passato, i dati venivano raccolti principalmente negli ultimi passaggi della filiera, per ragioni logistiche e gestionali, mentre ora, grazie alla connettività, vengono già acquisiti nei campi.
L’agricoltura di precisione, già citata da Filippo, è agire dove serve, quanto serve, quando serve; la connettività del dato estende questo paradigma, perché permette di agire sul futuro attraverso modelli di previsione basati sul dato; oggi infatti i sistemi di intelligenza artificiale possono supportare le decisioni di lungo periodo grazie a questa visione di filiera che l’agricoltura 4.0 permette.
FR: Parafrasando Lord Kelvin, ciò che non si misura non può essere migliorato. È questo il senso del lavoro che stiamo cercando di fare, utilizzando l’intelligenza artificiale e l’elaborazione dei dati nel settore agricolo. I dati possono supportare anche la pubblica amministrazione nell’operare scelte concrete nel settore, come ad esempio gli incentivi, gli interventi nei casi a rischio di epidemia, la gestione di stock superiori rispetto alle quantità necessarie e così via. I dati sono inoltre utili per la certificazione delle caratteristiche di salubrità (un progetto di alcuni studenti del Politecnico ha infatti dimostrato come gli animali in Italia sono meno soggetti ad interventi con antibiotici rispetto a quelli di altri paesi) generando così più valore in tutta la filiera (si pensi ai prodotti DOP).
I dati permettono infine un’agricoltura più sostenibile, sia in senso economico che ambientale e sociale. Ad esempio, la disponibilità e la connessione del dato favoriscono l’intervento tempestivo nel caso in cui ci siano prodotti inutilizzati in una determinata regione, che possono essere impiegati in un’altra. Avendo più informazioni sprechiamo e spendiamo di meno.
Il dato è quindi un aspetto fondamentale dell’agricoltura 4.0. Professor Matteucci, qual è invece il ruolo dei robot in questo settore?
MM: I robot entrano in campo soprattutto nell’agricoltura di precisione, questa per definizione richiede infatti la comprensione del contesto al fine di prendere decisioni molto precise e puntuali. Questo genere di agricoltura si rivela spesso molto dispendiosa dal punto di vista economico e si scontra spesso con le esigenze di una produzione di massa. È l’agricoltura biologica, che prevede il recupero di alcune pratiche tradizionali e un minor impiego di pesticidi, antibiotici e fertilizzanti, ad aver stimolato l’impiego dei robot nell’ambito agricolo. I robot, ad esempio, sono in grado, in piena autonomia, di riconoscere l’erbaccia per poterla estirpare, riconoscere un frutto per decidere quando e come coglierlo, riconoscere l’insorgere di una malattia per poterla segnalare, ecc.
Per capire meglio l’importanza della robotica nel campo agricolo, e l’attenzione che questa sta suscitando non solo in ambito accademico, bisogna tenere presenti due aspetti:
1. Il mondo dell’agricoltura si trova oggi davanti a due richieste abbastanza in contrasto fra loro: da una parte vengono chiesti interventi a protezione del suolo e una riduzione del consumo di risorse, dall’altra è necessario un aumento della produzione di cibo per una sempre crescente popolazione. Queste due diverse esigenze spingono verso il miglioramento delle tecniche, reso possibile dall’impiego delle nuove tecnologie, come i campi connessi e la robotizzazione.
2. Le nuove tecnologie, in particolare i robot, rispondono al problema della mancanza di manodopera, soprattutto nel settore della raccolta. Esistono già tante macchine per la raccolta, come le vendemmiatrici automatiche o le macchine per la raccolta delle olive, ma quando è necessario distinguere il grado di maturazione di un frutto prima di poterlo raccogliere servono nuove tecnologie in particolare quelle dell’intelligenza artificiale.
FR: Vorrei fare una domanda a Matteo: quali sono secondo te le sfide che l’innovazione digitale deve affrontare nel campo agricolo?
MM: Dal punto di vista della ricerca, il settore agricolo presenta diverse sfide rispetto agli altri domini applicativi da cui provengo. Innanzitutto la variabilità: il robot impiegato in agricoltura opera infatti con un numero alto di varietà di colture, in condizioni meteorologiche e di terreno molteplici e diverse fra loro. Per usare un gioco di parole, in questo settore ho trovato terreno fertile per la mia passione da ricercatore.
Un altro aspetto sfidante è l’interazione della macchina con oggetti vivi: le piante, come gli animali, non sono manufatti o oggetti artefatti dall’uomo, bensì sono oggetti vivi che mutano. Ciò rappresenta un’interessante sfida scientifica e tecnologica per l’intelligenza artificiale e lo sviluppo degli algoritmi.
Infine, un’altra caratteristica è la multidisciplinarietà: nel mio lavoro c’è un forte scambio con altre professionalità, come ad esempio quella dell’agronomo, e quindi un maggior coinvolgimento di diverse discipline, ingegneristiche e non.
La realtà produttiva italiana è caratterizzata dalla dimensione medio-piccola delle imprese. Secondo i vostri diversi approcci ingegneristici, quanto e come incide questa caratteristica sullo sviluppo tecnologico nel settore agricolo, anche in confronto all’Europa e al resto del mondo?
FR: Dal punto di vista del mercato non abbiamo riscontrato fortissime differenze tra noi e gli altri Paesi europei. L’arretratezza di alcuni ambiti tecnologici, rispetto ad altri player mondiali, riguarda complessivamente il sistema Paese. Il mondo americano, ad esempio, è sicuramente più avanzato: grandi piattaforme Internet supportano ed influenzano alcuni elementi della fase agricola.
Sulla diffusione della tecnologia incidono senza dubbio le dimensioni ridotte delle nostre imprese: sono le istituzioni e non le singole aziende che portano avanti le innovazioni sistemiche. In Italia c’è inoltre una minore conoscenza delle tecnologie digitali da parte dell’utente. Ciò non vuol dire che nel settore agricolo non si usino completamente le tecnologie: posso farvi l’esempio di agricoltori che anni fa utilizzavano mappe satellitari misurate per calcolare il proprio compenso. È la tecnologia più complessa a mancare: in azienda non ci sono informatici esperti, spesso a fronte di grande expertise in campo meccanico. Questa assenza influenza la velocità di adozione di certe tecnologie digitali.
Il nostro lavoro è quello di far comprendere i benefici e le opportunità generate dalle soluzioni tecnologiche, affinché l’agricoltore o l’imprenditore le acquisisca, le impari e le utilizzi. Per supportare questo aspetto abbiamo avviato il progetto QuantiFarm (www.quantifarm.eu), finanziato dall’Unione Europea, dove valutiamo l’impatto di diverse tecnologie ditali in 30 filiere distribuite in Europa.
MM: Sono d’accordo: l’Italia è leader nella produzione di macchinari e attrezzature, ma dal punto di vista della tecnologia IT alcuni Paesi sono sicuramente più avanzati di noi, anche grazie agli investimenti statali. Il nostro auspicio è che iniziative come il Centro Nazionale per l’Agritech, previsto dal PNRR, incoraggino lo sviluppo tecnologico nel nostro Paese.
Per quanto riguarda l’aspetto più legato alla ricerca e alla produzione scientifica, l’Italia, come molto spesso avviene in ambito robotico, è tra i grandi player mondiali. Stiamo quindi proseguendo la tradizione italiana della robotica industriale e di servizio anche nel settore agricolo.
Concordo con Filippo: il Paese ha bisogno di inserire gli informatici, o perlomeno le competenze informatiche, nelle aziende agricole e nelle filiere agroalimentari. È vero che l’Italia non è un paese restio alla tecnologia (siamo tra i primi per la diffusione degli smartphone), ma si tratta di una predisposizione ad una tecnologia semplice, facilmente accessibile anche economicamente. La frammentazione della realtà produttiva italiana e i costi di accesso alla tecnologia hanno creato una sorta di inerzia. È quindi importante che ci sia la percezione del valore delle tecnologie e la consapevolezza del loro impatto su tutta la filiera, oltre ad una maggiore accessibilità degli strumenti per la previsione e il monitoraggio locale.
Esistono ad esempio app che aiutano ad ottimizzare la produzione dal punto di vista idrico, utilizzando i sensori nei campi, le previsioni meteo e i dati storici, ma anche app che permettono il monitoraggio della crescita di alcune varietà, suggerendo opportuni interventi agli operatori del settore, dall’agricoltore all’imprenditore agricolo.
Per riprendere l’esempio delle mappe satellitari, oggi sono disponibili droni a basso prezzo che possono fornire mappe molto precise e alla portata dell’agricoltore e dell’imprenditore agricolo, che vogliano ottimizzare la produzione.
La tecnologia ci pone quindi di fronte a molteplici opportunità, che dobbiamo saper cogliere. Pensate che ci sia anche un’emergenza che stimoli la ricerca in questo settore?
FR: L’urgenza non è tanto sul piano economico, quanto su quello della sostenibilità. È importante sottolineare che essere sostenibili significa fare attenzione a tanti aspetti contemporaneamente (basti vedere il numero degli SDGs), che possono essere in contrasto fra loro. Come possiamo risolvere questo contrasto? Come ha sempre fatto tutta l’umanità fino a questo momento: innovando. Per riuscire a fare sostenibilità veramente, è necessario innovare, cioè applicare nuove tecnologie.
MM: Le richieste sono a diversi livelli. La sostenibilità è un obiettivo strategico di medio-lungo periodo. Alcune urgenze che vediamo più come immediate, come ad esempio la carenza di manodopera di cui si parlava prima, possono fungere da catalizzatore per l’innovazione. Alcune sfide più evidenti nel presente possono quindi dimostrare i benefici dell’innovazione, della ricerca e poi dello sviluppo.
Qual è, secondo i diversi punti di vista della vostra ricerca, la grande sfida nel settore agricolo?
MM: L’opportunità è sicuramente nella disponibilità dei dati. Se in alcuni settori siamo alla rincorsa, in quello agricolo possiamo essere al passo con gli altri. L’Italia ha infatti già una leadership a livello mondiale grazie al know how nel settore agroalimentare; la sfida è cogliere le opportunità date dallo sviluppo di nuove tecniche, nuovi algoritmi e in generale nuove conoscenze.
FR: Sottolineo che nell’economia dell’informazione i dati sono diventati il nuovo petrolio: sono una fonte di valore in tutte le aziende, in tutte le società, in tutti i processi. E questo vale anche per il settore agricolo.