Acqua, tradizione e tecnologia per salvare la valle dell’Aurès in Algeria

La regione dell’Aurès intorno a Biskra, non lontano dal Sahara algerino, sta affrontando difficili sfide, legate al cambiamento climatico e non solo: desertificazione, calo di produttività agricola, sgretolamento del tessuto comunitario rurale, spopolamento dei nuclei antichi dei centri abitati tradizionali e perdita di quelle conoscenze che per millenni hanno reso l’area abitabile e produttiva.

Il progetto AMAZING, finanziato con i fondi del Polisocial Award per l’edizione 2022 (“Sviluppo Locale e Transizione Ecologica”), si propone di contribuire a rendere la valle del Uadi Abiod, oggi tra le più aride dell’Aurès, centro di una rete attiva di produzione di conoscenza, in grado di coniugare tecnologia e scienze tradizionali nel gestire sfide climatiche, naturali e sociali.

Giovanni Porta
Giovanni Porta

Il coordinatore della ricerca, prof. Giovanni Porta (DICA), ce ne descrive le linee generali.

Prof. Porta, buongiorno. Ci racconti anzitutto il luogo. Di quale contesto stiamo parlando?

Di una zona montuosa al confine tra la zona mediterranea e quella desertica sahariana. Si tratta di un territorio eterogeneo che comprende una città con sede universitaria (Biskra), ambienti montani e valli coltivate. La stessa valle del Uadi Abiod, su cui si concentra AMAZING, alterna paesaggi diversi, che vanno dalla macchia ad aree semi-desertiche, fino ad estese coltivazioni agricole. I centri abitati hanno dei nuclei antichi, ora in buona parte abbandonati, con abitazioni costruite in pietra, terra cruda e legno di palma, in cui tecniche costruttive e disposizione degli spazi rispondevano in modo molto efficace a condizioni climatiche estreme e alle esigenze dei cicli agricolo-pastorali.

Abitazioni storiche e palmeto di M’Chouneche
Abitazioni storiche e palmeto di M’Chouneche. Il nome berbero della localita’ e’ Himsunin che significa “i paradisi”

Che cosa si coltiva nella valle?

Quasi esclusivamente palme da dattero, con palmeti che si estendono su ampie aree. E proprio qui sta uno dei principali problemi affrontati dal progetto: la futura chance di sopravvivenza di questo tipo di agricoltura, quindi di questo territorio.

Per quale motivo?

L’acqua, che è sempre meno disponibile. I palmeti tradizionali sono dei giardini con diversi strati di vegetazione, che necessitano di una regolare manutenzione e di condizioni idrauliche particolari, che però non sono più quelle di un tempo, per vari motivi tra loro legati. A causa del riscaldamento globale, l’Uadi (il fiume intermittente che bagna la valle) porta sempre meno acqua e un sistema di canali che un tempo alimentava i palmeti non esiste più. Con la loro scomparsa si disgregano anche i metodi tradizionali, con cui da secoli la gente del luogo sapeva gestire queste colture e questo paesaggio, e diventa più probabile che le persone abbandonino la valle. È un circolo vizioso: con la scomparsa dell’acqua cala la produzione agricola, la forza lavoro se ne va, scompaiono gli antichi saperi, i villaggi decadono, gli arbusti sostituiscono le palme (e con loro un paesaggio millenario) e ciò che rimane è un territorio spoglio, con scarse prospettive di sviluppo.

Palmeto nei pressi dell’abitato storico di M’Chouneche
Stato attuale di degrado di un palmeto nei pressi dell’abitato storico di M’Chouneche

Vengono praticate delle alternative?

C’è chi pensa a pompare acqua dal fiume, ma si tratta di un metodo costoso e complesso da gestire. In queste parti più alte della valle non si può nemmeno ricorrere al pompaggio delle acque sotterranee, come invece accade nelle zone desertiche pianeggianti intorno a Biskra, dove coltivazioni sconfinate sono alimentate così. Ma si tratta di un’agricoltura industriale in territori praticamente disabitati, tutt’altro genere di paesaggio.

Allora quali soluzioni possiamo immaginare?

Un connubio efficiente fra tecnologie moderne e scienze tradizionali. Il sistema di irrigazione che stiamo studiando si basa su canali dismessi ma esistenti da secoli, legati a un patrimonio culturale millenario. Uno degli scenari possibili è quello di recuperare parte di questo sistema, laddove utile, integrandolo con l’utilizzo delle falde acquifere sotterranee e altre fonti secondarie (come il recupero di acqua dall’ambiente costruito). In generale, la gestione integrata della risorsa idrica è un’innovazione necessaria a questi territori, da bilanciarsi a seconda della minaccia climatica. Perciò stiamo costruendo un modello quantitativo che ci permetta di valutare vari scenari futuri per l’agricoltura locale. È un’azione che ci sta impegnando molto, perché presuppone anzitutto un ascolto e un dialogo costante con gli abitanti e attori locali, primi conoscitori del luogo e della sua storia, primi attuatori di un possibile cambiamento e al contempo primi suoi beneficiari, ma anche coloro che dovranno fronteggiare le fatiche della transizione. Per questo abbiamo organizzato vari focus group con gli abitanti di M’Chouneche, uno dei villaggi della valle.

Sistema di irrigazione tradizionale
Il sistema di irrigazione tradizionale nel passato (a sinistra) e oggi, non più funzionante

Dunque l’acqua è al centro del vostro progetto

Non solo. Il progetto nasce da precedenti ricerche, finanziate dal MAECI dal 2017, congiunte tra dipartimento DAStU, università di Annaba e università di Biskra (nostri attuali partner), focalizzate su beni culturali, paesaggio culturale, restauro e archeologia. L’idea di AMAZING, con l’inclusione di altri dipartimenti, è stata di estendere il perimetro ad altri temi, senza abbandonare l’attenzione verso il patrimonio costruito, anzi approfondendola in un’ottica di circolarità, poiché, come accennato, l’architettura tradizionale offre soluzioni sostenibili sia in termini di materiali da costruzione, che di prestazioni energetiche, che vanno però attualizzate.

Ci spieghi questo aspetto

Adottare una prospettiva di economia circolare significa sfruttare il riuso di risorse locali. Nel nostro caso gli scarti delle palme, su cui i colleghi dell’Università di Biskra in collaborazione con in Politecnico stanno lavorando da diverso tempo; questi scarti sono molto abbondanti ma attualmente inutilizzati, e danno una fibra che è un ottimo materiale edile, resistente ed ecologico, impiegabile sia nelle nuove costruzioni sia per il restauro del costruito storico. La zona è infatti caratterizzata dalla presenza di un’architettura vernacolare di valore, testimoni della cultura berbera e di un’identità locale da valorizzare. Riqualificare il tessuto edilizio storico rappresenta anche un ulteriore incentivo alla permanenza degli abitanti nei villaggi tradizionali, come alternativa al trasferimento in case nuove, ma (come abbiamo verificato) con livelli di comfort molto carenti e le cui prestazioni termoisolanti sono inferiori a quelle delle case tradizionali.

L’acqua rimane comunque un elemento centrale in quello che immaginiamo come un circolo virtuoso: se – combinando tecnologie moderne e recupero di tradizioni locali – si assicura in modo sostenibile l’acqua all’agricoltura, i palmeti potranno generare prodotti primari e secondari fondamentali per l’economia e il contesto locale. Allora questo territorio potrà intraprendere percorsi di resilienza e, perché no, di ripopolamento. Ciò significa anche diversificare l’economia, ad esempio aumentando le entrate dall’ospitalità (turismo sostenibile), che andrebbero a compensare inevitabili perdite imposte all’agricoltura dai cambiamenti climatici, specialmente in alcune zone. La volontà locale c’è e lo dimostra l’importanza per la comunità della casa museo del Colonnello Sidi El Houes, che racconta l’orgoglio sia per la lotta per l’indipendenza algerina, sia per l’ingegno della cultura materiale di questa regione.

Come vi state muovendo per implementare il progetto?

Stiamo agendo su due pilastri. Il primo è un cantiere-scuola pilota per fare ricerca e formazione sul restauro, lavorando su un edificio storico (la casa museo appunto) assieme agli attori locali. Il secondo è lo studio della sostenibilità degli edifici, ovvero su materiali innovativi e ventilazione naturale, che stiamo facendo con alcuni dottorandi dell’università di Biskra.

Il gruppo di ricerca AMAZING assieme alla comunità locale
Il gruppo di ricerca AMAZING assieme alla comunità locale

Quale risposta state ricevendo da comunità e partner locali?

È importante dire che tutte le attività sono svolte in stretta collaborazione, in un’ottica di inclusività della ricerca al di fuori del mondo accademico. Questi processi, infatti, non possono essere diretti dall’esterno, prescindendo da una piena comprensione e da un sostegno da parte delle comunità interessate. Ci stiamo impegnando molto verso quello che per noi non è un trasferimento di conoscenza, bensì uno scambio culturale dove fondamentale è fare esperienza sul campo, comprendere i punti di vista di chi conosce e abita i luoghi e condividere una definizione dei problemi; altrimenti è impensabile che si integrino antiche e nuove conoscenze e tecnologie innovative. Per questo dobbiamo ringraziare anche le università di Biskra e di Annaba, che stanno facendo un lavoro di intermediazione, nonché Poliedra che ci supporta nella progettazione di attività partecipative e di scambio.

Poi c’è un “GIS di comunità”. Di cosa si tratta?

Ci stiamo facendo raccontare dagli abitanti quello che sanno della valle, dei suoi luoghi e della sua storia, e abbiamo cominciato a costruire una mappa digitale (GIS). L’idea è che nel GIS, oltre ai dati ufficiali, anche queste conoscenze locali siano visibili, mantenute e implementate; conoscenze che hanno solo gli abitanti della valle e che è necessario valorizzare. Si parla di acqua, agricoltura, insediamenti, beni culturali e altri aspetti sociali ed economici. Per noi questa forma di mappatura partecipativa rappresenta anzitutto uno strumento di conoscenza. Ad esempio, parlando con gli abitanti più anziani abbiamo scoperto che un tempo la valle era popolata da mulini ad acqua. Questa ed altre informazioni ci aiutano a conoscere la storia del sistema idraulico locale e a dare una dimensione all’impatto dei cambiamenti climatici, scoprendo dei paesaggi passati che non esistono più e immaginando scenari futuri.

Workshop di mapping partecipativo
Workshop di mapping partecipativo con le comunità locali, membri del gruppo AMAZING, professori, studenti e dottorandi delle università di Biskra e Annaba

Quali gratificazioni personali sta ricevendo da AMAZING?

Il fatto di avvicinarmi ad un problema vero e complesso, che si può affrontare in più modi, dove sono messo nelle condizioni di poter dare un contributo all’ideazione di soluzioni. È un’occasione per uscire dal dipartimento e mettere in pratica modelli sperimentati per anni in laboratorio, con tutte le difficoltà, i limiti e gli imprevisti che comporta l’incontro e ‘scontro’ con una situazione reale. Molto diverso da cose che ho fatto e che faccio nella mia ricerca. È chiaro che il risultato pratico lo vedremo solo se riusciremo ad attivare e a collaborare con gli interlocutori algerini, ma devo dire che stiamo incontrando molta disponibilità ed entusiasmo. Anche questo è motivo di grande soddisfazione.

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