BUDD-e, il robot guida per ciechi con cui correre al parco

Marcello Farina

Molti ciechi e ipovedenti, che spesso dipendono da altre persone per le attività all’aperto e la fruizione di servizi e spazi pubblici, hanno subito una riduzione della loro autonomia durante la pandemia e i vari lockdown. Il progetto BUDD-e (Blind-assistive aUtonomous Droid Device), tra i vincitori dell’edizione Polisocial Award 2021 “Equità e Ripresa”, nasce per promuovere una maggiore libertà di queste persone con l’idea di sviluppare un robot-guida sostitutivo dell’accompagnatore umano.

L’iniziativa, a carattere multidisciplinare, coinvolge tra i propri partner vari rappresentanti di ciechi e ipovedenti: Fondazione Istituto dei Ciechi di Milano, UICI (Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti), quattro Onlus e associazioni sportive.

Abbiamo chiesto al professor Marcello Farina (DEIB), responsabile del progetto, di raccontarci questo percorso.

Prof. Farina, cominciamo da lei. Aveva già fatto ricerca sul fronte delle disabilità?

No, è un’esperienza nuova. Un giorno ho visto un ragazzo cieco che correva al centro sportivo Giuriati, sono tornato a casa e ho chiesto a mia moglie (che è insegnante di sostegno): “ma come fa ad allenarsi”? Risposta: “con l’aiuto di un caregiver”. Da quello spunto e da alcune prime domande è nata l’idea di ricerca. Mia moglie, soprattutto all’inizio, mi ha spronato molto a cimentarmi in questo progetto, riconoscendone il potenziale e aiutandomi anche a superare timori e incertezze su come interfacciarmi con questa categoria, che linguaggio usare (ho imparato che cos’è un “tiflologo”!) e altri aspetti. Ad esempio, ho imparato che “non vedente”, contrariamente a una convinzione molto diffusa, non è un termine apprezzato dai ciechi, perché evidenzia una mancanza. Dire “ciechi” o “sordi” invece rimarca l’appartenenza a comunità dotate di un’identità propria, interessi particolari, risorse e anche capacità di attivismo.

BUDD-e in azione

Qual è, in sintesi, lo spirito del progetto?

Proprio quello di “liberare” le persone cieche dalla dipendenza dal caregiver, per lo svolgimento di attività che vanno dal giro al parco o al centro commerciale, alla visita in ospedale, fino alle attività sportive e nella fattispecie la corsa. Con un potenziale impatto sul quotidiano, anche psicologico, che si sta rivelando molto più grande di quanto ci aspettassimo. In questo senso possiamo parlare di un progetto di innovazione sociale, anche se con un’anima tecnologica.

In che senso?

La sfida è, per noi, quella di soddisfare un grosso bisogno di autonomia. Tempo fa una ragazza cieca ci ha confessato che un suo grande rammarico è dover sempre chiedere aiuto ad altri, sentendo di pesare ogni volta su di loro anche per piccoli desideri o bisogni quotidiani e dovendo rinunciare se queste persone non sono disponibili. Come è emerso dai nostri questionari, più del 70 percento di ciechi e ipovedenti visita regolarmente luoghi pubblici ma “in compagnia di amici o parenti”; un quadro che si fa ancora più serio se consideriamo che la quasi-totalità dei ciechi assoluti si colloca in questa quota, dipendendo sempre da altri. La sfida del progetto è proprio quella di permettere l’autonomia a quei segmenti di popolazione per cui essa al momento non è possibile. In altre parole, il nostro sogno è che una quota di popolazione esca da quel 70 percento ed entri in una nuova voce: “con guida robotica”. L’idea di BUDD-e sta sollevando entusiasmi tra i nostri partner ciechi soprattutto per il fatto di sapere che, in un futuro ipotetico, si potrà fare una passeggiata senza chiedere nulla a nessuno, ma solo prenotando un dispositivo sempre disponibile.

Vale anche per l’attività sportiva?

Sì. Un altro dato è che la maggior parte delle persone non pratica sport soprattutto per paura di farsi male, mentre nella quota di chi lo pratica da solo troviamo solo ipovedenti (i ciechi totali sono pochi anche tra chi fa sport ricorrendo al caregiver). In parole povere, la guida robotica permetterebbe di modificare queste quote a beneficio di chi ora incontra più barriere: chi non fa sport potrebbe farne e chi ricorre al caregiver potrebbe fare a meno di quest’ultimo. Dalle nostre prove al Giuriati abbiamo verificato che BUDD-e potrebbe essere un valido supporto nella corsa lenta, come ci ha confermato l’atleta e campionessa cieca Arjola Dedaj, con cui ne ho parlato.

BUDD-e in fase di test

Quindi si può dire che BUDD-e è un caregiver sempre disponibile?

In un certo senso sì. BUDD-e si legge “buddy”, che in inglese vuol dire amico, ma anche compagno o assistente. Buddy è anche il nome del primo cane guida della storia, e in effetti la volontà è di portare un’esperienza analoga a quella che si ha col cane, ma con qualche facoltà in più.

Qual è la differenza tra cane e robot, in questo caso?

Il cane si limita ad evitare gli ostacoli e a portare le persone al loro recapito (a casa o altrove), ma solo se ha già fatto quel percorso e lo conosce. Invece il robot può essere indirizzato verso recapiti selezionati ad hoc, se prima informato con l’inserimento di mappe registrate. Da questo punto di vista, anche se ispirato al cane, BUDD-e è più simile a una guida umana.

Il progetto percorre tre strade: una tecnologica, una architettonica e un’altra relativa al coinvolgimento degli utenti. Partiamo alla prima: in cosa consiste la tecnologia di BUDD-e?

Si tratta di un robottino assistivo dotato di telecamere, GPS e Lidar, una tecnologia che permette al robot di riconoscere l’ambiente circostante (se già mappato) e localizzarsi al suo interno. Punto di partenza è un piccolo robot a due ruote già esistente di nome Yape, su cui stiamo innestando nuove funzionalità, a partire da un’interfaccia fisica con l’utente cieco che abbiamo chiamato “smart tether”: un verricello installato all’interno, cui è collegato un cavo con una manopola che starà in mano all’utente. Una volta che l’utente percepisce una tensione, generata e mantenuta costante da un sistema di controllo, significa che può cominciare a camminare. A quel punto un secondo sistema di controllo mantiene una distanza costante tra utente e robot, che così può muoversi alla stessa velocità della persona. Il tutto consente una massima sicurezza e stiamo valutando se progettare anche un’interfaccia vocale.

Dentro BUDD-e

C’è poi una componente legata all’architettura

Certo. Il nostro team include architetti del dipartimento ABC, che stanno valutando l’accessibilità di ambienti interni ed esterni da parte dell’utente con guida. Abbiamo già condotto dei sopralluoghi con il robot presso l’ospedale di Niguarda (che è nostro partner), per registrare le mappe dei percorsi e individuare gli ostacoli e il modo per arginarli, o eventualmente eliminarli. Questo chiama in causa anche l’idea di architettura, che deve interfacciarsi con una componente di intelligenza artificiale come sua parte integrante.

Quindi BUDD-e è pensato per ambienti sportivi e ospedalieri?

Non solo. Al momento siamo concentrati su questi due ambiti, ma il nostro desiderio è che BUDD-e venga acquistato, oltre che da ospedali e poli sportivi, anche da centri commerciali, aeroporti, amministrazioni locali per l’uso nei parchi e per altri servizi, come facility a disposizione degli utenti. Stiamo studiando diversi scenari applicativi.  

Un aspetto molto rilevante del progetto BUDD-e è quello relativo al coinvolgimento degli utenti (ciechi e ipovedenti). In che termini si traduce la loro partecipazione?

Finora hanno preso parte ai vari focus group e sondaggi, con oltre quattrocento risposte ai questionari, aiutandoci a capire come orientare il lavoro. Un altro contributo-chiave è la partecipazione ai test con i quali stiamo verificando l’efficacia del robot come accompagnatore in contesti reali. In questo ci stiamo anche avvalendo di magliette sensorizzate sviluppate dal professor Giuseppe Andreoni (TeDH/Design e membro del team di BUDD-e), che ci permettono di rilevare variazioni nel livello di stress dell’utente cieco nel passaggio dall’accompagnamento umano a quello robotico. Ciò potrà indicare il livello di accettazione del robot da parte di chi lo usa per la prima volta, per capire se sia necessario lavorare su aspetti che permettano di ridurre paura e diffidenza.

Il team di ricerca di BUDD-e

Possiamo parlare di un vero partenariato di ricerca?

Assolutamente sì, anche in luce di una carica proattiva dei nostri partner e un entusiasmo che non ci aspettavamo. La Fondazione Istituto dei Ciechi di Milano, che è diventata nostro consulente scientifico, ha espresso l’intenzione di condurre direttamente alcune parti della ricerca e saranno loro ad occuparsi del reclutamento dei volontari per i test finali, quindi di raccogliere e analizzare i dati insieme a noi, fino ad un’auspicata fase di follow-up. BUDD-e sarà di fatto un prodotto co-progettato. In generale, sin dall’avvio del progetto ho avuto conferma del vecchio motto dell’attivista cieco Ron Chandran-Dudley: “niente su di noi, senza di noi”.

Condividi