Amuchina e Polichina, una storia lunga un secolo

Fino a poco tempo fa l’Amuchina era un prodotto di uso comune nella pulizia delle superfici di casa o nell’igienizzazione del bucato. Un nome talmente radicato nelle nostre vite, da perdere il suo carattere di marchio, per arrivare a indicare genericamente qualsiasi disinfettante di impiego domestico.
Nessuno si sarebbe mai immaginato che l’anno scorso questo prodotto, di cui la maggior parte di noi ignora la storia e le origini, avrebbe goduto di un nuovo, inaspettato successo, diventando il protagonista delle nostre vite quotidiane nella sua forma di disinfettante per le mani.

Anche il Politecnico di Milano ha un ruolo in questa lunga storia. Facendo una visita nei nostri Archivi Storici, possiamo ancora trovare il documento da cui tutto questo – potremmo dire – ebbe inizio.
Da un foglio protocollo ingiallito dal tempo, veniamo a conoscenza che era il dicembre 1919 quando Oronzio De Nora, giovane studente di origini pugliesi, faceva domanda di iscrizione al primo anno della Scuola d’Applicazione, sezione di Ingegneria Industriale.

La domanda di iscrizione di Oronzio De Nora al primo anno della Scuola di applicazione, sezione ingegneria industriale, del Regio Istituto Tecnico Superiore di Milano.

Allora ci chiamavamo ancora “Regio Istituto Tecnico Superiore di Milano” e la nostra sede era in piazza Cavour, nel Palazzo della Canonica, ora demolito, dove oggi troviamo appunto via del Vecchio Politecnico. Erano tempi pionieristici per i laboratori chimici: all’inizio ci si avvaleva di quelli della Società di Incoraggiamento di Arti e Mestieri e della Scuola di Agricoltura, solo nel 1920 un piccolo laboratorio provvisorio per le esercitazioni di chimica generale fu ricavato adattando un portico chiuso al primo piano del Palazzo.

C’è una leggenda sull’invenzione dell’Amuchina. Nel 1922 De Nora stava lavorando alla sua tesi sull’elettrolisi dei cloruri alcalini. Un giorno, mentre lavorava in laboratorio su una cella elettrolitica, si ferì alla mano. In quel momento l’elettrolita era acqua e sale e, conoscendo gli effetti disinfettanti della soluzione, vi immerse la mano, che successivamente fasciò. La sera, quando tolse il bendaggio, si accorse che la ferita era già cicatrizzata. Anche il padre fece da “cavia”: una volta ricevuto a Bari il pacchetto di soluzione, lo sperimentò facendo gargarismi durante una tonsillite, e il dolore sparì. Da qui l’intuizione di Oronzio De Nora sull’impiego dell’ipoclorito di sodio come disinfettante e cicatrizzante.

Il laboratorio di chimica dell’Istituzione Elettrotecnica Carlo Erba presso la sede di piazza Cavour del Politecnico di Milano: qui un giovane Oronzio De Nora avrebbe “inventato” la prima versione dell’Amuchina (fonte foto: Archivi Storici Polimi)

Una volta laureatosi in ingegneria elettrotecnica, nel 1923, a soli 24 anni, depositò il fortunato brevetto per la produzione di ipoclorito di sodio. La sua soluzione acquosa, in varie concentrazioni a seconda degli usi, si rivelò un antimicrobico rapido, potente e ad ampio spettro. De Nora la chiamò Amuchina, prendendo spunto dalla parola greca che indica una lacerazione. Nel 1924 fondò la Industrie De Nora, divenendo il pioniere della realizzazione di impianti per la produzione di cloro e soda caustica.

Da allora l’Amuchina, pur rimanendo costantemente usata nel tempo, ha visto periodici ritorni alla ribalta. Negli anni Trenta del secolo scorso veniva usata soprattutto per combattere la tubercolosi. Durante la Seconda guerra mondiale trovò invece impiego nella disinfezione dell’acqua da bere. Tra il 1950 e il 1980 diventò il prodotto più utilizzato negli ospedali per la disinfezione delle macchine per dialisi. Negli anni Ottanta, dopo l’epidemia di colera nell’Italia meridionale, diventò il disinfettante più usato per la disinfezione dell’acqua da bere, di frutta e di verdura.

Dal suo esordio sono passati quasi cento anni, e nel 2020 un’altra emergenza sanitaria, quella del Covid-19, ha colpito l’Italia e tutto il mondo. Le autorità sanitarie considerano indispensabile una costante igienizzazione delle mani per limitare la diffusione del virus: si moltiplicano così piccoli flaconi di Amuchina, questa volta in una formulazione a base di etanolo e glicerolo, che rispetto all’ipoclorito di sodio ha il pregio di non essere aggressiva per la pelle. Ma nei primi mesi dell’emergenza, i negozi vengono presi d’assalto, le scorte si esauriscono e i prezzi del prezioso liquido impennano.

È in quel momento che nasce l’idea della Polichina. Nei laboratori del Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica “Giulio Natta”, sotto la guida della direttrice Mariapia Pedeferri, a partire dal 16 marzo partono la sperimentazione e la produzione. Si tratta di un liquido igienizzante preparato secondo la ricetta dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, come ci ha spiegato il prof. Carlo Punta durante un evento dedicato alle ragazze e ai ragazzi. Gli ingredienti sono semplici, ma efficaci: etanolo, glicerolo, acqua ossigenata e acqua depurata.

I primi passi di Polichina

Polichina ha da subito una grande eco sui mezzi di comunicazione, in un periodo così critico. Da quei primi giorni, grazie alle competenze del nostro ateneo, la produttività e l’efficienza sono tanto migliorate da poter erogare ogni giorno fino a 6.000 litri di liquido igienizzante per le mani a tutti i diversi enti del territorio. Anche grazie ai nostri donatori, abbiamo offerto gratuitamente più di 107.000 litri di Polichina alle Aziende Socio Sanitarie Territoriali, alle Protezioni Civili della Lombardia e alle carceri di Milano (San Vittore, Opera e Bollate).

Durante la lezione online del prof. Punta, è stata inoltre lanciata l’iniziativa “Polichina for kids”, rivolta ai giovani tra i 7 e i 13 anni. L’invito è stato quello di inviare disegni e frasi da trasformare in etichette da attaccare sui flaconi di Polichina. È stato un modo per rallegrare quegli austeri contenitori, e fare in modo che potessero essere il veicolo di un segno di vicinanza e di pensieri d’affetto alle persone impegnate in prima linea nella lotta al Covid-19.

Dopo la fine della fase acuta dell’emergenza sanitaria, la produzione attuale è destinata a fabbisogni interni al Politecnico. La produzione totale ha oggi superato i 110.000 litri.

L’esperienza di Polichina non si limita alla produzione interna all’ateneo, ma diventa patrimonio comune. Il professor Davide Moscatelli ha infatti realizzato un video disponibile in oltre 10 lingue che illustra come installare un impianto per la produzione della soluzione, per favorirne la realizzazione in loco in contesti rurali e periurbani dei paesi in via di sviluppo.

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