Cattura e stoccaggio della CO2: una tecnologia promettente per la lotta al cambiamento climatico

Una sfida importante della contemporaneità riguarda la lotta al cambiamento climatico e alla riduzione delle emissioni di gas serra. In questa ricerca incessante di soluzioni innovative, si fa strada una tecnologia emergente: lo stoccaggio della CO2 in acqua. Noi di Frontiere abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Piero Macchi, professore ordinario a tempo pieno del Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica “Giulio Natta” (CMIC) del Politecnico di Milano e la dottoranda del CMIC Selene Varliero, che ha svolto un periodo di ricerca a Creta incentrato sullo studio di questa tecnica, per approfondire questa tecnologia.

Scopriremo cosa significa stoccaggio della CO2 in acqua, come funziona e quali sono i suoi vantaggi e limitazioni, esplorando il ruolo della ricerca condotta dal Politecnico nel contribuire allo sviluppo di questa soluzione cruciale nella lotta al cambiamento climatico.

Professor Macchi, parliamo di stoccaggio della CO2 in acqua. Potrebbe spiegarci brevemente di cosa si tratta e perché è importante?

PM: Il campo della cattura e stoccaggio della CO2 si affianca a quello della riduzione delle emissioni di gas serra e della decarbonizzazione. La cattura di CO2 comprende le tecnologie per rimuovere la CO2 dall’atmosfera o dagli scarichi di impianti industriali che la producono in quantità importanti, come ad esempio centrali termiche e cementifici. Per stoccaggio si intende la conservazione a lungo termine della CO2 catturata. Queste tecnologie rientrano quindi tra quelle ad emissione negativa, in contrasto con molte attività umane che hanno portato a una crescita preoccupante dell’anidride carbonica in atmosfera. È un ambito che comprende un aspetto ambientale ed uno industriale, poiché le quote di CO2 sono oggetto di commercio e rappresentano un settore economicamente promettente. Quindi, in questa ricerca c’è un’integrazione tra gli aspetti ambientali e quelli economici, cercando di ottenere una vittoria doppia: generare profitto e allo stesso tempo fare del bene all’ambiente.

Quali sono le principali strategie per lo stoccaggio della CO2?

PM: Ci sono diverse strategie per lo stoccaggio della CO2. La tecnologia più utilizzata è quella dello stoccaggio geologico, ovvero stoccare anidride carbonica in depositi fossili esausti. Altre possibilità sfruttano processi naturali come la fotosintesi, da parte delle piante. Questo può essere realizzato anche artificialmente con processi chimici, che implicano una reazione chimica per trasformare questo composto in altri materiali. Un’altra strategia consiste nel non modificare direttamente la molecola di CO2, ma piuttosto in un suo immagazzinamento in una forma che non rappresenti un pericolo, ad esempio l’assorbimento in solidi che consente un immagazzinamento a lungo termine. Per lungo termine, si intende un periodo di centinaia o migliaia di anni. Questo dovrebbe essere fatto alla scala di milioni di tonnellate all’anno, se si vuole che sia significativo rispetto alla CO2 immessa nell’atmosfera ogni anno dalle attività umane.

Mesocosmi utilizzati per condurre esperimenti sullo stoccaggio della CO2 in acqua

Cosa si intende con lo stoccaggio della CO2 in acqua? Come funziona?

PM: Già oggi, gli oceani contengono una quantità di CO2 molto superiore a quella nell’atmosfera. Sono in grado di assorbirne anche di più, con processi lenti che però possiamo accelerare artificialmente. La dissoluzione di quantità importanti di anidride carbonica nei mari deve essere fatta in modo da non alterare il loro pH, un parametro molto delicato per la sopravvivenza delle specie viventi. Sono state proposte diverse tecniche, come l’uso di calce spenta (idrossido di calcio) o carbonati, per aumentare l’alcalinità dell’acqua e favorire l’assorbimento della CO2 direttamente dall’atmosfera.

È importante mantenere il pH stabile per evitare conseguenze negative sull’ecosistema marino. L’acidificazione dei mari, causata dall’aumento di CO2 in atmosfera, ha già fatto dei danni. È importante contrastare questo fenomeno, senza eccedere dal lato opposto. L’obiettivo è quindi preparare una soluzione alcalina contenente bicarbonato di calcio, che è una forma stabile dell’anidride carbonica disciolta in acqua, allo stesso pH dell’acqua marina, per poi diluirla in mare. In questo modo, la CO2 viene immagazzinata in modo sicuro e rispettoso dell’ambiente marino.

Abbiamo condotto molti test, compreso un lungo esperimento presso il porto di La Spezia in collaborazione con una startup, per valutare l’efficacia di una nuova tecnologia basata su questi principi. Nonostante alcune difficoltà durante l’esperimento, è emerso che la CO2 viene effettivamente mantenuta nell’acqua per un periodo sufficientemente lungo, senza che si registrino alterazioni del suo pH e di altre proprietà chimico-fisiche.

Quali sono i principali vantaggi di questa tecnologia?

PM:La cattura e lo stoccaggio della CO2 in acqua offrono vantaggi significativi. Innanzitutto, l’acqua è un’ampia risorsa disponibile a livello globale, il che significa che il potenziale per lo stoccaggio di grandi quantità di CO2 è notevole. Trasferendo l’anidride carbonica dall’atmosfera all’acqua, possiamo contribuire a ridurre le concentrazioni di CO2 nell’aria, mitigando così gli effetti di uno dei principali gas serra.

Un altro vantaggio importante è che lo stoccaggio della CO2 in acqua può avvenire in modo sicuro ed efficiente. L’acqua fornisce un ambiente stabile e controllabile in cui l’anidride carbonica può essere trattenuta e immagazzinata a lungo termine. Ciò riduce il rischio di perdite o fughe di CO2 nell’atmosfera. Inoltre, la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica in acqua possono essere integrate con altre soluzioni energetiche. Ad esempio, si potrebbero utilizzare le fonti di energia rinnovabile per alimentare i processi di cattura o quelli di abbattimento da gas di scarico. Questa sinergia tra tecnologie sostenibili è un aspetto molto promettente per affrontare la sfida dei cambiamenti climatici.

Quali sono le principali sfide o limitazioni associate alla cattura e allo stoccaggio della CO2 in acqua?

PM: Innanzitutto, il processo di cattura richiede l’utilizzo di sostanze alcaline, che possono essere costose e potenzialmente dannose per l’ambiente, se gestite non correttamente. È importante garantire che queste sostanze vengano utilizzate in modo sicuro e responsabile, per evitare impatti negativi sull’ecosistema acquatico. Inoltre, il processo deve raggiungere la massima efficienza per non sprecare le sostanze in gioco. Va poi considerato che la capacità di stoccaggio dell’acqua per la CO2 è elevata ma non infinita. Esiste quindi un limite alla quantità di CO2 che può essere assorbita e trattenuta in una determinata quantità di acqua.

Infine, è importante considerare gli impatti a lungo termine dell’immagazzinamento della CO2 in acqua. Mentre l’acqua può fornire un ambiente relativamente stabile per la cattura dell’anidride carbonica, è necessario monitorare attentamente l’effetto dell’accumulo di grandi quantità di CO2 sulle caratteristiche chimiche e biologiche dell’acqua stessa.

La dottoressa Selene Varliero con il gruppo di ricerca al centro HCMR (Hellenic Center for Marine Research)

Dottoressa Varliero in cosa è consistita la sua esperienza di ricerca e dove si è svolta?

SV: La ricerca si è svolta a Creta, al centro HCMR (Hellenic Center for Marine Research) in un progetto in collaborazione con l’università di Milano Bicocca (in particolare con la professoressa Daniela Basso), nel contesto del progetto AQUACOSM. 

La sperimentazione che si è svolta a Creta consisteva nel testare il processo di ocean liming, ovvero lo spargimento sulla superficie del mare di grandi quantità di sostanze alcaline che contrastino l’aumento di acidità, in un sistema il più vicino possibile al mare. In particolare, l’intera sperimentazione è stata svolta in mesocosmi, strutture che contengono grandi quantità di acqua di mare (circa 3m3) non filtrata né trattata. I mesocosmi sono strutture utilizzate perché permettono di riprodurre l’ambiente marino, seppur confinato, come non è possibile fare in laboratorio. In queste strutture abbiamo potuto testare come lo spargimento di idrossido di calcio provochi l’assorbimento di CO2, e l’incremento di alcalinità in mare. Inoltre, come grande valore aggiunto, sono stati fatti studi sugli effetti del processo sul biota marino. Queste tipo analisi sono state svolte grazie alla collaborazione con diversi team di ricerca, ognuno dei quali si è occupato di un indicatore del benessere dell’ambiente marino.

Quali risultati sono stati ottenuti?

SV: La sperimentazione aveva lo scopo principale di determinare quale sono le concentrazioni di idrossido di calcio che ottimizzano il processo e che non hanno effetti negativi sul biota. Per trovare queste soglie di concentrazione, abbiamo sottoposto il sistema a dosaggi incrementali per poter identificare quali sono gli aspetti critici a seguito dell’alcalinizzazione. L’esperimento si è appena concluso, quindi molti dati vanno ancora analizzati e rielaborati. Tuttavia, i risultati preliminari indicano che siamo riusciti a identificare la soglia di stress per il sistema, che dei valori di dosaggio di idrossido che non suscitano effetti negativi sull’ambiente trattato.

Che ruolo sta svolgendo la ricerca del Politecnico sullo stoccaggio di CO2 in acqua?

SV: Al Politecnico ci sono diversi dipartimenti con cui collaboriamo e che si occupano del processo: al Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale (DICA) e il Prof. Stefano Caserini, al Dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziali (DAER), dove in collaborazione con la Prof.ssa Abbà si studia la dispersione in ambiente marino. In particolare, il nostro team del CMIC si occupa delle analisi che caratterizzano l’efficienza del processo.

Quale futuro vede per questa tecnologia?

SV: Credo che questi processi abbiano tutte le possibilità per essere effettivamente implementati per l’assorbimento di CO2. Per ridurre le concentrazioni di anidride carbonica in atmosfera bisogna prima di tutto decarbonizzare i nostri sistemi produttivi, quindi smettere di emettere CO2. Ma secondo l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) è anche chiaro che per mantenere il riscaldamento climatico sotto 2°C sarà necessario anche sottrarre CO2 dall’atmosfera. 

È ormai molto probabile che non ci sarà una singola tecnologia che possa “risolvere” il problema del cambiamento climatico. Sarà necessario disporre di diversi processi per emissioni negative da utilizzare in base alle necessità del processo, gli effetti secondari e il luogo di applicazione. In un contesto del genere, i processi di ocean liming e limenet si integrano bene come future tecnologie di stoccaggio, grazie anche al co-beneficio di contrasto all’acidificazione.

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