Esplorare le proprietà dei fili atomici di carbonio per sfruttarne le potenzialità applicative. È stato questo l’obiettivo del progetto EspLORE che si è recentemente concluso dopo cinque anni di lavoro. Un progetto guidato dal professor Carlo S. Casari del Dipartimento di Energia, finanziato con un importante Consolidator Grant del Consiglio Europeo della Ricerca (ERC).
Un lavoro che non è ancora finito, perché, come scopriremo, EspLORE ha dato vita a diversi “figli”, quali PROTECHT, PYPAINT e KEEPER.
Per capire meglio quali sono queste straordinarie proprietà delle nanostrutture di carbonio, siamo andati al NanoLab, laboratorio di materiali micro e nano strutturati, che si trova nella caratteristica palazzina in mattoni sede dal 1960 del Centro Studi Nucleari Enrico Fermi al Campus Leonardo.
Qui ci hanno accolto alcuni dei protagonisti del gruppo di ricerca di EspLORE: Sonia Peggiani, Anna Facibeni e Alessandro Vidale. Il clima che si respira in laboratorio è amichevole, quasi familiare, tanto che passiamo subito al tu.
Iniziamo con le presentazioni. Come siete arrivati al NanoLab?
SP: Sono Sonia Peggiani e faccio parte del NanoLab come assegnista di ricerca post-doc. Ho svolto qui il mio dottorato di ricerca, che ho conseguito nel 2021 con la tesi “Fabbricazione e caratterizzazione di fili atomici di carbonio e nanocompositi”. Attualmente mi occupo della progettazione e realizzazione di etichette anticontraffazione per diversi settori commerciali.
AF: Sono Anna Facibeni, una veterana del Politecnico. In effetti sono qui da trent’anni. Sono stata coinvolta dal professor Casari fin dagli inizi del progetto. Sono una chimica, e mi occupo degli aspetti legati allo sviluppo dei materiali, che stanno sempre più aumentando. Supervisiono i prodotti chimici e lo smaltimento dei rifiuti.
AV: Mi chiamo Alessandro Vidale e sono assegnista di ricerca. Ho svolto la mia tesi magistrale qui al NanoLab, incentrata sulla produzione e caratterizzazione di catene di carbonio sp lineari incorporate in nanofibre polimeriche elettrofilate. Il progetto sui cui ho lavorato è stato PROTECHT, sulle etichette anticontraffazione per documenti, a cui si è aggiunta Sonia quando ha finito il dottorato e su cui stiamo lavorando tuttora.
Progetto di cui parleremo più tardi. Tutto, però, nasce da EspLORE. Di cosa tratta?
SP: EspLORE è stato un progetto di ricerca di base sulle nanostrutture al carbonio, finanziato con un Consolidator Grant di ERC per il periodo 2017-2022.
Al cuore della ricerca ci sono state la sintesi e la caratterizzazione delle strutture di carbonio sp e sistemi ibridi sp-sp2 con l’obiettivo di studiarle in applicazioni in campo energetico. Per comodità utilizzeremo indifferentemente le denominazioni “catene lineari di carbonio”, “fili atomici di carbonio”, “nanostrutture di carbonio 1D” come sinonimi.
Il progetto si è articolato in tre sotto-attività: sintesi e caratterizzazione di nanostrutture 1D con laser in liquido e scarica ad arco in liquido, sviluppo di nanocompositi a base di nanostrutture 1D ed esplorazione del potenziale uso di questi materiali in diverse applicazioni.
Il mio dottorato, iniziato appunto nel 2017, era dedicato alla sintesi e caratterizzazione delle nanostrutture al carbonio 1D.
Riusciresti a spiegare a un profano che cosa sono queste strutture di carbonio così centrali nella vostra ricerca?
SP: Immaginati queste nanostrutture al carbonio come fili. [dicendolo, prende in mano quelli che potevano sembrare grandi giocattoli di costruzioni per bambini troppo cresciuti, ma che in realtà sono i modelli proprio di quelle strutture]. Gli atomi di carbonio sono posizionati l’uno accanto all’altro come le palline in una collana.
Alcuni studi affermano che queste strutture abbiano avuto origine nella polvere interstellare, perché ne sono state ritrovate tracce nella chaoite (o carbonio bianco) di una meteora.
Questi materiali godono di proprietà importanti dal punto di vista della resistenza meccanica. Hanno un’altissima conducibilità termica, molto più del rame, utile ad esempio nella progettazione di transistor più veloci.
Dal punto di vista delle applicazioni energetiche, hanno il pregio di avere una vastissima area superficiale, 20.000 volte più della grafite, grazie alla quale riescono a stoccare moltissimo idrogeno, come vere e proprie spugne.
Passiamo alla sintesi e alla caratterizzazione di queste strutture. Come avvengono?
AF: Qui in laboratorio utilizziamo due tecniche: scarica ad arco oppure tramite laser pulsato in liquido. Sono entrambi metodi fisici, che hanno i loro pro e i loro contro. Il pregio dei metodi fisici è che sono puliti, sicuri e rapidi. Il difetto è quello della stabilità di questi prodotti. Questi metodi sono inoltre molto più facilmente scalabili.
AV: Il grande risultato che abbiamo ottenuto è averli stabilizzati con matrici polimeriche. Nella mia tesi ho descritto come incapsulare i nanofili, usando l’elettrospinning a matrice polimerica. In quel caso ho usato nanostrutture di carbonio prodotte con processo chimico.
In che cosa consiste il metodo fisico che utilizzate in laboratorio?
[Ci avviciniamo al primo dei macchinari presenti]
AF: Vengono utilizzati due elettrodi di grafite collegati a un alimentatore. All’interno di un contenitore con solvente vengono fatti avvicinare con un certo potenziale di corrente, generando una scarica. Il carbonio si scompone e da questo processo si generano le nostre nanostrutture.
La composizione dei prodotti ottenuti è diversa a seconda del solvente utilizzato. I prodotti vengono purificati con la tecnica HPLC (high-performance liquid chromatography), molto utilizzata in chimica analitica per separare, identificare e quantificare ciascun componente di una miscela.
Arriva quindi la fase dell’analisi con lo spettrofotometro. Con il detector colpiamo il campione con un fascio di luce, ottenendo così un grafico con dei picchi. Un grafico a tre picchi ci fa capire che abbiamo ottenuto il risultato, perché è tipico delle nanostrutture. A seconda della lunghezza della struttura, i picchi traslano. Ogni spettro è caratteristico di una specie uscita ad un certo tempo: le strutture più lunghe escono dopo, quelle più corte prima.
Quali sono i risultati più importanti che avete ottenuto con EspLORE?
SP: Un grande risultato è stata la pubblicazione su Nature Communications dell’articolo “Electron-phonon coupling and vibrational properties of size-selected linear carbon chains by resonance Raman scattering”, il cui primo autore è Pietro Marabotti; è stato un lavoro reso possibile grazie alla collaborazione con Elettra Sincrotone Trieste.
Inoltre, siamo riusciti ad ottenere l’assegnazione di un grant ERC Proof of Concept al progetto PROTECHT.
A cui ha lavorato Alessandro. Che cos’è PROTECHT?
AV: L’idea è stata quella di sfruttare le nanostrutture che produciamo qui in laboratorio per applicazioni disicurezza e ricavarne anche possibili opportunità di business. Abbiamo ideato un avanzato tag anticontraffazione basato su nanocomposti polimerici contenenti nanostrutture di carbonio. La particolare risposta ottica unica di questi sistemi consente di progettare tag di sicurezza, strati e fibre che incorporano speciali codici che possiamo inserire in documenti di identità e banconote.
Il pregio di queste etichette è che possono essere prodotte attraverso tecniche di produzione a basso costo e quindi hanno un forte potenziale commerciale anche per l’implementazione in paesi a basso reddito.
E con lo sviluppo di questi nuovi tag sono arrivati i premi…
AV: Sì, nel 2021 abbiamo vinto Switch2Product, l’innovation challenge di PoliHub, con il progetto ENIGMA, continuazione dell’attività di PROTECHT, presentando il prototipo di etichetta anticontraffazione.
Poi, nel 2022 abbiamo vinto la Startcup Lombardia e la partecipazione alla 20° edizione del Premio Nazionale per l’Innovazione, aggiudicandoci il premio speciale LIFTT, grazie al quale abbiamo avuto la possibilità di interagire con il fondo di investimento LIFTT.
Con Switch2Product avete fatto un salto. Che cosa cambia dal laboratorio al mercato?
SP: Il premio di S2P è rappresentato da un importante percorso di accelerazione con PoliHub. Fare business plan, market analysis era tutto un mondo sconosciuto per noi. È stato un percorso molto impegnativo, ma allo stesso tempo molto stimolante, perché conosci tante realtà, conosci gli investitori.
AV: Abbiamo affrontato tanti colloqui in settori diversissimi del mercato, perché l’anticontraffazione è applicabile a tutto, basta che sia di valore elevato. Abbiamo conosciuto artisti, produttori di vino, aziende del lusso, produttori di farmaci, la Zecca, la Banca d’Italia, la Polizia scientifica, l’industria alimentare, produttori di ricambi industriali, di automobili, di interruttori.
Ora costituiremo la startup entro giugno e abbiamo fatto richiesta di accreditamento per essere spin off del Politecnico. Ci siamo soprattutto focalizzati su due mercati, quindi opere d’arte e documenti: tutti beni ad altissimo valore.
La parte di progetto relativa alle opere d’arte prosegue con PYPAINT. Su cosa si focalizza?
AV: Dopo il grant agreement, il 1° marzo è partito PYPAINT (Protect Your Peerless Artwork with Innovative Nanoengineered Technology), della durata 18 mesi. Il progetto è dedicato esclusivamente alle opere d’arte Dovremo incontrare l’artista Sgolpe con la galleria in svizzera Valuart. Il sogno sarebbe metterlo su tela per esporlo.
Continua con questo progetto lo sviluppo del sistema stampabile anticontraffazione basato sulle nostre nanostrutture a base di carbonio con una specifica risposta optoelettronica. Queste consentono di creare un codice identificativo univoco dell’opera d’arte, invisibile all’occhio umano. È proprio l’invisibilità degli inchiostri che rende possibile stamparli su un’etichetta trasparente o addirittura direttamente sull’opera d’arte. Riusciamo a tracciare pattern unici formati da punti, che possono comporre combinazioni quasi infinite, nell’ordine di 1025.
I pattern sono poi leggibili tramite speciali lettori ottici. La verifica avviene tramite accesso a un database remoto, attraverso un protocollo di sicurezza multilivello, per garantire non solo l’autenticità dell’opera, ma anche la sua storia e la relazione che intesse con le altre opere dell’artista, creando un supporto digitale affidabile anche per il proprietario.
Che cos’è invece KEEPER, altro progetto derivato da EspLORE?
SP: È un progetto finanziato per 2 milioni e 100 mila euro, della durata di 30 mesi, che raggruppa diversi partner: Politecnico di Milano, Università tecnologica di Danzica, DayOne, Varius Card (un’azienda austriaca che produce carte plastificate). L’obiettivo è portare il nostro progetto dal laboratorio ad un livello industrialmente rilevante.
L’acronimo di KEEPER sta per “Key codE based on nanomatErials to Protect sErvices and pRoducts”. Il progetto è infatti focalizzato sul problema della contraffazione dei documenti sensibili, quali francobolli e altri valori.
Combina le due risorse su cui abbiamo lavorato in questi anni: inchiostri nano-ingegnerizzati da applicare su documenti o confezioni (3Tag) e la tecnica di verifica tramite lettore dedicato (3Check). Il grande vantaggio è che la specificità degli inchiostri, la sequenza di codifica e il metodo di lettura rendono la tecnologia KEEPER estremamente difficile o quasi impossibile da replicare mediante processi di reverse engineering.
A luglio 2022 il Politecnico di Milano ha depositato la domanda di brevetto su questo prodotto.
Se siete curiosi di conoscere il racconto del percorso personale e professionale da ricercatrice di Sonia Peggiani, leggete la sua intervista per Frontiere.