A molti il numero 683 può non dire molto, ma per chi conosce e segue l’arredamento d’interni è il simbolo di un modello di design vincente nel mondo.
La famosa sedia 683 ideata da Carlo De Carli e prodotta da Cassina è stata infatti premiata con il Compasso d’oro nel 1954 (il primo della storia), ma anche con il Diploma d’onore alla X Triennale e con il premio Good Design al MoMA di New York. In questa sedia c’è la sintesi di un progetto, un luogo di incontro.
La vita
Nato a Milano nel 1910, laureato in architettura al Politecnico di Milano nel 1934, Carlo De Carli inizia la sua attività professionale con Gio Ponti, al quale resta legato da una profonda amicizia e da un costante confronto sui temi architettonici. A lui succede l’anno successivo alla cattedra di Architettura degli Interni, arredamento e decorazione al Politecnico di Milano, dove insegna fino al 1986 e dove ricopre la carica di Preside di Architettura nei difficili anni dal 1965 al 1968.
Importanti negli anni ’40 gli incontri con Giovanni Muzio e Mario Sironi, per cui prova grande ammirazione, e con il Razionalismo di Terragni. Collabora con la Triennale fin dalla VII edizione nel 1940, e da questa trarrà numerosi stimoli.
Fra i più importanti protagonisti del disegno industriale italiano, Carlo De Carli è stato un architetto globale, che ha lavorato simultaneamente su diversi piani, dall’insegnamento universitario alla produzione industriale, dall’architettura all’urbanistica, dal design di interni all’attività editoriale.
Realizza la maggior parte delle sue opere dal dopoguerra ai primi anni ‘70. Al centro del suo pensiero è sempre la persona, in una costante ricerca di nuove forme che rinnovino il gusto e le tendenze dell’architettura e del design italiano.
De Carli designer
Carlo De Carli al design ha dedicato gran parte della sua vita, progettando oltre cento mobili fra il 1938 e il 1973: una ventina eseguiti come pezzi singoli per arredamenti privati, 80 prodotti in serie fra contenitori, tavoli, scrivanie, sedie, poltrone, divani, letti.
Fino alla seconda metà degli anni ‘50, gli oggetti hanno una forma plastica che fa riferimento al mondo naturale animale o vegetale, e in cui si ritrovano i concetti di continuità, velocità, forma chiusa presenti nei suoi scritti degli anni ‘40. Dalla fine degli anni ‘50 le forme dei suoi mobili diventano più geometrico-astratte.
I suoi sono principalmente oggetti per ufficio che cercano di coniugare ordine, comodità e benessere, perché il lavoratore si senta a suo agio in uno spazio di lavoro accogliente e vivo.
Realizzata in legno massello di frassino, la sedia 683 è dotata di gambe affusolate di sezione piuttosto esile ed è completamente smontabile. Il sedile e lo schienale sono costituiti da un sottile foglio in compensato curvato, sempre in legno di frassino, e, connessi con piccoli giunti in ottone a vista, vanno ad avvolgere la struttura della sedia.
Alla sedia 683 seguiranno numerosi mobili d’arredo. Solo per citarne alcuni, la poltroncina Balestra per Tecno, con cui vince il Gran Premio della XI Triennale nel 1957, e la sedia Firenze, prodotta da Sormani nel 1965. Caratteristica di quest’ultima è che il nodo viene spostato nella parte posteriore, così da unire tutti gli elementi strutturali, dando così all’oggetto una inedita continuità visiva.
De Carli architetto
Il primo importante edificio di De Carli architetto è del 1947-1949: la Casa per uffici e abitazioni in via dei Giardini 7 a Milano, un edificio di sei piani che segue l’andamento curvo di via dei Giardini entrando in relazione con il verde circostante. È caratterizzato da una planimetria irregolare con una struttura portante, in cemento armato, arretrata, che consente così di risolvere la facciata con una serie di logge continue e sovrapposte.
Tutti gli elementi vengono arrotondati in modo da creare continuità e chiusura della forma. L’edificio si rapporta alla natura, soprattutto per le balconate in cristallo che riflettono il cielo, così come in origine per la loggia all’ultimo piano completamente aperta verso l’alto. Il progetto mirava così a creare un rapporto di continuità tra l’elemento naturale principale e l’architettura, uno dei temi fondanti del pensiero progettuale di De Carli:
Natura e Architettura formano un paesaggio equilibrato solo quando l’architettura raggiunge la sua misura costruttiva e gli alberi sono vicino.
Nel seminterrato, dopo pochi anni, realizzerà il Teatro Sant’Erasmo (1951-53) con la collaborazione dell’architetto Antonio Carminati.
Così nasce un piccolo teatro, la cui forma è la proiezione dello stesso moto che anima gli attori.
Fu uno dei primi ritorni in Europa della scena centrale, che poneva gli attori nello “spazio primario”, in diretto contatto con il pubblico. Una scelta innovativa che anticipa le avanguardie teatrali degli anni ‘60 e ‘70 con una pista-palcoscenico ottagonale che diviene il centro dello spazio, contribuendo all’intima atmosfera di questo teatro da 250 posti, purtroppo demolito nel 1969 per far posto a un garage.
Anche nei progetti di chiese anticipa la scelta della pianta centrale e dell’altare rivolto all’assemblea.
La chiesa di Sant’Ildefonso (1955-56) a Milano ha infatti il suo fulcro nell’esagono centrale su cui è posto l’altare, punto di origine della pianta: da esso partono i raggi, a formare un perimetro stellare che crea ritmo e dona forza all’ambiente unitario. Altro elemento qualificante dell’edificio è il ciborio, castello di pilastri circolari e travi che si innalza fin sopra la copertura, a sostenere una lanterna di vetro per l’illuminazione dell’altare. La luce cresce nei diversi piani diventando via via più accesa, partendo da vetri colorati, poi color pastello fino al giallo oro. La facciata esterna concava in mattoni a vista è ben inserita nel contesto urbano, con l’assemblea che si sente accolta dalle due braccia allungate verso la piazza.
Anche il suo ultimo edificio, la Chiesa di San Gerolamo Emiliani, nel complesso dell’Opera Don Calabria nel quartiere di Cimiano (1952-1965), ha la pianta ottagonale, corrispondente all’aula liturgica, su cui s’innestano tre ottagoni iscritti in quadrati che accolgono l’altare, il battistero e la cappella. Più bassa rispetto a Sant’Ildefonso, ha una struttura in cemento ararmato e vetrocemento attraverso cui filtra la luce. Con quest’opera si conclude il percorso di De Carli nell’architettura, per dedicarsi prettamente all’insegnamento.
De Carli pensa l’architettura come costruzione armoniosa dello spazio fisico, in continuità con la natura e alla ricerca della forma chiusa e finita; caratteristiche che coincidono con il suo impegno civile, che lo porta a realizzare principalmente abitazioni, case di riposo, chiese e opere parrocchiali. In quest’ottica dedica particolare attenzione agli interni della casa, luogo della famiglia, “spazio primario” per eccellenza, quello “intriso di vissuto” che nasce in ogni relazione e apertura agli altri.
Lo “Spazio primario” è al centro del suo pensiero teorico e pedagogico, come principio genetico dell’intera architettura; spazio di relazione, del gesto, di una comunità. Tutto, secondo lui, risiede nell’attenzione alla “preziosità” della persona umana, in un rapporto stringente tra architettura ed etica, e tra architettura e politica.
Il Politecnico di Milano deve molto ai suoi insegnamenti. In ricordo, gli ha dedicato un’Aula Magna appena rinnovata nel Campus di Bovisa, in Via Durando 10.
Le immagini provengono da Archivi Storici – Politecnico di Milano.