L’inventore della città dei 15 minuti

Carlos Moreno

Abbiamo incontrato Carlos Moreno in occasione della sua presenza a Milano per partecipare all’evento CHANGE Tecnologia e creatività per uno sviluppo sostenibile per la presentazione del primo Piano Strategico di Sostenibilità del nostro Ateneo.

Carlos Moreno, di origini colombiane, è professore presso l’IAE – Università della Sorbona di Parigi e co-fondatore e Direttore Scientifico del laboratorio ETI ”Entrepreneurship Territory Innovation”. È noto a livello internazionale per i suoi lavori pionieristici sulle città sostenibili. A Parigi ha lavorato per realizzare il modello della città dei 15 minuti in cui tutti i servizi nel quartiere siano a portata di mano, puntando sulla riduzione degli spostamenti in auto in favore di quelli a piedi e in bici per combattere il cambiamento climatico, favorire lo sviluppo di attività economiche locali, riqualificare gli spazi pubblici per le persone e non per le automobili.

In realtà non sono né urbanista né architetto, anche se ho vinto diversi premi in architettura e, in effetti, è diventata la mia principale attività nell’ambito urbano, ma provengo dal mondo della matematica e dell’informatica. Ho infatti una laurea e una specializzazione in matematica, informatica e robotica. Provengo quindi dal mondo della tecnologia e ho applicato la tecnologia in vari settori in particolare alla città. Sono stato uno dei pionieri di quella che chiamiamo, dopo la nascita di Internet negli anni 2000, la “smart city”, cioè la città intelligente, che è stato un tentativo di utilizzare la tecnologia e gli algoritmi al silicio per rendere la città più intelligente, gestendo il traffico, i servizi, le infrastrutture. Ho lavorato molto in questo settore fino al 2010. E in quell’anno ho davvero cambiato, ho smesso di lavorare sulla “smart city” tecnologica perché ho incontrato persone ispiranti che mi hanno sempre accompagnato.
Il primo è il filosofo e sociologo francese Edgar Morin, molto noto a livello mondiale, e molto apprezzato anche in Italia, che oggi ha 102 anni. Ha sviluppato ciò che chiamiamo “scienza della complessità”, che riguarda la gestione delle situazioni e dei sistemi interdipendenti. Ho letto molto Edgar Morin, che mi ha ispirato enormemente a lasciare la tecnologia come vettore principale e capire che la città è un sistema molto complesso con moltissime interdipendenze e che le sfide principali riguardano il clima, la ricchezza, la povertà, l’economia e la vita sociale. Edgar Morin è stato uno dei miei mentori, e poi nel 2010 ho letto un libro di Muhammad Yunus, Premio Nobel per la Pace 2007, Un mondo a tre zeri. Zero povertà, zero disoccupazione e zero inquinamento e questo si è adattato perfettamente al mio modo di pensare. Mi hanno entrambi molto ispirato e sono amico di tutti e due.
E una terza persona molto importante per me è Saskia Sassen, nata nei Paesi Bassi e cresciuta in Argentina lavora alla Colombia University di New York e ora vive a Londra. È una cittadina del mondo ed è stata la prima a sviluppare il concetto di “città globale”.
Per quanto riguarda le città, sono stato molto ispirato dalla sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, perché è stata una pioniera nelle politiche climatiche urbane e aveva previsto le sfide climatiche prima di molti altri. È stata leader della rete globale delle città per il clima, il C40. Grazie a lei ho potuto lavorare con altre città affinché questi concetti diventassero globali.

CarlosMoreno_©ThomasBaltes

Ho iniziato nel 2006, cominciando a spostarmi dal mondo della tecnologia verso la città e ho trascorso molto tempo a esplorare come migliorare la vita urbana, la qualità della vita nelle città. Nel 2010 ho capito che la minaccia più grande era il cambiamento climatico e che dovevamo anticiparlo. Dovevamo offrire un diverso stile di vita, che non fosse basato sulla dipendenza dalle auto e dai combustibili fossili. Nel 2015, a Parigi, si è tenuta la COP21, la grande conferenza mondiale sul clima in cui è stato firmato l’accordo sul clima. Ho sostenuto che non dovevamo considerare solo gli Stati, ma anche le città.
Quindi nel 2016 ho proposto il concetto di “città del quartiere di un quarto d’ora” per dire che bisogna combattere il cambiamento climatico e ridurre la necessità di spostamenti obbligati, avere più prossimità, più posti di lavoro locali, più spazi pubblici, più servizi. Quindi è a partire dal 2016 che ho reso pubblico questo concetto.

A C40 ho capito che Anne Hidalgo era davvero una donna pionieristica, perché ha preso decisioni per Parigi quando non era molto popolare prendere decisioni per il clima. Anne Hidalgo è nata in Spagna, a Cadice, e poi è arrivata molto giovane a Lione, io sono nato in America del Sud, in Colombia, quindi condividiamo alcune affinità culturali. Sappiamo cosa significa arrivare in giovane età in un paese straniero. Siamo parte di coloro che hanno radici altrove, ma vivono in Francia. È una persona molto determinata e coraggiosa.

La Parigi dei 15 minuti ©Micael_Fresque

Sì, lei voleva cambiare la sua città e io volevo che il mio concetto fosse implementato a Parigi.
Il ricercatore non può produrre un cambiamento politico, mentre il politico, che si appoggia alla scienza, può farlo. Quindi nel 2016 le ho proposto, “Guarda, ho questo concetto che si chiama la città dei quindici minuti. E se volessi, potremmo farlo a Parigi.” Lei ha capito mi ha messo a disposizione tre quartieri per sperimentare con la mia équipe e il Comune mi ha supportato, dopo tre anni nel 2019 la Hidalgo mi ha detto “Il tuo concetto mi piace molto voglio prenderlo per farne il cuore della mia campagna elettorale per la mia rielezione”.
Poi è arrivato il Covid che ha dato una forte spinta a questo concetto a livello mondiale e Anne Hidalgo ha continuato a svilupparla a Parigi.

La città dei quindici minuti è molto semplice e molto pratica. Si tratta di avere tutto ciò di cui hai bisogno a 15 minuti a piedi o in bicicletta da casa tua, lavoro, scuole, ospedali, sport, cultura. Si comincia cambiando l’uso delle strade, abbiamo ridotto la presenza delle auto private, abbiamo introdotto il concetto di “zone 30 e abbiamo aumentato le piste ciclabili. Ora abbiamo più di 1.000 chilometri di piste ciclabili a Parigi. La priorità è la riqualificazione degli spazi pubblici piazze, giardini. Abbiamo ridotto la presenza delle auto private, il traffico e il rumore nelle strade è diminuito, la qualità dell’aria è notevolmente migliorata.  Abbiamo aumentato il numero di posti di lavoro locali e abbiamo sviluppato i commerci di vicinato. Siamo stati in grado di garantire servizi ai residenti. I posti di lavoro, le scuole, i servizi di assistenza sanitaria sono stati riportati nel quartiere. Abbiamo molti edifici di spazi pubblici che sono stati aperti al pubblico. Quindi le persone possono uscire e fare attività fisica, incontrare gli altri. Quindi in realtà si tratta di offrire più felicità e una vita migliore. È molto interessante, e penso che possa essere un esempio per molte altre città in tutto il mondo.

Servizio Velib a Parigi

Quando c’è stato il Covid la seconda città che ha abbracciato questo concetto è stata Milano con il Sindaco Giuseppe Sala che lo ha inserito nella sua campagna elettorale della rielezione, entrambi sono in C40, dove c’è anche il sindaco di Buenos Aires, Horacio Rodríguez Larreta. I C40 hanno creato una task force e hanno adottato il concetto a luglio 2020, proprio durante il COVID, coinvolgendo molte città: Montréal, Buenos Aires, i comuni di Gatineau, Bogotà, Seattle negli Stati Uniti, Melbourne in Australia, Seul in Corea del Sud. Non solo grandi città, ma anche città di medie dimensioni, come in Africa, in Tunisia o regioni come la Scozia o città piccolissime da 15.000 abitanti come in Polonia, o piccole città rurali con 5.000 abitanti in Francia come Saint-Hilaire-de-Brethmas.
C40 con UN-Habitat e il mio team dell’Università della Sorbona, abbiamo creato l’Osservatorio Mondiale delle Prossimità Sostenibili e qui abbiamo riunito tutti i sindaci del mondo che stanno implementando questo concetto, finora sono 293 le città nel mondo che implementano questo concetto.

Questo concetto, soprattutto per le città esistenti, ha qualcosa di molto originale che è raro trovare nel mondo dell’urbanistica, perché non dipende né dalle dimensioni né dalla densità.
Abbiamo la città del quarto d’ora per le zone più dense e il territorio della mezz’ora per le zone moderatamente dense o molto poco dense come le zone di campagna.
Questo concetto cerca di creare pluralità di servizi, economie locali, più attività di servizio, più servizi sanitari, più istruzione. E quindi oggi applichiamo questo concetto in città molto grandi come Parigi, Buenos Aires, Seul in contesti molto diversi. A livello di tutta la città perché si cerca di cambiare la politica a livello cittadino, cerchiamo di votare ciò che chiamiamo i piani urbanistici locali, cioè la politica cittadina a 5, 10, 15 anni, come è stato fatto a Parigi, a Buenos Aires e poi in molte città di medie e piccole dimensioni. Ciò che vogliamo per esempio è ripristinare servizi che sono scomparsi. Molte piccole città hanno perso il commercio, che è andato altrove nei centri commerciali a 30 km di distanza, quindi cerchiamo di reintegrare il commercio di prossimità, creare posti di lavoro locali, ridurre i luoghi attraversati dalle auto per fare spazio agli abitanti, avere attività culturali, educative, servizi medici. Non ci sono limiti ad applicarlo in contesti molto diversi.

CarlosMoreno_©WRI Ross Center for Sustainable Cities

Eravamo abituati da 70 anni a cose che per noi sono diventate normali. Siamo abituati a spostarci tutti i giorni almeno 2 o 3 ore per andare al lavoro. Siamo diventati dipendenti da alcuni tipi di mobilità come il veicolo individuale, che utilizziamo anche per brevi spostamenti. Se guardiamo le statistiche, vediamo che più della metà degli spostamenti in auto riguardano tragitti molto brevi, inferiori ai 5 km. Questo è folle, non è affatto sostenibile.
Abbiamo creato una dipendenza dall’auto perché consideriamo che l’auto sia uno status sociale, che avere un’auto significhi essere ricchi e andare a piedi o in bicicletta o con il trasporto pubblico sia essere poveri. Abbiamo bisogno di cambiare la mentalità, la mobilità non è un oggetto, non è l’auto, la mobilità è un servizio, è un servizio come tutti gli altri come andare a fare compere o dal dottore, a scuola, la mobilità deve essere un servizio, non un oggetto tecnico. Quindi come c’è stata un’industria automobilistica, creata dal 1914 negli Stati Uniti dal signor Ford, le città si sono organizzate per le macchine e la macchina è andata di pari passo con la crescita dei grattacieli, delle autostrada. È considerata un simbolo di mascolinità.
Abbiamo creato le città al servizio della macchina e siamo diventati cittadini che non sono abitanti della città, ma che sono dei centauri metà uomo e metà automobile. E appena tocchiamo le auto la gente risponde che stiamo attaccando la loro libertà, anche se la vettura è usata pochissimo, passa più tempo parcheggiata che in moto.
Bisogna quindi riequilibrare lo spazio pubblico, la mobilità è anche quella dei trasporti pubblici, la mobilità è anche camminare a piedi, andare in bici azioni che vanno tutelate con dei percorsi protetti e l’auto deve avere il suo posto, ma nulla di più. Non siamo contro l’auto in sé tout court, ma contro la dipendenza e l’uso massiccio, squilibrato dell’auto in rapporto al modo di vivere nella città. La mobilità oggi deve essere scelta, non obbligata. Quindi per questo puntiamo a una città che sia organizzata in maniera policentrica con luoghi multifunzionali.
La città dei quindici minuti è la risposta al cambiamento climatico. Abbiamo calcolato che se tutti adottassero questo concetto, ridurremmo del 70% le emissioni di CO2, l’inquinamento e la congestione del traffico.

Schema Ville du quart d’heure ©Micael_Fresque

Milano fa parte delle città europee che sono sottomesse a una dipendenza dall’automobile, ha sì introdotto pionieristicamente un pedaggio per entrare in centro, ma bisogna sviluppare il trasporto pubblico, le ciclabili e soprattutto i servizi di prossimità, bisogna creare quartieri, con molte attività. Ho percorso con mia moglie il tragitto a piedi dal Duomo fino alla Bovisa e ho notato che finché si rimane nella zona centrale dal Duomo verso il Parco Sempione, l’Arco della Pace, Chinatown c’erano molti servizi, ma poi oltre i servizi diventavano più rari e non c’era tanto spazio pubblico. Quindi bisogna proprio crearli, penso che questa sia la chiave. A Parigi funziona molto bene perché davvero si cerca di avere servizi ovunque. Il Comune stesso ha creato una società di gestione immobiliare che si occupa di affittare locali a basso costo ai commercianti in modo che possano insediarsi negozi e accompagnarli in modo che non vendano prodotti provenienti dalla Cina, ma prodotti locali, un’azione politica per incentivare l’economia locale in un cortocircuito virtuoso.

CarlosMoreno_©WRI Ross Center for Sustainable Cities

Lo dico spesso ai giovani che ho la fortuna di incontrare in particolare in Università. Dico come prima cosa che bisogna essere curiosi. Non accettare mai alcuna verità, come una rivelazione. La curiosità deve essere accompagnata dalla messa in discussione, per questo bisogna sempre verificare quello che è oggettivamente e scientificamente vero, altrimenti ci si imbatte in molti errori, menzogne e notizie fake. Sui social in particolare vengono dette molte falsità, si nega il cambiamento climatico, il covid, i vaccini. Esiste un universo populista estremamente duro. E così i giovani devono prestare attenzione perché una bugia ripetuta 1000 volte sui social non può diventare una verità.

E poi bisogna impegnarsi in battaglie fondamentali che diano dignità all’essere umano. Bisogna combattere per i diritti fondamentali dell’uomo che oggi rischiamo di perdere come il diritto alla casa, allo studio, all’assistenza sanitaria, alla natura, alla biodiversità, all’acqua, all’aria. Dobbiamo lottare per riprenderci spazi abitativi che siano veri spazi per vivere.


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