Dalla mimosa pudica a pannelli reattivi per l’architettura, la ricerca al MaBa.SAPERLab

L'ingresso del MaBa.SAPERLab del DABC
L’ingresso del MaBa.SAPERLab del DABC – Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni, Ambiente Costruito

È un lungo viaggio, quello compiuto dalla mimosa pudica. Piantina sempreverde originaria del Centro America, è approdata al MaBa.SAPERLab del DABC – Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni, Ambiente Costruito, dove Fabio Bazzucchi, dapprima come visiting researcher proveniente dall’MIT di Boston (dove si trovava in qualità di Postdoctoral Fellow Marie Skłodowska-Curie presso il Senseable City Lab) e ora come ricercatore in forze all’ateneo, sotto la guida della responsabile scientifica del laboratorio, la professoressa Ingrid Paoletti, sta studiando le caratteristiche di questo peculiare organismo vegetale, per giungere alla realizzazione di elementi architettonici dinamici e reattivi.

Un organismo estremamente peculiare: da secoli, infatti, la mimosa pudica affascina trasversalmente ricercatori e studiosi in ogni campo, da Charles Darwin a Robert Hooke, padre dell’omonima legge sui corpi elastici. Il motivo risiede nel suo stesso nome: è detta “pudica”, infatti, perché se un elemento estraneo le si avvicina, la pianta si ritrae e se toccate, le sue foglie si chiudono immediatamente seguendo uno schema ben preciso, a coppie – fino ad arrivare, in extremis, alla chiusura totale istantanea se, per esempio, si prova a farla cadere. Reazioni inaspettate in un organismo vegetale, che danno adito a molteplici interpretazioni, tutte valide ma finora nessuna definitiva: la prima che viene in mente, ovviamente, è che si tratti di un meccanismo di autodifesa, di cui peraltro la pianta sembra conservare una memoria.

Copertina e disegno della mimosa pudica dal libro “Micrographia” di Robert Hooke, Biodiversity Heritage Library (su licenza CC BY 4.0)

Il segreto? Lo “snap” nello stelo

Il segreto della sua reattività in realtà è nei pulvini, organi articolari che collegano lo stelo alle foglie, seguendo gli ordini gerarchici fino ai piccioli. L’ipotesi è che li avvenga uno “snap”, lo scatto che li fa chiudere: «L’elasticità è concentrata in un solo punto dove si concentra il movimento, i pulvini appunto – spiega Bazzucchi – Il pulvino della mimosa pudica ha la particolarità di essere convesso e di riuscire a diventare, dopo il movimento, concavo. Il cambio di turgore nei tessuti, attraverso la regolazione osmotica, non spiega da solo la rapidità e l’efficacia di questo movimento. Uno scatto, invece, permette di descrivere un rapido cambiamento di forma, attraverso una precisa taratura delle forze agenti su essa. In sostanza, è come se la geometria dei pulvini contenesse le perfette caratteristiche sia per sentire, che rispondere agli stimoli esterni».

Da queste osservazioni, e prima dell’inizio del percorso di ricerca vero e proprio, è scaturito l’articolo pubblicato nel 2023 congiuntamente da Bazzucchi e da Ingrid Paoletti, che si erano precedentemente confrontati sui rispettivi studi e sul mutuo interesse verso la mimosa pudica. «Lo stato dell’arte attuale della descrizione della pianta non contempla l’ipotesi dello scatto. Io e la professoressa Paoletti invece siamo partiti dal capire se, a macro-livello, il movimento potesse essere definito come uno scatto, cioè una perdita di stabilità – una transizione tra due stati di equilibrio. Ci siamo chiesti, nel nostro articolo, se questo potesse funzionare come modello interpretativo dei suoi movimenti. Io sono un ingegnere civile, con la tesi di dottorato ho approfondito tematiche su strutture molto esili, vicine alla meccanica dei materiali, e la professoressa Paoletti era interessata a capire se questi sistemi potessero avere un risvolto pratico nell’architettura. Quindi, a un certo punto della ricerca, ci siamo concentrati sulla meccanica stessa della pianta. Siamo partiti da uno studio matematico che è servito da fondazione al lavoro successivo: abbiamo ipotizzato un modello che prevede che l’”intelligenza” della pianta risieda nella sua organizzazione materiale, in come è cresciuta e si è sviluppata, e più di tutto, adattata. I suoi tessuti sono organizzati in modo tale da permetterle di essere intelligente nel suo ambiente. E dato che il MaBa.SAPERLab è un laboratorio che studia i materiali nella loro definizione più ampia, stiamo cercando di esplorare come matericità e intelligenza possano in qualche maniera fondersi. Perché anche il nostro cervello ha una forma, dei corrugamenti, che sono funzionali alle sue finalità, per cui è come il materiale si dispone, la chiave per interpretare le capacità e l’intelligenza della pianta, di cui ora stiamo studiando i tessuti. L’idea è di creare dei dispositivi architettonici reattivi o sensibili all’ambiente, dei materiali cosiddetti intelligenti che rispondano, come la mimosa, a stimoli come luce, calore, urto, tocco».

L’obiettivo: nuovi materiali per superfici “in divenire”

Quale potrebbe essere, dunque, l’utilizzo finale dei materiali così ottenuti? «Abbiamo pensato a delle superfici che cambiano forma rapidamente, a dei pannelli la cui superficie o texture riesca a mutare velocemente la propria configurazione. Può essere utile per esperienze tattili, ma anche per generare comfort acustico, visivo o percettivo in generale. Perché le forme e le geometrie statiche sono molto stressanti per il cervello umano, così come il trovarsi in un contesto in cui non cambia nulla, lontano dal naturale. All’inizio avevamo pensato a un pannello che fosse fonoassorbente e responsivo, perché spesso i sistemi a scatto vengono utilizzati per gli shock-absorber, cioè sistemi che assorbono l’urto tramite successivi scatti. Però le possibilità sono infinite».

Il passo successivo sarebbe la stampa in 3D di un prototipo di modulo: «Gli studi matematici effettuati erano propedeutici a capire se potesse essere utilizzato uno schema interpretativo tramite uno scatto, per capirlo e riprodurlo – continua Bazzucchi – Uno scatto è un meccanismo accordato, è un sistema che passa da una configurazione all’altra, mentre un movimento di tipo progressivo è come se fosse stabile in ogni punto. Utilizzando questo meccanismo, le superfici che stiamo cercando di progettare possono avere un cambiamento repentino, immediato e l’intenzione poi è di non conferire solo una posizione on-off come quella della pianta, ma di creare delle superfici che possano magari averne anche 10 di configurazioni, e stiamo lavorando a dei brevetti in questo senso».

Un ritorno alla… natura

La differenza, rispetto ai numerosi studi sui sistemi a scatto – che Bazzucchi stesso ha approfondito nel corso dei suoi studi – è che in questo caso il punto di partenza è un sistema naturale, in linea con un nuovo trend dell’ingegneria in generale: «Dopo la grande ingegnerizzazione positivista della rivoluzione industriale con al centro la megastruttura, il ponte, l’acciaio, adesso abbiamo capito che questa emancipazione dal mondo naturale ci ha un po’ distaccato da esso, con tutti i danni che ha comportato. Studiando i sistemi naturali, ci si accorge che lì c’è la complessità vera. La natura, attraverso l’evoluzione e l’adattamento, ha trovato soluzioni estremamente complesse. La mimosa pudica, che è una piantina alta circa 12 centimetri, semplicissima, esile, composta da una manciata (si fa per dire) di cellule, è assai più complicata di quello che noi potremmo fare come ingegneri nel tentativo di riprodurla – conclude Bazzucchi – E non si può dire che non possieda una certa intelligenza».

Non a caso, sottolinea Bazzucchi, il titolo della Biennale Architettura 2025 è “Intelligens. Naturale. Artificiale. Collettiva.”: un focus sull’intelligenza multipla e diffusa, umana, naturale e artificiale. Una ritrovata umiltà di fronte alla natura che viene quindi presa a ispirazione, e quasi emulata in questo progetto di ricerca. «Lo studio del movimento della mimosa pudica ci può consentire di studiare le tecnologie e i materiali – spiega la responsabile scientifica Ingrid Paoletti – in modo tale che possano reagire agli stimoli adattandosi alle condizioni in modo variabile, originale e innovativo e facendo “risuonare” l’ambiente circostante».

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