Anche questo mese su Frontiere continuiamo il nostro viaggio all’interno dei laboratori dove si fa ricerca, insieme alle persone che questi luoghi li vivono ogni giorno.
Il Sound and Vibration Lab (PSVL) è il laboratorio interdipartimentale del Politecnico che si occupa dello studio del suono nelle sue differenti forme. Dispone di diversi spazi per le attività sperimentali, organizzati in due nuclei principali: quello al Campus Bovisa, focalizzato sulle applicazioni in ambito industriale, dei trasporti e dell’edilizia; quello di acustica musicale a Cremona, presso il Museo del Violino.
Oggi siamo in Bovisa, dove Roberto Fumagalli, tecnico di laboratorio del Dipartimento di Energia, ci farà scoprire segreti e aneddoti su questo luogo speciale, dove si misurano i suoni e si studiano le interazioni di questi con il mondo.
Ciao Roberto, grazie per averci accolto nel tuo laboratorio. Cominciamo con lo spiegare meglio di cosa vi occupate.
Il suono e le vibrazioni hanno conseguenze pratiche rilevanti nelle applicazioni tecnologiche che usiamo ogni giorno: per questo sono oggetto di un’attenzione in continua crescita a livello scientifico e tecnico.
Qui giochiamo con i decibel. Misuriamo, testiamo, studiamo la riduzione delle vibrazioni e del rumore negli ambienti di lavoro e domestici, il comfort vibrazionale ed acustico dei mezzi di trasporto, l’inquinamento acustico prodotto dal traffico stradale e su rotaia, il miglioramento delle condizioni acustiche degli spazi interni ed esterni, oltre a tecniche sperimentali e a metodi per l’analisi e la ricostruzione di campi acustici.
Siete insomma il punto di riferimento per il mondo del suono all’interno del Politecnico
Il Laboratorio PSVL si fonda sull’idea di condividere le competenze dei dipartimenti coinvolti, nell’ottica di favorire un approccio multidisciplinare alla ricerca.
Oltre al Dipartimento di Energia, di cui faccio parte, afferiscono al lab quelli di Meccanica; Elettronica, Informazione e Bioingegneria; Scienze e Tecnologie Aerospaziali; Architettura, Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito.
Abbiamo dato vita ad un’unica struttura focalizzata sui settori di ricerca della vibroacustica, aeroacustica, acustica applicata, acustica architettonica, controllo delle vibrazioni e del rumore, sound processing, acustica musicale, psicoacustica, music information retrieval.
Qual è stato il tuo percorso per arrivare a questo lab? Ti sei sempre interessato di acustica?
In realtà ho frequentato il liceo classico, per poi iscrivermi a ingegneria edile. Ci ho messo un po’ a laurearmi, me la sono presa abbastanza comoda. [ride] Ho fatto una tesi sull’acustica dei mezzi di trasporto con il professor Livio Mazzarella, responsabile del laboratorio. A quell’epoca nutrivo già una passione per il rumore.
Nel 2005/2006 c’è stata la possibilità di un assegno di ricerca sulla psicoacustica delle lavatrici con il professor Mazzarella, a cui già partecipavano più dipartimenti tra i quali quello di meccanica con l’allora direttore vicario Ferruccio Resta. Successivamente ho passato un paio d’anni fuori dal Politecnico, durante i quali mi sono specializzato sull’acustica ambientale in laboratorio. Nel 2010 torno qui con degli assegni di ricerca per aiutare il laboratorio di acustica nelle sue attività.
Nel 2017 ho conosciuto anche l’attività di Relab di Mario Motta, dove mi occupo dell’acustica delle pompe di calore.
Oggi qui al PSVL coordino le attività, oltre a fare attività divulgativa.
Mi incuriosisce il concetto di psicoacustica. Ci spieghi cosa intendi?
La psicoacustica è una branca di studio affascinante, ha a che fare con la psicologia della percezione dei suoni.
Ti dicevo poco fa che “ascoltavo le lavatrici”, e non stavo scherzando. Quando si comprava una lavatrice, ai tempi, non si sapeva che rumore facesse, finché non la si portava a casa e la si metteva in funzione. Eravamo molto affascinati dallo scoprire che cosa percepissero i tester sentendole in azione, anche a seconda del loro umore del momento.
Oggi i nostri colleghi meccanici non testano più lavatrici, ma altri elettrodomestici: macchine per il caffè, cappe per la cucina… E nel nostro laboratorio passano tutti questi oggetti, per sentire come suonano. E se non si possono rendere silenziosi, si cerca di renderli il più piacevoli possibili.
L’obiettivo è sempre quello di produrre meno rumore possibile?
Non necessariamente. Non è detto che l’assenza di suono sia di per sé positiva, perché gli oggetti suonano anche per darci indicazioni.
A quanti è capitato di non accorgersi di un’auto elettrica a pochi centimetri da noi? Dopo i primi tempi di straniamento, ora le auto elettriche e ibride devono emettere un rumore, come un sibilo, per evidenziare il loro passaggio.
Rimanendo sull’automotive, la psicoacustica è molto utilizzata dal marketing, vero?
Sicuramente. Forse non tutti fanno caso che negli ultimi tempi, quando si vede lo spot pubblicitario di una nuova auto, non si evidenziano più così tanto le prestazioni. Si vogliono veicolare emozioni, ed è sulle emozioni che noi compriamo. Nel caso di un’automobile, è importante anche il suono che fa la portiera: ci deve “suonare come solida”, deve darci sicurezza.
A volte un rumore richiama alla mente stereotipi che inconsciamente riproduciamo. Ti faccio un esempio. Una volta, per un esperimento, facemmo ascoltare il suono di quattro diverse chiusure di portiera, attribuendone due a marchi tedeschi, uno francese e uno italiano, chiedendo l’impressione suscitata da quel rumore. Il risultato fu che le portiere tedesche suonavano come più solide, quelle francesi così così, mentre quelle italiane risultavano le peggiori. Ma in realtà avevamo utilizzato la stessa portiera tutte e quattro le volte!
Tutti questi elementi psicologici sono accuratamente studiati prima di lanciare una campagna pubblicitaria, e i nostri test servono anche per analizzare casi come questi. Famose case automobilistiche ci hanno ingaggiato anche sul rumore che avrebbero dovuto fare i pulsanti delle loro vetture.
Come vengono effettuati i test di percezione del rumore?
Uno strumento tradizionale, ma ancora molto valido, è il manichino binaurale. Si tratta di una tecnologia di 40 anni fa, ma che svolge ancora egregiamente il suo lavoro. Si inseriscono due microfoni nelle “orecchie” del manichino, la cui testa è mobile, e si procede con le misurazioni.
La percezione del rumore dipende anche dal luogo e dall’età dell’uditore, vero?
Sì. A tal proposito, un mio professore mi raccontò di aver partecipato a una ricerca in una zona desertica in Medio Oriente. I settantenni di quella popolazione avevano una sensibilità uditiva pari ai nostri ventenni, essendo esposti sempre al silenzio, a differenza nostra. Fui molto colpito da questa ricerca, perché mio padre, al contrario, aveva sempre lavorato in un’officina estremamente rumorosa.
Veniamo a uno dei luoghi iconici di questo laboratorio: la camera anecoica.
Probabilmente mi avrai già visto in camera anecoica, quella stanza caratterizzata da rivestimenti di cunei simili a gommapiuma. È forse il luogo più particolare del laboratorio, dove porto i visitatori durante gli eventi di divulgazione scientifica come il Festival Internazionale dell’Ingegneria.
È uno dei posti più silenziosi al mondo: alcuni dicono che a starci dentro si diventa matti, anche se io ormai ci sono abituato. Molti chiedono di venire a fare questa esperienza, dai tesisti per motivi di studio, agli influencer, per fare i loro video. Ovviamente le richieste vengono valutate: la priorità è sempre il fine di ricerca.
Ma qual è il principio della camera anecoica?
Ci sono due possibili modalità per studiare i suoni. Bisogna definire bene il campo sonoro per misurare la potenza sonora espressa in decibel.
Le misure possono essere fatte o in camere riverberanti, dove tutti i suoni riverberano, come succede in una grande cattedrale, ad esempio. In quel caso la pressione sonora è identica quasi in ogni punto della camera.
Oppure il campo deve essere libero, senza ostacoli, e il suono deve propagarsi liberamente. La camera anecoica è la migliore simulazione di campo libero. Se la camera è anche isolata dall’esterno, la situazione è perfetta. Tra le migliori camere universitarie italiane c’è quella di Ferrara.
Mi fai vedere come funziona?
Come vedi, l’ambiente della camera è completamente foderato di cunei simili a gommapiuma. Oggi si usa la fibra di poliestere, che non emette polveri. I cunei hanno lo scopo di assorbire i suoni di tutti gli oggetti che entrano dentro, così che risulti possibile determinare il “vero” suono di quell’oggetto.
[Fa delle prove, facendo scoppiare un palloncino, o scontrare due legnetti tra loro]
Che cosa senti? È il suono che ti aspetti? Alcuni rispondono di sì, altri di no. Ma come dice il maestro zen, non c’è risposta. [sorride, faceto] Per meglio dire, la risposta giusta è quasi sempre “dipende”.
In questi anni, quali sono gli utilizzi più particolari della camera che hai supervisionato?
David Romano suona come primo violino (un violino del Seicento) in un’orchestra di Napoli. Dovendo realizzare una conchiglia acustica con listelli di legno per suonare all’aperto, ha sperimentato quale fosse il suono del suo strumento in camera e in teatro.
È come con il palloncino di poco fa: non esiste un suono “vero”, è tutta una questione psicologica. Le nostre aspettative possono essere confermate o smentite dalle prove in camera anecoica.
Sono tanti i musicisti passati di qui?
Direi proprio di sì. Ad esempio Franco Mussida, uno dei fondatori della PFM e del CPM, Centro Professione Musica, con l’ausilio di Diego Maggi, li aiutammo nel loro progetti di realizzare una composizione musicale per scandire le ore in una spa in svizzera, realizzando una chiave interpretativa sul passare del tempo. Vennero qui a campionare tutti gli strumenti. Diego si face chiudere una buona mezz’ora nella camera anche lui.
In quell’occasione partecipò anche Elio Marchesini, percussionista della Scala, che per quel progetto aveva provato strumenti anche poco comuni, tra cui timpani, campane di vario tipo, la marimba, una piastra.
È affascinante avere a che fare con i musicisti, perché hanno una sensibilità pazzesca, diversa da quella comune, un lessico proprio; parlano di timbri, di colore.
Abbiamo lavorato anche per un’altra conchiglia acustica, per il festival di Stresa, con i tesisti del professor Imperadori, che hanno contribuito alla sua realizzazione. È stata un’esperienza molto particolare, siamo usciti con il manichino per fare le prove per questa “catapulta acustica” dell’architetto Michele De Lucchi, come è stata chiamata. Abbiamo incontrato anche Bollani. Il desiderio era quello di non usare microfoni lasciando lavorare la catapulta acustica, ma il tecnico del suono ha dovuto usarne qualcuno ben nascosto ed alzare il volume in alcune occasioni, per fare in modo che la gente sentisse sempre bene in ogni condizione, senza rendersi conto del rinforzo tecnico.
A proposito di musica, cosa mi racconti della sezione del lab a Cremona?
Hanno i laboratori vicini al museo Stradivari. Sai che una violinista deve suonare i violini ogni 15 giorni per mantenerli “vivi”? Hanno una camera anecoica propria, perché spostare uno stradivari da Cremona a Milano sarebbe semplicemente impensabile, ci vorrebbero misure di sicurezza spropositate.
Come si è evoluta la resa del suono in questi anni?
Sai cos’è la room acoustics? Lo studio del comportamento del suono in un certo ambiente. Ad esempio, è molto interessante lo studio dell’acustica dei teatri.
Da questi studi deriva anche la riproduzione del suono sui sistemi audio. Il suono è sempre percepito dalla testa: ad occhi chiusi posso sentire che un suono arrivi da una certa posizione. È possibile grazie al fatto di avere due orecchie distanti. La presenza fisica della parte centrale del corpo modifica il suono, e il cervello ricostruisce tutte le informazioni per capire la posizione del suono.
I manichini, quindi, servono anche a registrare queste tracce 3D?
Sì. Se faccio una registrazione binaurale, il suono passa dall’interno della testa all’esterno, creando un suono “3D”. È una tecnica utilizzata moltissimo nell’ambito dell’ASMR.
Si piazzano i microfoni nelle orecchie dei manichini per fare una registrazione binaurale. Si possono usare anche due orecchie di silicone. Tutte le informazioni sono inserite nei due canali: è poi il nostro cervello a ricostruire tutto. Ovviamente sono registrazioni da ascoltare in cuffia.
Esiste anche un’evoluzione del manichino?
Sì, e questo passo avanti possiamo vederlo al Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria, dove hanno una macchina con cui fare una scansione della testa e adattare la registrazione a una particolare testa.
Ci sono state anche innovazioni nelle registrazioni, negli ultimi anni?
C’è stato un periodo d’oro della registrazione. Negli anni Quaranta le registrazioni erano monofoniche e il cantante doveva essere molto vicino al microfono. I microfoni che usiamo noi in laboratorio sono diversi da quelli usati in campo musicale. Dobbiamo registrare un suono così com’è, il tono puro, la componente spettrale: ci interessa come lo sentiamo noi.
Ci sono mille elementi da tenere in considerazione. Oggi vengono usati i sistemi Ambisonic. Il suono immersivo esiste, esistono registrazioni 3D orientabili: man mano che ruoti il manichino è come se girassi la testa nella realtà. Con queste tecniche, ormai da qualche anno non è più necessario avere un manichino da ruotare, ma con una sola registrazione posso orientare virtualmente la testa in ogni momento ed in ogni direzione.
Che cos’è, invece, un’acoustic camera?
È l’equivalente della termocamera per quanto riguarda i suoni. È un dispositivo che attraverso l’utilizzo di diversi colori, riesce a indicarti da dove arrivi un suono. Viene ad esempio usata in galleria del vento. Questo tipo di camera è all’avanguardia, ha sostituito le sonde intensimetriche.
Sui violini del Seicento, invece, usano la vibrometria laser, tecnologia che misura la vibrazione delle tavole armoniche che emettono il suono, proprio perché il suono è vibrazione.
Cosa c’è nel futuro della resa del suono?
Il futuro è mettere il dolby nella testa, come si è provato con il sistema Earound, ove vengono utilizzati filtri digitali. Alcuni film sono stati realizzati con traccia Earound per sentire la spazialità del suono. In questo ambito abbiamo collaborato con Matteo Maranzana, che lavorava nel mondo del doppiaggio, ad un sistema per portare il dolby surround nelle cuffie.
Solo il tempo potrà dirci se il nostro modo di sentire un film verrà rivoluzionato.
Puoi consigliarci qualche lettura per entrare nel mondo dell’acustica?
Musicofilia. Racconti sulla musica e il cervello, di Oliver Sacks. Un’illuminazione sui molti modi in cui musica, emozione, memoria e identità si intrecciano e ci definiscono.