Abbiamo conosciuto Serena Benelli durante il suo dottorato di ricerca presso l’Archivio Gallone del Dipartimento di Fisica. Siamo andati a trovarla e ci ha mostrato centinaia di piccolissimi campioni dell’Ultima Cena di Leonardo, conservati prima in resine e poi in piccole, ordinate scatolette. Ci siamo trovati di fronte a un vero e proprio tesoro, custodito al Politecnico di Milano. Ma Serena è andata oltre: facciamocelo raccontare da lei!
Serena, sappiamo che hai conseguito il dottorato in Architettura, ingegneria delle costruzioni e ambiente costruito, per poi continuare il tuo percorso al Dipartimento di Fisica, più precisamente presso l’Archivio Gallone. Ma cominciamo dall’inizio: cosa ti ha portato al Poli?
È successo un po’ per caso, visto che provengo da un percorso di formazione umanistica.
Mi sono laureata in Storia e critica dell’arte alla Statale di Milano e poi ho frequentato la Scuola di Specializzazione in Beni storico artistici nello stesso ateneo. È stato durante il biennio post-laurea che ho scoperto dell’esistenza dell’Archivio Gallone e ho cominciato a frequentare gli spazi del Politecnico. Una fortuita concatenazione di eventi, direi a posteriori.
Come sei arrivata a Leonardo?
A tenere uno dei corsi proposti dalla scuola, quello di Museologia e critica artistica e del restauro, era quell’anno Michela Palazzo, allora direttrice del Museo del Cenacolo Vinciano.
L’interesse per le rocambolesche vicende conservative dell’opera di Leonardo, che snocciolammo durante gli incontri con la professoressa Palazzo, mi spinsero a chiederle di svolgere uno stage presso il suo ufficio, all’interno della Direzione Regionale Musei Lombardia. Lei accolse la mia richiesta e mi presentò un ricco progetto di tirocinio per la realizzazione di un “Archivio multimediale del Museo del Cenacolo Vinciano”. In collaborazione con il Dipartimento di Fisica del Politecnico, mi chiese di occuparmi del riordino dei materiali prodotti dall’attività di Antonietta Gallone e conservati nell’archivio omonimo. In quell’occasione ebbi modo di avventurarmi tra le carte dell’archivio e redigere un primo indice di documenti legati al Cenacolo.
L’idea del dottorato, quando è arrivata?
L’estate seguente partecipai a un bando di ricerca interdipartimentale volto allo studio e alla valorizzazione dei campioni dell’archivio, con un caso studio sull’Ultima Cena di Leonardo.
Fu così che iniziai il mio progetto di dottorato, con la supervisione di Stefano Della Torre e Ezio Puppin, quest’ultimo responsabile dell’Archivio Gallone, nonché vero e proprio “custode” della memoria storica e materiale della studiosa. La tesi che ho discusso si intitolava proprio “The Gallone Samples Archive: Knowledge Management Through Time. The Last Supper Collection Online Information System”.
Raccontaci dell’Archivio Gallone.
Per parlare dell’Archivio, prima è necessario dire qualcosa sulla persona che lo ha creato, Antonietta Gallone.
Nata nel 1928, si laurea (una tra le poche donne) in fisica nel 1951, alla Facoltà di Scienze dell’Università degli Studi di Milano. Poco dopo diviene ricercatrice all’Istituto di Fisica del Politecnico di Milano, dove rimarrà fino alla quiescenza.
Antonietta Gallone è stata tra le prime donne che nel secondo dopoguerra si sono avventurate nel campo della “diagnostica” sui beni culturali, per utilizzare un termine mutuato dalla medicina. Infatti, a partire dalla metà degli anni Settanta del Novecento, Gallone si dedica all’applicazione di tecniche “fisico-chimiche” al campo della conservazione. Nel corso della sua carriera scientifica, si distingue per la familiarità con la storia dell’arte e delle tecniche. Sostiene, con convinzione, la necessità che analisti e tecnici di laboratorio debbano essere formati non solo sulla scienza dei materiali, ma anche sulle tecniche artistiche, promuovendo con entusiasmo il dialogo tra storici, restauratori ed esperti scientifici, incitando la multidisciplinarità. Contribuisce così con approccio pionieristico a delineare il profilo professionale di quello che oggi chiamiamo conservation scientist.
In questo contesto storico, Gallone effettuò perlopiù analisi micro-distruttive basate sul prelievo di campioni microscopici da manufatti storico-artistici. Ecco, l’archivio si è formato grazie al lavoro di Antonietta Gallone, durante circa tre decadi di operosità nel campo della diagnostica sui beni culturali.
Com’è strutturato l’archivio?
Nell’archivio sono conservati oggi circa 600 relazioni scientifiche e circa 12.000 campioni che testimoniano le campagne analitiche condotte dalla fisica. L’ampio bacino di informazioni raccolte da Antonietta Gallone è stato utile e lo sarà ancora, per migliorare la nostra comprensione della storia dell’arte e delle tecniche. È stato applicato al restauro di numerosi capolavori nel secondo Novecento, come l’Ultima Cena di Leonardo a Santa Maria delle Grazie e Giotto nella Cappella degli Scrovegni, per citare un paio di cantieri rilevanti, che la videro operare in sinergia con la celebre restauratrice milanese Pinin Brambilla Barcilon.
Nel dettaglio, il fondo Gallone è diviso essenzialmente in tre sezioni: la sezione “Relazioni” comprende i report diagnostici dattiloscritti, già digitalizzati, redatti durante le campagne analitiche condotte dalla fisica a partire dalla metà degli anni Settanta. Ogni relazione contiene osservazioni e commenti sui risultati delle analisi mettendo in evidenza i dati più significativi.
Vi è poi la raccolta di “Campioni”, in parte sezioni stratigrafiche e in parte micro-frammenti, polveri, già analizzati in passato da Antonietta Gallone con la strumentazione scientifica allora esistente e disponibili per nuove analisi. Questa è la sezione più preziosa dell’archivio, contenente materiali prelevati durante i restauri da numerose opere e manufatti provenienti principalmente dal patrimonio storico-artistico italiano, con una particolare rappresentanza di arte pittorica rinascimentale.
La sezione “Archivio Dipartimento Fisica” comprende le carte provenienti dall’ex-ufficio di Antonietta Gallone presso il Dipartimento di Fisica ancora da riordinare. Circa venti scatole di bozze, manoscritti, fotografie, negativi, corrispondenza e materiale preparatorio per pubblicazioni. Su questa sezione del fondo ho condotto un primo lavoro di indicizzazione, secondo criteri tematici, riguardante i materiali della campagna diagnostica dell’Ultima Cena di Leonardo.
L’Archivio Gallone contiene la più ricca raccolta esistente di campioni prelevati dall’Ultima Cena di Leonardo da Vinci. Come l’hai razionalizzata e resa fruibile a tutti?
Direi la più ricca, sì: ci sono oltre 400 campioni prelevati dal Cenacolo!
Ho dovuto prima di tutto approfondire il tema degli archivi composti da campioni prelevati dai beni culturali e delle problematiche connesse con la loro conservazione, riutilizzo e diffusione.
Il progetto di ricerca sui campioni dell’Ultima Cena si è articolato, in primis, nella catalogazione e descrizione dei materiali prelevati dal capolavoro vinciano: sono stati osservati al microscopio ottico e indicizzati secondo un lessico convenzionale e una nomenclatura dedicata. I campioni erano stati conservati, negli anni, in provette vitree, plastiche talvolta prive di chiusura ermetica, quando non in bustine cartacee o contenitori di riciclo, come i porta-rullini. Insomma, contenitori di fortuna, materiali soggetti a processi di deterioramento, fragili e inadeguati ai fini della conservazione del materiale ospitato.
Li abbiamo quindi trasferiti in nuovi contenitori, più idonei, con la consulenza dell’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale, nello specifico di Antonio Sansonetti.
Accanto alle attività di catalogazione e digitalizzazione dei dati, ho potuto condurre diverse campagne analitiche sui campioni dell’Ultima Cena, in collaborazione con i laboratori del Politecnico: il Lab ARTIS di Daniela Comelli e il Lab Solinano di Gian Lorenzo Bussetti, con lo European Synchrotron Radiation Facility di Grenoble e con il CNR-ISPC, dimostrando il potenziale dei campioni per futuri studi.
Tornando ai lavori di ordinamento, le diapositive ‘antiche’ raffiguranti le sezioni stratigrafiche dei campioni sono state digitalizzate e, parallelamente, è stata correlata la documentazione cartacea e digitale con i microscopici materiali prelevati dall’opera vinciana.
Qual era l’obiettivo finale?
Localizzare, dove possibile, i punti di prelievo dei campioni sulla superficie del dipinto murale, referenziandone i dati, così da renderli fruibili attraverso una piattaforma digitale rivolta agli studiosi e, in particolare, a chi si occupa della conservazione dell’opera vinciana.
Uno dei prodotti scaturiti dalla mia ricerca è stato, infatti, il Sistema Informativo (IS) per i campioni dell’Ultima Cena realizzato in collaborazione con il laboratorio 3DSurvey del Politecnico e l’aiuto di Cristiana Achille e Franco Spettu.
L’IS permette di interrogare un database nel quale i campioni sono accuratamente referenziati sulla superficie digitale dell’opera tramite strumenti GIS che sono normalmente impiegati in ambito cartografico. Il sistema, che attualmente è in fase di test e completamento, sarà reso accessibile da una piattaforma dedicata, pensata per gli esperti del settore della conservazione, ma anche per un pubblico più ampio.
Per riassumere in poche parole: a partire da una fotografia dell’Ultima Cena navigabile come una mappa in alta risoluzione è possibile scoprirne i punti di prelievo e i risultati delle analisi svolte sulle aree indagate, consultarne report e immagini, aggiornare il contenitore digitale con nuovi dati e monitorare, quindi, nel tempo il fascicolo conservativo del capolavoro Vinciano.
Quanto sono importanti le nuove tecnologie nel tuo lavoro?
Moltissimo. La possibilità di accostare all’approccio storico-artistico quello scientifico consente di fare grandi passi nel campo della conoscenza, tutela, conservazione, restauro, gestione e valorizzazione del patrimonio storico-artistico.
In generale nel XX secolo le analisi delle opere d’arte erano limitate, ma i recenti avanzamenti tecnologici hanno migliorato la precisione delle nostre interpretazioni dei dati; per non parlare della possibilità di effettuare analisi non invasive, cioè senza danneggiare l’oggetto indagato, sui beni culturali.
Di conseguenza, per tornare al caso dell’Archivio Gallone, i campioni conservati offrono un tesoro di dati preziosi per futuri progetti di ricerca sul patrimonio culturale.
Dalle materie umanistiche della Statale al Politecnico. Un bel cambiamento…
Un bel cambiamento, sì. Inizialmente non è stato semplice. È stato un po’ un salto nel vuoto; più volte ho dubitato di aver fatto la scelta giusta, lo ammetto! Ho dovuto mettere in discussione il mio approccio allo studio e alla ricerca. Ma questo mi ha permesso di arricchire il mio bagaglio, non solo di conoscenze, ma di esperienze.
Durante questi anni ho conosciuto professionisti e, in primo luogo, persone interessantissime con percorsi e traiettorie diversi dal mio, ma con le quali ho avviato uno scambio fruttuoso, di grande crescita personale, professionale e umana. Questa esperienza mi ha aperto la mente e fatto capire quanto limitati fossero il mio sguardo e i miei interessi.
Ho avuto l’occasione di applicarmi concretamente alla catalogazione, alle tecniche diagnostiche relative al patrimonio storico-artistico, di indagare non solo gli aspetti storici e documentari dei manufatti artistici ma anche quelli più tecnici.
Sebbene la storia dell’arte sia uno dei rami più trasversali del sapere, viene vista spesso come un mondo a parte, senza alcun legame con altre discipline, in special modo con quelle scientifiche. Colpa di un equivoco secolare che vede la netta separazione tra cultura scientifica e cultura umanistica. Ma lo stesso Leonardo da Vinci aspirava all’unità dell’intelletto. Nel Codice Arundel scriveva: «Sì come ogni regno in se diviso è disfatto, così ogni ingegno diviso in diversi studi si confonde e indebolisce».
Dopo il dottorato, il FAI. Di cosa ti occupi oggi?
Da qualche mese lavoro nell’area Affari Culturali del Fondo Ambiente Italiano, una realtà impegnata in modo virtuoso nella tutela e nella valorizzazione del patrimonio artistico e ambientale, fondata nel 1975 da un’altra grande donna che ha segnato la scena milanese, Giulia Maria Crespi, di cui suggerisco l’autobiografia “Il mio filo rosso”, insieme a Renato Bazzoni.
Attualmente, sono impegnata nelle attività di due diversi uffici: Contenuti Grandi Progetti e Valorizzazione. Per il primo, mi occupo della ricerca e selezione di luoghi interessanti tra le aperture territoriali delle due manifestazioni di punta del FAI, ormai note a tutti: le giornate FAI di primavera e di autunno. Per il secondo, mi dedico alle attività di valorizzazione di alcuni beni di proprietà della Fondazione, per esempio creando materiale di approfondimento per la visita.
Cosa consiglieresti oggi a un ragazzo o ad una ragazza che vogliano seguire la tua strada?
Di non precludersi la possibilità di uscire dal percorso tracciato.
Intraprendere un dottorato, per di più in un contesto interdisciplinare è un’opportunità di ampliare le proprie conoscenze, acquisendone di nuove attraverso un approccio scientifico alla materia artistica. In questo senso, il Politecnico si pone all’avanguardia nel panorama formativo italiano per la potenziale creazione di una professionalità che sappia conciliare le conoscenze scientifiche di indagine delle opere con un inquadramento storico-artistico dei materiali, che possa fare da ponte tra i due mondi.
Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Far sì che gli obiettivi del lavoro che ho svolto al Politecnico e gli sforzi di coloro che prima di me hanno contribuito alla conservazione, all’ordinamento e alla valorizzazione dell’Archivio Gallone, vengano potenziati e valorizzati dall’Ateneo.
Il Politecnico conserva altri importantissimi archivi di architetti, designer e ingegneri: Brioschi, Bottoni, Chiodi, Grassi, Mucchi, Natta, Secchi, Steiner, per citarne alcuni. Diversi fondi documentari che sono un punto di riferimento per chi si occupa di architettura, design, ingegneria e storia dell’arte.
L’archivio Gallone è un unicum in questo panorama, un raro esempio di archivio composto da campioni del patrimonio culturale, al di fuori dei Centri per il Restauro, che offre opportunità di ricerca a livello internazionale. Il mio desiderio sarebbe vedere l’Archivio Gallone trasformato in una vera e propria facility per gli studi nell’ambito dell’Heritage Science, come una biblioteca-materioteca per la Storia del Restauro.