Anne L’Huillier, fisica francese, specializzata in fisica atomica, è diventata la quinta donna a ricevere il Premio Nobel per la fisica nel 2023 insieme a Pierre Agostini e Ferenc Krausz “per i metodi sperimentali che generano impulsi di luce ad attosecondi per lo studio della dinamica degli elettroni nella materia”.
Abbiamo avuto l’opportunità di incontrarla prima della sua conferenza del 22 aprile 2024 al Politecnico di Milano, organizzata dal Dipartimento di Fisica, in cui ha tracciato la traiettoria verso la generazione di impulsi ad attosecondi e ha illustrato il ruolo chiave della generazione di armoniche di ordine elevato nello spingere un po’ più in là i confini nella fisica atomica e molecolare. Questo viaggio attraverso le frontiere della scienza ultraveloce svela nuove conoscenze sulla dinamica degli elettroni e apre la strada ad applicazioni rivoluzionarie nella spettroscopia ad attosecondi e nella metrologia di precisione.
La sua carriera è iniziata in Francia e poi si è sviluppata in Svezia. Come valuta l’importanza della mobilità internazionale nella ricerca?
Questa è una domanda difficile. Sono andata in Svezia per motivi personali, per raggiungere mio marito che è svedese. Ma posso dire che per me la mobilità internazionale è molto importante, soprattutto a livello europeo. È molto arricchente cambiare paese ed è fortemente promosso dalla Comunità Europea, da strumenti come l’Erasmus e poi da programmi comunitari come le reti Marie Curie, che permettono di trovare posizioni molto interessanti.
L’Italia ha sempre avuto notevoli difficoltà nel trattenere talenti a livello internazionale e nel trattenere i cervelli locali, quale strategia si può adottare?
L’Italia non dovrebbe pensare di trattenere i cervelli, mi sembra più corretto vederlo da un punto di vista europeo. Quindi se c’è un italiano che va altrove, contemporaneamente ci sono anche stranieri che vengono in Italia, quindi è lo stesso. Penso che quello che sta avvenendo sia uno sviluppo importante e positivo. Ed è bene per tutti che ci sia questa mobilità europea.
La vita professionale del ricercatore, soprattutto nei primi anni, è soggetta a diverse pressioni come la concorrenza, la necessità di pubblicare molto e velocemente e poi la precarietà, come si possono conciliare tutti questi aspetti?
Per quanto riguarda la mia esperienza forse ai miei tempi era un po’ più facile, non ricordo 40 anni fa la pressione nel dover pubblicare. Credo che sia molto importante mantenere un rigore scientifico e poi la passione, la motivazione, sono essenziali per poter fare una carriera nella ricerca perché comunque ci sono momenti di difficoltà e bisogna essere molto motivati e appassionati a ciò che si fa per non desistere.
La comunità scientifica ha ancora molta strada da fare per raggiungere una piena parità tra i generi. Nel mondo accademico si parla della necessità di aumentare l’inclusività delle squadre scientifiche. Che impatto pensa avranno queste questioni nel prossimo futuro?
Non posso rispondere nei dettagli, ma quello che posso dire è che penso che la diversità nei tipi di ricerca sia importante. È importante avere persone di diversi sessi e di diversi background. Perché questo penso che arricchisca la ricerca, ci sono discussioni che sono più profonde se le persone hanno diverse formazioni, punti di vista diversi.
Per quanto riguarda le donne nelle scienze, penso che ci sia un miglioramento. Nei 40 anni che ho dedicato alla ricerca, vedo chiaramente un miglioramento. Ho lavorato per molti anni essendo l’unica donna in un team di uomini e ora non è più così, nel mio team ci sono oltre il 30% di donne.
C’è anche un miglioramento nel numero di premi Nobel per la fisica dal momento che siamo cinque (di cui le ultime tre negli ultimi cinque anni. Penso sia l’inizio di un lento miglioramento.
Cosa pensa della cosiddetta leaking pipeline, ovvero quel fenomeno per cui se anche i giovani si avvicinano alla materia in pari numero tra ragazzi e ragazze, il numero delle donne diminuisce sempre di più progredendo con la carriera?
È una buona domanda. Credo che sia difficile capire davvero perché ci sia questo fenomeno. Penso che una delle ragioni sia il fatto di avere figli e che richiede più tempo e attenzione. Questo influisce di più sulle carriere delle donne. Penso che sia davvero la società che debba aiutare.
Vedo che in Svezia è un po’ più facile a mio parere, ci sono delle buone strutture per l’assistenza all’infanzia dopo la scuola ed è più accettabile terminare le giornate presto per andare a prendere i figli rispetto ad altri paesi in Europa. È la società che deve cambiare ed è necessario che il partner aiuti. C’è ancora del lavoro da fare per facilitare le donne a restare in una carriera di ricerca e non andarsene troppo presto.
Qual è stato il momento migliore e quello più difficile della sua carriera scientifica?
I migliori momenti sono stati due il primo è stato quando abbiamo scoperto la Generazione di alte Armoniche di ordine elevato nel 1987. Per me è stato estremamente importante e rimane impresso nella mia memoria perché ha deciso della mia carriera. E poi, un altro momento molto importante è stato ovviamente quando ho ricevuto il Premio Nobel, è stata una cerimonia molto emozionante, un momento di grande felicità.
Un momento difficile nella mia carriera, invece, è stato quando ho deciso di trasferirmi in Svezia perché ho lasciato un buon posto fisso in Francia. È stata una decisione privata, ma difficile su vari fronti, mi ci sono voluti due anni prima di inserirmi nel sistema accademico svedese, anni in cui ho fatto avanti e indietro tra i due paesi.
Un altro periodo difficile è stato verso la fine degli anni ’90 perché si sapeva che probabilmente c’erano gli impulsi attosecondi, ma non si sapeva molto bene come misurarli e i metodi che stavamo utilizzando non funzionavano. Io volevo davvero sviluppare le applicazioni, le armoniche, ma anche quello non funzionava molto bene e non c’era molto interesse da parte dalla comunità scientifica in generale. Nella vita di ogni scienziato si attraversano fasi difficili, ma è proprio lì che bisogna essere più ostinati e andare avanti.
E quindi è questo il consiglio che darebbe a una giovane studentessa o giovane ricercatrice che si avvicina a questo campo di studio?
Sì prima di tutto la passione e poi l’ostinazione.
Quali saranno i principali ambiti di applicazione della tecnologia per la generazione e l’applicazione degli impulsi attosecondi?
Penso che sia un campo che si apre a molti settori. È ancora una ricerca fondamentale: per ora non siamo ancora arrivati alle applicazioni quotidiane.
Uno dei maggiori ambiti di applicazione sarà studiare la dinamica degli elettroni nei sistemi complessi. È una ricerca che viene affrontata qui a Milano, guardare cosa succede nelle grosse molecole, osservare le biomolecole e la materia condensata. Penso sia un campo in cui dovremmo aspettarci applicazioni tra qualche anno.
Inoltre, in questo momento, c’è un’applicazione interessante che si sta sviluppando nell’ambito dell’industria: utilizzare le armoniche come strumento di misurazione per i chip, i circuiti integrati in silicio. È interessante perché è nel giusto intervallo di lunghezze d’onda, nell’ultravioletto estremo, dove ci sono molte frequenze disponibili. È quindi possibile fare metrologia per la prossima generazione di computer e telefoni: un campo in cui abbiamo raggiunto dimensioni che sono a volte in profondità dell’ordine di pochi nanometri. E questo è già in fase di sviluppo da parte dell’industria dei semiconduttori.
Sta per affrontare una folta platea di giovani studenti, quanto è importante per lei l’insegnamento?
È molto importante e offre un equilibrio a una carriera di ricerca, perché quando si condivide qualcosa, conoscenze, entusiasmo con gli studenti, questo dà un ottimo equilibrio.
La ricerca a volte può essere frustrante, si rischia di perdere la direzione, mentre nell’insegnamento si ha subito un feedback. Attraverso gli occhi degli studenti si vede subito l’utilità di ciò che facciamo per la società. Quindi consiglio a tutti di affiancare entrambe le attività.
E di cosa parlerà questo pomeriggio?
Questo pomeriggio darò una prospettiva storica di questo campo di ricerca che ha richiesto molti anni per svilupparsi, una quarantina. Quindi darò un po’ di contesto, avendo avuto il privilegio di trovarmi in questo campo fin dall’inizio.