Abbiamo incontrato Anthea Comellini in una pausa del suo tour al Politecnico di Milano in occasione della 75° edizione di IAC, International Astronautical Congress, la più importante conferenza internazionale dedicata a Spazio e Astronautica, organizzata da International Astronautical Federation (IAF) in collaborazione con l’Associazione Italiana di Aeronautica e Astronautica (AIDAA), l‘Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e Leonardo.

Grazie alla collaborazione con ASI sei astronauti hanno visitato la Galleria del Vento del Politecnico e fatto un bagno di folla fra studenti appassionati di spazio, che li hanno sommersi di domande.
Oltre ad Anthea Comellini erano presenti all’incontro organizzato dal Dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziali (DAER): Franco Malerba, Italian Astronaut; Andrea Patassa, ESA astronaut reserve; Hazzaa Ali AlMansoori, Emirati astronaut; Sara Sabry, Blue Origin astronaut.
Alumna in ingegneria aerospaziale del Politecnico, una massa di ricci e un largo sorriso, Anthea ha 32 anni è originaria di Chiari, in provincia di Brescia ed è stata selezionata dall’ESA fra 23.000 candidati come astronauta di riserva. Ci ha spiegato cosa vuol dire e come si sta addestrando per prepararsi a un prossimo volo.
Con lei abbiamo scoperto cos’è il LEO, come si può fluttuare in una piscina galleggiante che simula le passeggiate extraveicolari e quanto sia importante anche per gli astronauti avere competenze di medicina e di fotografia. Senza troppi grilli per la testa, ma lavorando passo dopo passo, ci ha dimostrato come si possono raggiungere grandi obiettivi con determinazione e tanta passione.
Quando ha capito che lo spazio era nel suo destino?
Fin da piccolissima mi affascinavano lo spazio e l’aeronautica.
Da un lato ero attratta dai pionieri e dagli esploratori e dall’altra c’era proprio la passione. Ero una grande fan di Star Wars, e da piccolina guardai Armageddon e quando vidi lo Space Shuttle sulla rampa di lancio mi brillavano gli occhi, ma lì ancora pensavo che fosse un film, una finzione.
Mi appassionava molto vedere le cose che noi uomini riuscivamo a creare, ma in realtà non è mai stato un chiodo fisso, anzi sognavo di fare la scrittrice, poi la biologa marina, poi pian piano crescendo e conoscendo nuove materie ho capito che erano la matematica e la fisica le materie più affini a me. Arrivata alla scelta dell’università ero indecisa fra entrare all’Accademia aeronautica o fare una scelta più tecnico scientifica. E poi ho capito che preferivo imparare come costruire gli aerei piuttosto che come pilotarli.
E quindi come ha lavorato per raggiungere questo obiettivo, per arrivare dove è adesso?
Con la testa bassa, passo dopo passo, puntando a raggiungere un obiettivo per volta, prima gli esami cercando di mantenere la media alta per accedere alle borse di studio, poi la doppia laurea in Francia, poi la scelta della specialistica in aeronautica. Sono state tutte scelte consapevoli, che sono maturate sulla base degli elementi che avevo al momento, senza proiettarmi troppo in avanti.
Cosa vuol dire essere un’astronauta “di riserva” come è lei adesso, che ha sbaragliato la concorrenza, solo in 17 su 23.000 avete superato la selezione e lei è l’unica italiana!
Sì, l’ESA indice una selezione ogni 10, 12 anni. Quindi quella del 2022 è stata la prima dopo il 2009 e la prima in cui, oltre agli astronauti di carriera, che hanno iniziato subito l’addestramento venendo assunti dall’ESA, c’è anche un gruppo di 11 ragazzi e ragazzi di riserva. Per riserva non si intende i panchinari che corrispondono a un titolare, ma significa che noi abbiamo mantenuto il nostro lavoro, quindi abbiamo la possibilità di continuare a progredire nelle nostre carriere, ma nel frattempo abbiamo delle opportunità di addestramento. Ad esempio stiamo per iniziare un percorso di sei mesi di addestramento, dilazionati in tre sessioni da due mesi per permetterci di continuare a lavorare. E poi nel caso ci sia un’opportunità di missione a quel punto veniamo assunti dall’ESA a tempo determinato o indeterminato, questo dipende dal tipo di missione alla quale siamo assegnati, a quel punto completiamo l’addestramento ed effettuiamo una missione.

Perché hanno fatto questa scelta?
Perché le prospettive dell’esplorazione spaziale, soprattutto in LEO (Low Earth Orbit, orbita terrestre bassa) sono molto rosee, nel senso che ci sono un sacco di nuovi attori commerciali, si parla di nuove stazioni e di un maggiore interesse a fare ricerca in micro gravità. Però al contempo ci sono anche un po’ di incertezze. Cioè quale sarà il futuro dopo la ISS? Quali saranno le prime stazioni commerciali? Quali saranno le capacità di accesso allo spazio che ci serve? Perché per adesso America, Russia e Cina hanno accesso allo spazio e noi europei dobbiamo sempre chiedere un passaggio, quindi magari nei prossimi anni riusciremo anche noi a sviluppare qualcosa. Però viste queste incertezze, ma al contempo queste nuove opportunità, avere le riserve garantisce di essere pronti se le opportunità si manifestano, ma anche flessibili di fronte a queste incertezze.
E quindi come si prepara adesso? Cosa la aspetta nei prossimi anni? Potrebbero chiamarla un momento all’altro, come si deve addestrare?
Sì, potrebbero effettivamente chiamare da un momento all’altro, nel senso che un nostro collega svedese della riserva ha già volato, è stato chiamato e nel giro di 9 mesi ha completato il suo addestramento e ha fatto un volo, quindi le cose possono anche andare molto velocemente. Un altro nostro collega polacco si sta addestrando e penso che volerà l’anno prossimo. Quindi bisogna farsi trovare pronti.
Proprio per accompagnarci in questo processo l’Agenzia Spaziale Europea ha indetto per noi questi addestramenti.
Siamo 17 in tutta la classe, 5 sono di carriera e si stanno già addestrando poi c’è un ragazzo membro della riserva che è un para astronauta con cui stanno facendo uno studio per capire se sia fattibile e soprattutto sicuro per una persona come lui, che ha una disabilità agli arti inferiori, effettuare una missione spaziale, e quali siano nel caso gli adattamenti che devono essere fatti.
E l’addestramento in che cosa consiste?
Ci sono delle lezioni più frontali che possono essere lezioni sull’ISS, lezioni sui programmi dell’Agenzia Spaziale Europea, lezioni di biologia e di quelle materie utili per condurre gli esperimenti in orbita.
Perché poi la ragione per la quale noi andiamo sulla Stazione Spaziale Internazionale è per effettuare esperimenti in microgravità, quindi dalle biotecnologie alla scienza dei materiali, dalla crescita delle cellule alla fisica, bisogna veramente avere un’infarinatura su diverse materie in modo tale da essere in grado di interagire con gli esperti da terra ed effettuare gli esperimenti in maniera corretta. Poi cose che non verrebbero in mente come corsi di fotografia perché ad esempio l’ISS è una bellissima finestra sulla terra e quando ci sono dei fenomeni atmosferici estremi, come gli uragani, gli astronauti fanno foto che poi vengono utilizzate addirittura dagli scienziati, dai ricercatori, quindi devono essere anche in grado di fare foto non solo belle da un punto di vista estetico, ma anche utili dal punto di vista dei dati.
E poi faremo dei corsi di sopravvivenza in montagna, in mare, utili in caso di atterraggi di emergenza e poi anche dei corsi nella Neutral Buoyancy Facility (Struttura di Galleggiamento Neutro) dell’ESA che è questa grande piscina che viene utilizzata per simulare le passeggiate extraveicolari permettendo agli astronauti di praticare come muoversi con le tute e operare al di fuori di un veicolo spaziale, ad esempio durante riparazioni critiche o l’installazione di attrezzature sulla Stazione Spaziale Internazionale.

Sara Sabry, Blue Origin astronaut. Anthea Comellini, ESA astronaut reserve
E come si concilia questa attesa, che può essere appunto una partenza fra 9 mesi, con la sua vita privata?
In realtà si concilia benissimo, perché sono molto occupata con il mio lavoro di tutti i giorni che mi appassiona molto. Spesso si dice che il modo giusto per diventare astronauti è avere un buon piano B, per me in realtà il modo giusto è di avere un buon piano A, che non è diventare astronauti, ma trovare il lavoro che si ama e che si fa con passione, perché in quel modo poi è anche più facile affrontare la selezione degli astronauti, perché le si carica di minori aspettative.
E a cosa sta lavorando adesso?
Adesso sto lavorando a un progetto che si chiama LEO Cargo Return Service 2028, un progetto dell’ESA che ha l’ambizione di sviluppare un velivolo di cargo che possa trasportare su delle stazioni LEO, quindi in primis sulle ISS, dei cargo, ma anche riportarli indietro. L’obiettivo sarebbe poi quello di fare un’evoluzione abitabile, che possa trasportare un equipaggio in modo tale da sviluppare noi europei questa capacità.
Dove vorrebbe che le proponessero di andare sulla ISS, Luna, Marte?
Penso che nessuno degli astronauti attivi si sia mai posto il problema, nel senso che, se ancora non stiamo portando gli astronauti e riportandoli a casa dalla luna, significa che Marte è ancora molto più lontana e trattandosi di missioni che dureranno minimo un anno e mezzo il profilo psicologico che si cercherà sarà completamente diverso rispetto a quello che si è cercato in queste selezioni. Io affronto questa domanda in maniera molto ingegneristica, nel senso che noi rookies noi matricole, le prime esperienze che faremo saranno in orbita bassa e poi se ci saranno le opportunità e le occasioni, solo a quel punto potremmo magari diventare dei candidati per delle missioni lunari, quindi per adesso sarebbe già una gran cosa avere una missione in orbita bassa.
Andando sulla ISS cosa potrebbe essere utile scoprire per la terra?
Ma in realtà sono state fatte le scoperte più svariate, addirittura su come si sviluppano le proteine, i cristalli proteici. In assenza di peso la fisica funziona in maniera diversa, quindi magari le cose si sviluppano in 3D, anziché svilupparsi in 2D come quando cerchiamo di replicare delle cose in laboratorio su dei vetrini. Sono riusciti a scoprire delle cose sul sistema immunitario, che cambia completamente, sulle malattie degenerative muscolari o il cancro, perché evolvendo in 3 dimensioni si riesce a capire meglio come si replicano le cellule.
Ma poi non solo le scoperte che si fanno, ma anche gli strumenti che si sviluppano per assicurare la vita degli astronauti in orbita, gli effetti che vivranno gli astronauti nello spazio spesso sono simili a quelli delle persone allettate, quindi nel momento in cui si vede come rendere migliore la salute degli astronauti nello spazio, si può replicare questa cosa anche per le persone allettate.
Si fanno delle scoperta anche dal punto di vista delle relazioni e dei profili psicologici, di come ci si comporta in isolamento e anche degli strumenti medici per la telerilevazione, per esempio per effettuare delle ecografie da remoto che poi noi possiamo utilizzare anche nella vita di tutti i giorni.

Hai parlato molto del profilo psicologico che è importante per quando si deve partire, che magari è diverso da quello che verrà richiesto a chi andrà su Marte. Quindi che caratteristiche sono richieste a un buon astronauta?
Innanzitutto bisogna avere una forte motivazione. Perché non è sufficiente essere spinto solo dal desiderio di eccellere, uno deve capire cosa c’è in gioco a livello anche di umanità, di società, nella conquista spaziale. E poi bisogna sapere che si tratta di un percorso lungo, dove la parte più difficile magari non è neanche l’addestramento quanto più il dover aspettare per una cosa che arriva non si sa quando, e saperlo reggere fisicamente e mentalmente.
Si parla poi molto anche della stabilità emotiva, appunto, perché si è isolati, non si può tornare a casa se c’è qualche problema, quindi bisogna essere in grado di gestire anche delle situazioni di stress e questo isolamento e lontananza. E poi il famoso team player, essere in grado di collaborare, lavorare in gruppi e soprattutto in gruppi che siano multiculturali. Perché sulla stazione spaziale internazionale ci sono dalle 7 alle 11 persone che vengono da ogni angolo della terra, con background completamente differenti, ma che hanno una missione comune.
Che consiglio darebbe a un giovane studente che guarda allo spazio e sogna di trovarsi nella sua posizione di oggi?
Per me il consiglio più grande che io possa dare è semplicemente di seguire le proprie passioni, a prescindere da tutto quello che ci possono dire le persone anche in buona fede per scoraggiarci. Se si segue la propria passione, anche se poi il cammino potrà avere degli ostacoli, la soddisfazione e la felicità sarà così grande che non ci si ricorderà nemmeno degli ostacoli superati e quello che poi si raccoglierà sulla strada varrà tutte le fatiche.

Hazzaa Ali AlMansoori, Emirati astronaut; Sara Sabry, Blue Origin astronaut.