In un mondo in cui il dialogo tra medici e ingegneri è sempre più frequente, la biomeccanica computazionale si afferma come ponte tra queste due discipline, offrendo soluzioni innovative per la medicina personalizzata.
Giulia Luraghi, Assistant Professor del Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica “Giulio Natta” del Politecnico di Milano, ci guida alla scoperta di come modelli numerici, Digital Twins e intelligenza artificiale stiano rivoluzionando le procedure cardiovascolari, rendendole più sicure, precise ed efficaci.
Attraverso il suo lavoro, Giulia ci dimostra come due mondi apparentemente distanti possano collaborare per sviluppare tecnologie capaci di migliorare la vita dei pazienti e trasformare la pratica clinica.

Ripercorriamo insieme il tuo percorso accademico fino ad oggi
Sono sempre stata fedele al Politecnico [ride]. Tutto il mio percorso accademico si è svolto qui, dalla triennale al dottorato. In triennale e in magistrale ho studiato Ingegneria Biomedica, per poi concludere la mia carriera da studentessa, con il dottorato in Bioingegneria. Durante il dottorato ho svolto sei mesi all’estero, in particolare presso l’università di Swansea in Galles, un’esperienza diversa ma molto bella. Afferivo a piccolo laboratorio dove, però, il professore che lo conduceva era esperto di una metodologia che ancora non conoscevo, motivo della mia scelta. Ho imparato davvero tanto e ho un ricordo positivo di questa esperienza.
Attualmente sono Assistant Professor e responsabile della sezione cardiovascolare del Laboratorio di Biomeccanica Computazionale e Medicina In Silico qui al Politecnico. Dal 2020, inoltre, collaboro con TU Delft, come ricercatrice affiliata, su una specifica applicazione: la trombectomia intra-arteriosa per ictus ischemico acuto. La mia collaborazione è principalmente a distanza: intervengo alle riunioni del gruppo, seguo alcuni loro tesisti e ho anche mandato lì tesisti del Politecnico. Ho incontrato più volte il gruppo di persona, ma non ho mai trascorso lunghi periodi lì.
Com’è nata la tua passione per la ricerca?
Non c’è stato un vero momento, credo di aver capito di voler perseguire questa strada durante la tesi di laurea magistrale. Sono sempre stata una persona molto curiosa, a cui piace studiare e imparare cose nuove. Probabilmente questa mia attitudine è stato il motore trainante, mi spiego meglio: dopo la magistrale ho fatto il dottorato ma non ci ho pensato molto; non ho mai preso in considerazione altro. Ovviamente sono anche stata fortunata ad aver avuto le possibilità e le occasioni di andare avanti.
La scelta di studiare Ingegneria Biomedica è nata dalla mia esigenza di poter fare qualcosa di utile per il benessere e la salute delle persone; oltre al fatto che mi affascinava l’idea di intraprendere un percorso che portasse ad applicazioni finali.
Entriamo nel vivo della tua ricerca, di cosa ti occupi esattamente?
Mi sono specializzata in Biomeccanica Computazionale, una disciplina che applica i principi della meccanica allo studio dei sistemi biologici – nel mio caso quelli cardiovascolari – utilizzando approcci computazionali. In pratica, sviluppo modelli al computer per riprodurre procedure cardiovascolari.
Nel nostro laboratorio lavoriamo su quello che viene chiamato Digital Twin del paziente, ovvero un gemello virtuale, che permette di studiare la patologia del paziente, comprenderne le cause e/o l’entità, e riprodurre la procedura cardiovascolare per ottimizzarla e migliorarla. L’obiettivo finale è offrire suggerimenti utili ai chirurghi e, in alcuni casi, contribuire anche al miglioramento delle protesi.
Attualmente, la mia ricerca si concentra su tre procedure cardiovascolari principali:
- La TAVI (Transcatheter Aortic Valve Implantation): una procedura che prevede la sostituzione della valvola aortica con una protesi per via percutanea. Questo è anche il tema centrale del progetto ERC che ho vinto.
- Gli impianti di stent-graft per patologie dell’aorta: TEVAR (thoracic endovascular aortic repair) e EVAR (edovascular aortic repair)
- La trombectomia intra-arteriosa cerebrale: una procedura per rimuovere trombi dalle arterie cerebrali in caso di ictus ischemico. Per questa procedura, lavoriamo all’interno di un progetto europeo finanziato da Horizon Europe.
I modelli che create, su quali tecnologie si basano?
La cosa fondamentale per noi è avere accesso ai dati del paziente, in particolare alle immagini pre-operatorie. Come accennavo prima, grazie a queste immagini, siamo in grado di ricostruire il Digital Twin del paziente, un modello 3D che, come nel caso dell’aorta, ci permette di ricostruire con precisione la sua forma.
Per quanto riguarda i dispositivi, come le protesi, abbiamo bisogno di quelli fisici per studiarli, testarne il comportamento e comprendere come il materiale si comporta in diverse condizioni. Anche in questo caso, riusciamo a creare un gemello virtuale della protesi, riproducendone non solo la geometria ma anche le proprietà dei materiali. Grazie a tecniche di simulazione a elementi finiti riusciamo, quindi, a replicare l’impianto in modo dettagliato, simulando l’interazione tra il paziente e il dispositivo, prendendo in considerazione vari fattori come: le caratteristiche dell’aorta, della valvola, dei vasi cerebrali e dei trombi. Il tutto in modelli 3D altamente realistici.

Come avviene la collaborazione con i chirurghi e quale ruolo ha lo scambio di conoscenze?
L’obiettivo principale del nostro lavoro è prevedere le possibili complicazioni per poterle prevenire. Attraverso la simulazione numerica, tecnologia tipica degli ingegneri, siamo in grado di trasformare i risultati in un formato che il chirurgo possa facilmente interpretare. Ad esempio, i chirurghi sono abituati a stimare il flusso di sangue tramite ecodoppler, noi possiamo creare immagini delle sezioni del nostro modello 3D e visualizzare il campo di velocità del flusso sanguigno all’interno dell’aorta. Questo ci permette di analizzare eventuali alterazioni nella fluidodinamica, come cambiamenti nella velocità locale del sangue o della pressione, che potrebbero essere alla base di complicazioni.
Inoltre, se un chirurgo è indeciso tra due protesi o ha dubbi sulla posizione ottimale per l’impianto, possiamo simulare diversi scenari e fornirgli una mappa, un disegno o uno schema che lo aiuti a prendere una decisione.
Le nostre collaborazioni nascono in modo diverso, ma hanno sempre un punto in comune: una forte interazione tra noi e i chirurghi, che ci forniscono le necessità pratiche e cliniche. Non essendo noi medici, ci affidiamo alla loro esperienza per capire quali siano i problemi da risolvere. Spesso, sono i medici stessi ad indicarci le aree in cui sarebbe utile un approfondimento, e insieme sviluppiamo progetti di ricerca per rispondere a queste domande.
Lavorate su casi di singoli pazienti o su gruppi di pazienti?
Lavoriamo su entrambi. Per quanto riguarda il singolo paziente, conosciuto come patient specific, il chirurgo ci invia le relative immagini e noi ricostruiamo il modello, creando diversi scenari per fornire una visione delle opzioni migliori.
In altri casi, invece, raccogliamo dati da un numero maggiore di pazienti, tendenzialmente con la stessa patologia ma con applicazioni diverse, per capire le ragioni per cui alcuni sviluppano complicazioni e altri no. Dipende molto dall’obiettivo dello studio.
I tempi per lavorare su casi specifici di pazienti sono stretti?
Per quanto riguarda i tempi, quando lavoriamo su casi di patient specific, generalmente non sono così stretti. Ad esempio, per le procedure sulla valvola aortica o gli stent-graft, che non sono procedure urgenti, i chirurghi pianificano l’intervento con un anticipo di circa 2-3 settimane. In questi casi riusciamo, quindi, a preparare i modelli e le simulazioni necessarie senza fretta. Abbiamo fatto enormi progressi nell’efficienza delle nostre simulazioni, riuscendo ad ottenere i risultati in circa 48 ore. Questi tempi ci permettono anche di avere uno scambio con i chirurghi: possiamo mostrar loro il primo risultato, e se necessario, adattarlo, ad esempio provando un’altra protesi o scenario.
Nei casi di urgenza invece?
Nel caso delle urgenze, come per un ictus cerebrale, la situazione è completamente diversa. Questi interventi devono essere fatti rapidamente, entro 4-5 ore. Al momento, il nostro modello non è abbastanza veloce per essere utilizzato direttamente durante la procedura, poiché richiede circa 24 ore per completare la simulazione. Tuttavia, possiamo usarlo successivamente, per ottimizzare la procedura a posteriori, analizzando cosa potrebbe essere stato fatto meglio.
Stiamo anche sviluppando tecniche basate sull’intelligenza artificiale che potrebbero migliorare notevolmente questo aspetto. Ad esempio, avendo una base dati di tanti pazienti, i modelli di intelligenza artificiale potrebbero correlare la geometria del paziente e la specifica procedura prescelta con i risultati finali. In questo modo, in futuro, sarebbe possibile ottenere previsioni in tempo reale, senza bisogno di eseguire l’intera simulazione. Questo tipo di tecnologia sarebbe particolarmente utile per le procedure d’urgenza, dove il tempo è un fattore cruciale.

Qual è il margine di errore di questi modelli?
Il modello naturalmente non è la realtà, ci sono delle limitazioni, ma esistono regole precise da seguire per garantire la validità dei risultati. Regole che sono anche state normate.
Ad esempio, prima di utilizzare una simulazione in pratica clinica, è necessario validarla. Questo processo implica confrontare i risultati del modello con dati sperimentali reali per quantificare l’errore. Per esempio, se il nostro modello di simulazione prevede una velocità di 2 m/s al secondo e un eco-doppler misura effettivamente quella stessa velocità, possiamo essere certi della validità del nostro lavoro. Generalmente, un errore intorno al 2% è accettato. In ogni caso, il nostro obiettivo è sempre ridurre al minimo l’errore e migliorare continuamente.
Qual è il tasso di successo dei vostri studi e come vengono garantiti?
Il nostro tasso di successo è molto alto. Ogni simulazione che sviluppiamo viene sottoposta a verifiche, che includono la comparazione con dati clinici reali e la validazione tecnica del modello. Seguiamo un approccio normato attraverso le regole VVUQ (Verification, Validation, Uncertainty Quantification), che ci permette di dimostrare l’affidabilità dei modelli. Finora, abbiamo ottenuto risultati molto soddisfacenti. Il nostro obiettivo è progredire passo dopo passo, verificando ogni miglioramento prima di implementarlo in un contesto clinico. In futuro, ci piacerebbe offrire strumenti innovativi ai chirurghi, come una app che permetta di testare le simulazioni direttamente sul loro smartphone. La nostra idea è quella che il chirurgo possa caricare le immagini dei pazienti, vederne l’anatomia e simulare l’impiantamento dello stent graft per vedere come sarebbe l’impianto.
So che hai da poco vinto un ERC, innanzitutto complimenti, ci vuoi spiegare che cos’è e su quale progetto stai lavorando?
L’ERC (European Research Council) è un finanziamento europeo che, a differenza di altri progetti, come quelli di Horizon Europe, viene assegnato a singoli ricercatori e non a consorzi. Si tratta di un’opportunità per finanziare idee molto innovative e con alto impatto sociale. In particolare, il tipo di ERC che ho vinto è lo Starting Grant, della durata di 5 anni, destinato ai ricercatori più giovani, ovvero a chi ha conseguito il dottorato da 2 a 7 anni. Successivamente ci sono altre tipologie, come Consolidator e Advanced, che sono per ricercatori con maggiore esperienza.
Il mio progetto si chiama Protego e riguarda il trattamento delle patologie della valvola aortica. L’obiettivo è ridurre l’alto tasso di complicazioni che si verificano dopo gli interventi, in particolare dopo la procedura di impianto della valvola aortica. L’aspetto innovativo del mio lavoro consiste nell’applicare una combinazione tra biomeccanica, che è il mio campo di ricerca, e immunologia. La mia idea è quella di sviluppare un modello predittivo basato sull’intelligenza artificiale che, utilizzando dati provenienti sia dal modello digital twin del paziente (simulazioni numeriche), che dal suo profilo immunologico, possa stimare la prognosi post-operatoria. La novità sta nell’approccio integrato tra biomeccanica e immunologia, perché le complicazioni post-operatorie, come l’impianto errato della protesi o problemi legati all’infiammazione del paziente, sono spesso il risultato di un’interazione tra questi due fattori. Quindi il mio progetto mira a sviluppare tecniche di intelligenza artificiale per analizzare entrambi gli aspetti in modo combinato.

Quali sono i prossimi passi?
Sto ancora cercando di ambientarmi, dato che si tratta di un progetto molto importante. A breve inizieranno anche due dottorandi a lavorare con me. Il progetto è ancora in una fase iniziale, quindi il mio compito sarà organizzare bene la squadra. L’obiettivo del grant ERC è quello di fare ricerca per analizzare e verificare le ipotesi formulate, il mio obiettivo più a lungo termine è di sviluppare qualcosa che sia brevettabile o una tecnologia pronta per l’uso. La nostra ambizione, sia mia che del mio gruppo, è portare i risultati della ricerca di base verso applicazioni pratiche in ambito clinico. Se l’ipotesi che ho sviluppato dovesse funzionare, spero di riuscire a proseguire in questa direzione, brevettando e trasferendo la tecnologia nella pratica clinica, avviando anche trial clinici.
Qual è l’aspetto che ancora oggi continua a sorprenderti del tuo lavoro?
Una cosa che mi sorprende sempre è l’interazione con i medici, e in particolare la fortuna di relazionarmi con chirurghi che sono all’avanguardia e che sono molto aperti a nuove tecnologie e a guardare verso la ricerca. Questo mi ha colpito sin da quando ero una giovane dottoranda. Per noi, che lavoriamo principalmente davanti a un computer e non abbiamo un contatto diretto con la parte pratica, questo è un aspetto molto bello. Spesso, chi lavora in ambito teorico può avere la sensazione che il lavoro sia astratto e fine a sé stesso, ma vedere come la ricerca venga applicata, apprezzata e utilizzata nella pratica clinica è davvero gratificante.
Cosa consiglieresti oggi ad una ragazza o ad un ragazzo che vogliano seguire la tua strada?
Consiglierei sicuramente di seguire la propria curiosità, proprio come ho fatto io. Se una persona è veramente curiosa e appassionata di scoprire cose nuove, dovrebbe alimentare questa curiosità e non lasciarla svanire. È importante non fermarsi davanti alle difficoltà, perché questa carriera può essere impegnativa, ma offre anche grandi soddisfazioni. Quindi, se c’è la voglia di imparare e crescere, vale la pena affrontare le sfide, perché alla fine il percorso può rivelarsi estremamente gratificante.