Selena Sironi e il fiuto per la ricerca

C’è chi, per lavoro, si occupa di odori. No, non stiamo parlando delle profumerie, anzi. Ci riferiamo ai cattivi odori e al team di ingegneri chimici che, al Politecnico di Milano, fa del suo meglio per studiarli e, nei limiti del possibile, per evitare a tutti noi il fastidio di doverci tappare il naso. Per capirne qualcosa di più abbiamo incontrato Selena Sironi, la responsabile del Laboratorio Olfattometrico del CMIC.

Nel vostro laboratorio, per dirla in parole poverissime, si “annusano le puzze”. Con quale scopo?
Detta così fa un po’ ridere! Una volta soffrivo questa definizione, ma oggi ne sono molto orgogliosa. Ho avuto il coraggio di accettare la sfida della misurazione degli odori quando avevo 25 anni e in pochi credevano che questa fosse una disciplina da affrontare con rigore e metodo scientifico. Più di vent’anni dopo posso dire di aver avuto ragione con le mie intuizioni e questa materia è oggetto di ricerche e pubblicazioni scientifiche, oltre che tematica di insegnamenti in corsi di laurea e laurea magistrale.
Oggi ho la responsabilità scientifica del Laboratorio Olfattometrico del Politecnico. L’attività del mio gruppo di ricerca è quella di qualificare e quantificare le emissioni odorigene, prevalentemente da sorgenti industriali ma non solo. E di valutare – studiando i fenomeni di trasporto e volatilizzazione delle sostanze odorigene – come l’odore diffonde e disperde nell’ambiente e quindi come viene percepito nei luoghi in prossimità della fonte fino alle abitazioni di cittadini ubicate a maggior distanza.

Che tipo di strumenti utilizzate?
Cerchiamo di ottenere più informazioni possibili sulle miscele odorigene che analizziamo. Ci avvaliamo di tecniche strumentali analitiche come la gascromatografia associata alla spettrometria di massa, di tecniche sensoriali di olfattometria dinamica che usano sistemi di diluizione e poi di un panel di persone selezionate e di tecniche senso-strumentali attraverso l’uso di nasi elettronici. In ogni caso, oltre agli strumenti, è necessario avere una profonda conoscenza dei processi produttivi ed emissivi che caratterizzano gli impianti industriali. Per questo motivo una figura come quella dell’ingegnere chimico è fondamentale per riuscire a comprendere davvero dove possano innestarsi i problemi che poi generano le molestie olfattive.

Com’è nata l’idea di dedicarsi al “mondo dell’olfatto”?
Il laboratorio nasce da un’esigenza concreta del territorio. Nel 1997, dopo l’emergenza rifiuti a Milano, la costruzione di impianti per il trattamento meccanico biologico del rifiuto indifferenziato creò l’esigenza di capire come misurare e contenere le emissioni di odore che sarebbero derivate da questo tipo di impianti. Cominciammo a studiare il fenomeno e fin da subito capimmo che potevamo portare le competenze del Politecnico in campo e sul campo, mettendoci al servizio della comunità. Lo spirito negli anni non è cambiato, la nostra ricerca è volta a comprendere meglio come “ingegnerizzare” la sensazione olfattiva rendendola oggettiva e quantificabile in modo che possa essere di aiuto a tutta la comunità. E quindi che sia di aiuto alle industrie per il controllo delle loro emissioni, ma anche al cittadino per la tutela della qualità dell’aria che respira fino ad arrivare all’organo di controllo per avere un confronto tecnico e scientifico su tematiche di frontiera.

Qual è l’impatto concreto di ciò che fate sulla comunità?
L’interesse per la tematica delle emissioni e degli impatti dell’odore sul cittadino è cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni. Con sempre maggior frequenza il cittadino non è disposto a tollerare odori che vengono ritenuti molesti. Per questo motivo chiede all’organo di controllo di essere tutelato nei confronti degli odori che vengono dispersi dai vicini impianti industriali. Noi proviamo quindi a caratterizzare l’odore emesso, a valutare come esso impatti sulla comunità e a trovare le soluzioni per la riduzione di un eventuale impatto olfattivo fastidioso.

Quante persone lavorano nel suo laboratorio?
Siamo in 12, è un gruppo giovane e dinamico. Le giovani e i giovani componenti del gruppo, assegnisti di ricerca e dottorandi, sono il vero motore del nostro laboratorio e hanno sempre mille idee stimolanti. È un bel gruppo che lavora seriamente, ma che trova anche il modo di divertirsi. È raro finire una giornata senza aver scambiato molte idee e parecchie risate.

I nasi elettronici utilizzati per l’analisi olfattometrica all’interno del laboratorio diretto da Selena Sironi

Come descriverebbe la vita in un laboratorio universitario a un giovane o a un futuro studente universitario?
Difficile dare una risposta a questa domanda: i laboratori non sono tutti uguali e le ricerche nemmeno. La nostra è ricerca applicata: si parte da un problema reale, lo si studia e si sviluppano strategie e soluzioni per risolverlo e restituirlo razionalizzato al mondo esterno. In questo modo la ricerca diventa davvero utile.

Era questo il lavoro che voleva fare fin da piccola? Ricorda il momento esatto in cui si è accesa la scintilla per la ricerca?
In realtà no. Sono finita a occuparmi di “puzze” assolutamente per caso durante la tesi di laurea, ma ho trovato il mondo della ricerca davvero molto stimolante. Da quel momento mi sono appassionata e le ho dedicato una parte della vita. Sono felice di quello che faccio e lavoro con molta passione. Credo di essere stata molto fortunata, mi sono trovata nel momento giusto al posto giusto ma certamente ci ho messo testa e cuore per arrivare ai risultati di oggi.

Quali sono le prospettive future del suo laboratorio? A quali progetti state lavorando e che obiettivi vi ponete?
Siamo in continua crescita, c’è ancora tanta strada da fare e tantissimi temi che aspettano di essere approfonditi. Abbiamo moltissimi progetti molto diversi tra loro: dagli studi per l’industria petrolifera ad applicazioni nella medicina. Non renderei giustizia alla complessità e varietà elencandone solo alcuni. Diciamo che non ci annoiamo…

Lei è un ingegnere donna o dovrei dire ingegnera? Si parla molto di gender gap in tanti ambiti, anche in quello scientifico: lei avverte il peso di questo “gap”? E se sì, come?
Io mi sento semplicemente un’ingegnere (con l’apostrofo). Battute a parte, ho avuto la fortuna di trovarmi in un gruppo di ricerca che mi ha dato l’opportunità di crescere a prescindere dal sesso, ma purtroppo non è così ovunque. Il mio gruppo è composto per oltre la metà da donne e certamente valorizzare le competenze a prescindere dal sesso è nel mio DNA. Negli anni si imparano tante cose, comprese le libertà che ci si può prendere e le attenzioni che si devono avere nei rapporti interpersonali.

Per chiudere, che consiglio darebbe oggi alla sé stessa di 20 anni fa, quando stava concludendo il suo PhD?
Mi direi di credere in me stessa. La consapevolezza nelle proprie capacità cresce, ahimè, con l’età. Sono una persona caparbia che non si è mai arresa, ma non è stato sempre facile. Ho stretto i denti e a volte ho masticato amaro, ma oggi sono felice di quello che ho costruito e di come sono cresciuta facendo ciò che amo.

“Sono felice di quello che faccio e lavoro con molta passione. Credo di essere stata molto fortunata, mi sono trovata nel momento giusto al posto giusto ma certamente ci ho messo testa e cuore per arrivare ai risultati di oggi”

SELENA SIRONI
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