
In un mondo che corre sempre più veloce, la bicicletta può essere un mezzo non solo di trasporto green, ma anche per scoprire tesori nascosti su rotte inedite con calma, godendosi il paesaggio a un ritmo rilassato. E per tracciare quelle rotte, passando per strade e luoghi della provincia italiana solitamente trascurati, e per aprire il cammino a un turismo “slow” e consapevole, servono degli esperti: quelli di “E-scapes”, l’Osservatorio per lo studio e la valorizzazione dei territori attraversati dai percorsi lenti, promosso dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani – DAStU del Politecnico di Milano. L’obiettivo? Consolidare e promuovere una “Rete delle Vie Storiche e dei Borghi” che contribuisca allo sviluppo dei “territori di mezzo”, paesi e borghi sugli itinerari di collegamento tra grandi città, sfruttando infrastrutture già esistenti per un turismo che privilegi la mobilità sostenibile integrando percorsi ciclabili, a piedi e in treno.
Uno dei focus di ricerca di “E-scapes” sono, in particolare, i siti UNESCO italiani, sia i 60 annoverati tra i Patrimoni dell’Umanità che le 21 Riserve della biosfera e i 12 Geoparchi, passando dai beni inclusi nel Patrimonio immateriale (tradizioni culturali come le tecniche costruttive dei muretti a secco, oppure la dieta mediterranea) e altri come le Città Creative. La maggior parte dei percorsi analizzati e testati finora puntano a collegare tra loro questi, e altri beni di ambito più locale ma altrettanto meritevoli di segnalazione. Del progetto ci ha parlato Andrea Rolando, docente del DAStU, tra i fondatori dell’Osservatorio nel 2018 e attuale coordinatore.
Da dove è venuta l’ispirazione per l’Osservatorio “E-scapes”?
L’idea era di vedere come potevano essere valorizzati i territori attraversati dai percorsi lenti abbinando le infrastrutture tradizionali e veloci, come ferrovie e autostrade, a itinerari percorribili a piedi oppure in bicicletta. Negli ultimi anni, l’alta velocità ha progressivamente avvicinato le grandi città – dapprima Torino e Milano, e poi Bologna, Firenze, Roma… Questo ha, al tempo stesso, in un certo senso allontanato, annullato i territori intermedi. Quindi abbiamo cominciato a ragionare inizialmente sulle direttrici Milano-Torino, cercando di capire come effettivamente fosse possibile far convivere le diverse velocità. E così abbiamo iniziato a indagare il rapporto con l’autostrada, con le ferrovie locali, con l’alta velocità, integrando tuttavia non solo con le reti fisiche di comunicazione, ma anche con quelle digitali: da qui il termine “E-scapes”.


L’analisi dell’asse Milano-Torino è stato quindi il primo progetto affrontato?
Sì, in occasione di Expo 2015. L’argomento era “Nutrire il pianeta”, e noi pensavamo che i luoghi ideali per comprendere appieno il rapporto tra cibo e persone erano quelli da noi definiti i “padiglioni naturali” dell’Expo, come per esempio le risaie che abbondano tra Torino e Milano. Così, in collaborazione con il Padiglione Italia, abbiamo provato a percorrere tutte le vie d’acqua tra Torino e Milano, come il Canale Cavour che prende l’acqua dal Po e fu creato proprio per irrigare le risaie: ci sembrava il posto perfetto per mostrare la relazione tra cibo, paesaggio, acqua e mobilità lenta. Abbiamo dimostrato sul campo che è possibile viaggiare sulle alzaie dei canali, collegando così tra loro le due città: pedalando lungo il Canale Cavour, si passa vicinissimi all’autostrada senza subire il fastidio della vicinanza. Così abbiamo cominciato a sviluppare l’idea che le infrastrutture a velocità diverse possono essere compatibili tra loro. Allo stesso tempo, abbiamo posto l’attenzione su tutti i possibili nodi di interscambio che, tra l’altro e proprio grazie alla disponibilità di reti di comunicazione digitale, si stanno sempre più trasformando in nuovi luoghi di lavoro. Per esempio, attraversando la pianura, il Canale Cavour passa proprio tangente all’autostrada Torino-Milano, in corrispondenza di un’area di servizio. Ci siamo chiesti: perché queste aree non possono essere dei luoghi a servizio non solo dell’autostrada, ma anche per chi si muove in bicicletta? Inoltre questi territori sono anche attraversati da diversi cammini delle Vie Francigene, come quello che scende dal Gran San Bernardo fino a Vercelli, e poi prosegue verso Pavia e Piacenza; o quello che dalla Valle di Susa scende e attraverso il valico del Moncenisio e del Monginevro, poi confluisce a Vercelli; e poi ci sono altri percorsi lenti legati appunto alle vie d’acqua, come il Naviglio di Ivrea.
Da qui poi è nato il primo progetto associato ai siti UNESCO, il Grand Tour UNESCO del Piemonte?
È il progetto più articolato, partito nel 2020 grazie a una convenzione del Politecnico di Milano con la Regione Piemonte. È un percorso di 650 km che tocca tutti i siti Unesco piemontesi: non solo siti del patrimonio culturale (i Sacri Monti, le Residenze Sabaude, siti palafitticoli alpini, Langhe e Monferrato, Ivrea) ma anche riserve dell’uomo e della biosfera del Monviso, del Po Collina, del Ticino Gran Valle Verbano, e il patrimonio immateriale con le “Città creative” di Biella, Alba e Torino. È percorribile secondo la formula bici + treno: si può prendere il treno, scendere alla stazione di Vercelli e iniziare il percorso, arrivare fino ad Asti e poi tornare o a Torino o a Milano. Tutto l’anello di 650 km si può fare anche in tappe di 1-2 giornate, oppure come una vacanza di 7-10 giorni: 60 km al giorno sono fattibili anche per chi non è allenato, e si tratta di strade già esistenti, le cosiddette “strade bianche”, senza bisogno di infrastrutture nuove. Sul sito di Visit Piemonte della Regione Piemonte si trovano tutti gli itinerari e le descrizioni: questo è un bell’esempio di ricerca applicata, di mettere a terra i risultati e portarli a un livello di utilizzo comune. Su questo progetto abbiamo anche vinto il premio dell’Istituto Nazionale di Urbanistica sulle Città Accessibili nel 2024, e l’itinerario è stato pubblicato all’interno della collana “In bicicletta” di National Geographic e sul magazine “Destinations, Italy Unknown” che è molto diffuso anche all’estero.

C’è un progetto simile su Milano e il territorio intorno?
Lo scorso anno, abbiamo avuto incarico dalla Direzione Cultura di Regione Lombardia per applicare lo stesso modello sperimentato in Piemonte. L’anello che connette tra loro i siti UNESCO della Lombardia è lungo, sono 1.200 km e non è molto risaputo che è la regione che ha più siti UNESCO in assoluto in Italia. Dal Cenacolo di Leonardo da Vinci a Crespi d’Adda, il Sacro Monte di Varese, Mantova e Sabbioneta…. Oltre ai riconoscimenti delle Città Creative e del Patrimonio immateriale, anche qui ci sono riserve dell’uomo e della biosfera notevoli. Inoltre la Lombardia è l’unica regione che ha un sito UNESCO che è anche un bene del FAI, il monastero di Torba vicino a Varese. Così, in questo caso, abbiamo esteso un po’ gli elementi di interesse, anche se il focus dell’incarico sono i siti del patrimonio. Il nostro approccio è di mappare tutto quello che c’è di possibile interesse turistico: quindi i beni del FAI, ma anche il patrimonio dell’architettura contemporanea. Per esempio, i Premi Pritzker per l’architettura sono come i premi Nobel, eppure pochi forse sanno che a Milano ci sono almeno una dozzina di edifici realizzati da architetti che hanno ricevuto questo riconoscimento per il loro lavoro: la Fondazione Feltrinelli di Herzog & de Meuron, la Mondadori di Oscar Niemeyer, la Fondazione Prada di Rem Koolhaas, il negozio Apple di Norman Foster, gli edifici di Renzo Piano, e poi Zaha Hadid, City Life… Insomma, ci sono luoghi che secondo noi vanno integrati anche in un’offerta turistica perché qui non c’è solo il patrimonio antico, ma va fatta anche una lettura del territorio legata alla contemporaneità che, come Politecnico di Milano, ci sembra molto importante.


Qual è la vostra metodologia di approccio, come si svolge la ricerca? Partite mappando un territorio, e poi cercate di costruire un itinerario tra i luoghi di interesse?
È proprio questo il principio. Per esempio, per il Grand Tour UNESCO della Lombardia, al momento abbiamo completato circa 950 km di rete e siamo andati a fare fisicamente i sopralluoghi, perché è andando nei territori che ci accorgiamo di elementi magari non considerati a livello generale, ma che diventano rilevanti se osservati lungo percorsi che entrano nelle pieghe più nascoste del paesaggio, fuori da quelli più battuti – particolari piccoli, ma interessanti a fini turistici. Una chiusa lungo un canale, una veduta del Monte Rosa dalla ciclabile del Naviglio Grande, o un albero monumentale… Se ci sono degli elementi di sorpresa legati all’esperienza, li mappiamo e li aggiungiamo.
Quindi, partendo dalla teoria, andate punto per punto a verificare sul posto. È un lavoro molto lungo!
Effettivamente è molto dettagliato. Per questi 950 km ci sono volute una ventina di giornate di sopralluogo. E poi ci sono anche gli “errori” che spesso si tramutano in sorprese… Tracciamo tutti i percorsi con il GPS, li riportiamo sulla carta e vediamo effettivamente nel dettaglio dove siamo stati, dove ci sono degli errori e dove vale la pena fermarsi oppure no. Per esempio può accadere di deviare dalla traccia principale attratti dalle indicazioni, per raggiungere magari un monastero e, dopo averlo visitato, aggiungerlo alla nostra mappa invece di tirare diritto per il percorso prestabilito. Dovremmo finire a breve i sopralluoghi, entro la fine dell’anno restituiremo il materiale a Regione Lombardia e poi ci piacerebbe fare il passo ulteriore, come per il Piemonte, cioè mettere a disposizione di tutti queste informazioni, in modo che possano essere utilizzate a fini turistici.
Vi siete dedicati anche al resto d’Italia, con altre collaborazioni.
Sì, attraverso un’altra convenzione con il Parco dell’Alta Murgia abbiamo collegato tra loro 5 siti del patrimonio UNESCO tra Puglia e Basilicata: la Foresta Umbra, Monte Sant’Angelo, Castel del Monte, Alberobello e Matera. Siamo andati con persone esperte del territorio lungo questo percorso, che tra l’altro in buona parte passa per un’infrastruttura importante: l’acquedotto pugliese. Quindi anche qui abbiamo applicato il concetto di intermodalità, con infrastrutture lente che si possono raggiungere arrivando in treno, per poi usare la bicicletta. Siamo saliti sul treno di notte fino a Foggia, poi in bicicletta fino alla Foresta Umbra e da lì a Monte Sant’Angelo fino a Canne della Battaglia, dove c’è una piccola stazione ferroviaria, abbiamo preso il treno fino a Spinazzola per una trentina di chilometri. Abbiamo ripreso le biciclette fino a Castel del Monte, attraversato il Parco dell’Alta Murgia, poi di nuovo in treno fino a Gravina di Puglia. Il tutto proprio per favorire un turismo più lento e sostenibile, perché arrivare a Castel del Monte in automobile, per esempio, è complicato tra parcheggi intasati e code… Tra l’altro, stanno trasformando l’acquedotto in una ciclostrada che passa proprio sotto a Castel del Monte.


Poi in Sicilia, su incarico di un consorzio di Comuni, SoSviMa – Agenzia di Sviluppo locale delle Madonie, abbiamo realizzato un progetto analogo tra siti UNESCO. Siamo arrivati con un volo all’aeroporto Falcone e Borsellino e abbiamo preso il treno fino a Palermo, che è sito UNESCO. Poi da lì 10 km in bicicletta fino a Monreale ed è stata una vera esplorazione urbana, perché non è proprio una strada facile; abbiamo ripreso il treno a Cefalù per il Duomo, e ci siamo addentrati nelle Madonie interne che sono geoparco UNESCO. Anche questo itinerario è stato pubblicato sul magazine “Destinations, Italy Unknown”.
L’intento finale quindi è di valorizzare non solo le grandi città ma anche i territori circostanti, spesso poco conosciuti. Cercare di portare il turismo su rotte diverse che non siano le solite Venezia, Firenze, Roma…
Assolutamente. L’obiettivo vero è quello del riequilibrio territoriale, di fornire un’alternativa ai luoghi maggiormente frequentati e sovente soggetti a fenomeni di over-tourism. Vogliamo che i turisti vadano a vedere le meraviglie che ci sono dappertutto. Per questo siamo partiti dai siti Unesco, ma considerandoli soprattutto come origine e destinazione, puntando in realtà a mettere l’accento sullo spazio intermedio. Per noi dal punto di vista urbanistico e progettuale è cruciale: è importante lo spazio di attraversamento, non la destinazione e l’origine senza curarsi di ciò che sta lungo il percorso. Se riusciamo a dare valore a ciò che sta nel mezzo, rendiamo un gran servizio ai territori e togliamo pressione a quelli che sono sovraccarichi. È come il sistema dei vasi comunicanti: dobbiamo cercare di avere tanti vasi, così il livello del liquido è uguale per tutti. La rete ad alta velocità ha favorito tantissimo le grandi città, vorremmo bilanciare cercando di favorire invece l’utilizzo delle ferrovie locali che rendono accessibili quei territori “di mezzo”, e il turismo potrebbe, in questo senso, fungere da catalizzatore.
Le faccio un esempio: sul cammino di Oropa si trova l’omonimo Santuario con il Sacro Monte che è un bene UNESCO. La stazione ferroviaria di Santhià, sulla Torino-Milano, è diventato il punto di partenza per il cammino, accessibile a molti, che in tre giorni consente di arrivare al Santuario. Lo stanno facendo in tantissimi e ha avuto successo proprio perché ha in qualche modo favorito il territorio, anche nelle sue pieghe più nascoste. Bisogna fare in modo che le ferrovie locali, che innervano in modo capillare tutto il territorio, siano valorizzate nel modo migliore e che anche quelle secondarie siano mantenute attive.

Secondo lei il sistema ferroviario è pronto per questo? Il trasporto locale, come testimoniano i pendolari, è spesso in sofferenza…
Sì, a volte non funzionano bene, l’abbiamo sperimentato concretamente perché noi partiamo sempre da Milano e spesso è veramente un gioco di equilibrismi: bisogna sapere gli orari, sapere se il treno accetta la bicicletta, correre in stazione… C’è ancora da fare, però molto è già cambiato: prima non c’era veramente nessuno con le biciclette in treno, ora quasi tutti i regionali e interregionali sono dotati di vagoni appositi e anche gli Intercity, mentre l’alta velocità no – contrariamente ad altri Paesi europei.

L’esperienza acquisita in questi progetti, la sta trasmettendo ai suoi studenti?
Certo, quest’anno per la prima volta ho tenuto un corso, in inglese, di mappatura per il turismo, “Mapping Strategies and Design Solutions for Tourism”. È un corso opzionale sia per urbanistica che per architettura e paesaggio, ed è un po’ pioneristico. Si è tenuto nel secondo semestre con 48 iscritti, quasi tutti studenti stranieri.
Progetti futuri?
Vorremmo provare a replicare il modello in altre regioni, svilupparlo in maniera più standardizzata, visto che questo modello porterebbe vantaggi sia ai turisti che agli abitanti dei territori e che le caratteristiche in Italia si ripetono: le autostrade, le aree di servizio, le stazioni come luogo di interscambio, i percorsi lenti da fare in bici e a piedi…. In concreto, al momento stiamo lavorando a un attraversamento da Ravenna fino a Cerveteri, entrambi siti UNESCO – quindi dall’Adriatico al Tirreno, passando anche per altri siti UNESCO come le Ville Medicee, Firenze, la Val d’Orcia e altri. Per ora l’abbiamo mappato, e stiamo attivando rapporti con degli Enti che ci aiutino a svilupparlo.

Tutte le immagini a corredo dell’articolo sono state concesse da Andrea Rolando.