PoliMOVE vince a Las Vegas la gara per auto a guida autonoma

Team PoliMOVE

Nel 1909 i futuristi nel loro Manifesto esaltavano così la velocità dell’automobile, considerata l’innovazione paradigmatica del tempo, destinata a cambiare l’ambiente e la percezione della realtà da parte dell’uomo, che saldamente la pilotava:

Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.

Più di un secolo dopo, il 7 gennaio 2022, il team PoliMOVE del Politecnico di Milano ha vinto a Las Vegas la Indy Autonomous Challenge, la prima gara testa a testa tra automobili senza nessuna persona al volante, guidate solo dall’intelligenza artificiale.

La competizione si è svolta durante il Consumer Electronics Show (CES), la più grande fiera dell’elettronica al mondo, e ha coinvolto alcune tra le più importanti università. Le vetture, Dallara AV-21, erano le stesse per tutte le scuderie; il valore aggiunto è stato il lavoro di ogni singola università. Nell’ottica di rendere più “umano” uno sport che non ha umani alla guida, PoliMOVE ha dato un nome al pilota virtuale, lo hanno chiamato AS.CAR.I (AutonomouS.CAR.Intelligence), in onore di Alberto Ascari, ultimo pilota italiano di Formula1 ad aver vinto un titolo mondiale.

PoliMOVE si inserisce all’interno del gruppo di ricerca del Politecnico mOve, che si occupa da 20 anni di controlli automatici in veicoli terrestri di ogni tipo, dalle biciclette elettriche alle automobili, fino ai trattori. Il team lavora in stretta collaborazione con le più importanti aziende del settore dell’automotive.

mOve ha una specifica competenza sul controllo automatico della dinamica del veicolo e di tutti gli aspetti della guida autonoma strettamente legati ad essa.

Frontiere ha incontrato Andrea Ticozzi, Alberto Lucchini e Stefano Carnier, tre dottorandi in Ingegneria dell’Informazione del DEIB (Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria) che hanno preso parte alla gara che ha portato il Politecnico di Milano in vetta al mondo.

Andrea Ticozzi

Andrea Ticozzi

Ciao Andrea. Raccontaci come si è svolta la gara di Las Vegas che vi ha portato alla vittoria.

La corsa di Las Vegas era la seconda di questo campionato. Ce n’era stata una prima, a fine ottobre, a Indianapolis. Una delle prime del suo genere, in cui l’obiettivo era riuscire a fare dei giri veloci con le macchine a guida autonoma.

La gara del 7 gennaio era il passo successivo e aveva l’intento di iniziare a fare delle corse con due macchine alla volta in pista, per dar vita a una gara di sorpassi. Si è trattato quindi di un percorso a più fasi: ci sono stati inizialmente dei giri di qualifica per decidere il tabellone del torneo e poi la competizione di sorpassi, con una semifinale e la finale. Nelle qualifiche, che consistono in giro singolo del circuito, noi di PoliMOVE abbiamo ottenuto il miglior tempo rispetto alle altre cinque università qualificate per la finale.

Abbiamo vinto la semifinale contro l’Università coreana KAIST e poi la finale contro l’Università TUM di Monaco di Baviera. I tedeschi erano di fatto i campioni in carica perché avevano vinto la gara di Indianapolis, ma noi siamo riusciti a batterli.

Quali aspettative avevate? C’era l’idea di poter vincere?

C’era sicuramente la speranza di vincere. Abbiamo lavorato tanto ed eravamo convinti di aver lavorato bene, anche confrontandoci con gli altri team. Ad un certo punto ci siamo resi conto che quello che stavamo facendo stava funzionando. Poi c’è sempre un po’ di incertezza quando si ha a che fare con queste tecnologie. C’è sempre una discreta percentuale di possibilità che qualcosa vada storto, che un sensore si guasti, che un attuatore non faccia quello che deve. Per fortuna è andato tutto relativamente liscio e alla fine siamo stati premiati”.

Alberto Lucchini

Alberto, com’è nato il vostro team e da chi è composto?

Polimove è un sottogruppo del Move, il gruppo di ricerca guidato dal Professor Sergio Savaresi all’interno del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria.

Abbiamo fatto partire il progetto due anni fa, un po’ per gioco e un po’ per scommessa. Polimove è nato da una proposta arrivata da un nostro collega che collaborava con l’università americana che ha sviluppato il prototipo sul quale abbiamo gareggiato. Di questo gruppo facevano parte i dottorandi un po’ più esperti, quelli del secondo e terzo anno. Ciascuno di noi aveva una sua expertise precisa. E a questo insieme di sei dottorandi si sono poi aggiunti degli assegnisti di ricerca e degli studenti dell’ultimo anno. Nell’ultima fase della gara, quella nella quale abbiamo effettivamente lavorato sulla macchina, eravamo 12 persone, che sono anche quelle che sono andate negli Stati Uniti”.

Che difficolta avete trovato all’inizio del percorso di Polimove? Come le avete superate?

La macchina è stata consegnata a luglio del 2021. Il prototipo era stato realizzato dall’Università di Clemson in South Carolina, con l’assistenza di varie aziende che poi sono intervenute in questo progetto. Siamo partiti quasi da zero dal punto di vista software, era proprio necessario sviluppare i driver per far sì che i sensori comunicassero con il computer e che tutti gli attuatori che sono stati montati per realizzare la guida autonoma effettivamente non andassero in errore.

Nel corso dei quattro mesi prima della gara di Indianapolis c’è stato un cambio di passo, che ha richiesto fra l’altro la collaborazione dei vari team, che in una prima fase hanno lavorato tutti insieme per riuscire ad avere dei prototipi funzionanti. È stata anche un’occasione di collaborazione con l’Università di tutto il mondo: sei università americane, una coreana e tre Europee. La nostra giornata consisteva nel trovarsi con tutti gli altri ricercatori, all’interno di una grande officina dove lavoravamo tutti insieme per cercare di arrivare a un prototipo effettivamente funzionante. Nell’ultima parte, invece, il nostro lavoro è stato suddiviso, e c’era un dottorando responsabile per ogni area di sviluppo”.

Secondo te qual è stato un valore aggiunto della squadra del Politecnico di Milano rispetto agli altri team?

Noi abbiamo approcciato la gara in modo diverso rispetto alle altre università. L’abbiamo vissuta abbastanza seriamente, siamo andati in tanti negli Stati Uniti, tutti sufficientemente esperti sulle tematiche più importanti. Altri team, soprattutto quelli americani, l’hanno presa più come una possibilità di sperimentare, infatti le squadre erano composte prevalentemente da studenti.

In effetti le scuderie cha hanno ottenuto i risultati migliori sono state quelle europee, poiché erano composte da persone mediamente esperte. Sia a Indianapolis che a Las Vegas le prime posizioni sono state occupate infatti dall’Università di Modena e Reggio Emilia e da quella di Monaco. Effettivamente è un contesto in cui ci vuole esperienza, perché era tutto completamente nuovo; in pochi giorni cambiano completamente le prospettive e le possibilità”.

Stefano Carnier

Stefano, quali sono le sfide del futuro per il vostro team?

L’Indy Autonomous Challenge non è un vero campionato; l’organizzazione sta però cercando di programmare una serie di eventi, di difficoltà sempre crescente: ne hanno già pianificati due per il 2022.

C’è poi un’altra competizione a cui parteciperemo, Roborace, che sta partendo in questo periodo e che invece è un vero e proprio campionato. L’intento è quello di creare un vero torneo con 10 gare nel giro di un anno, a partire da settembre 2022”.

In un futuro un po’ più lontano, quale saranno le sfide per la guida autonoma?

Uno dei possibili sviluppi è quello di arrivare a organizzare delle gare contro il campione del mondo di Formula1, vedere a che punto è la tecnologia e se riesce a superare il miglior pilota al mondo. Successivamente si potrebbe arrivare a delle vere e proprie gare miste. Si potrebbe ipotizzare uno scenario in cui ogni scuderia mette in pista una macchina guidata da un pilota e una macchina a guida autonoma.

Altri sviluppi sono quelli in cui questo tipo di tecnologie andranno a supporto dei piloti. Potranno esserci delle gare puramente autonome, anche se questo tipo di corse vengono viste ancora con sospetto, perché hanno tutti l’idea che se si toglie il pilota dalla gara, si perde l’interesse del pubblico. Sarebbe, però, un driver dal punto di vista tecnologico.

Se nel mondo industriale si sta sviluppando la guida autonoma, una gara puramente outdoor magari non arriverà ad avere un grossissimo successo di pubblico, ma è importante per lo sviluppo di questo tipo di tecnologia.

Condividi