Il gender gap nella ricerca secondo Maria Laura Costantino

Nella nostra indagine di marzo sul gender gap, abbiamo visitato il LaBS, uno dei laboratori politecnici in cui è più equo il rapporto tra donne e uomini. Assieme alle 8 ricercatrici bioingegnere che abbiamo intervistato qui, la professoressa Maria Laura Costantino, responsabile del laboratorio, si è raccontata per noi di Frontiere in un confronto tra passato, presente e futuro.

Maria Laura Costantino

Cara Ricerca,

oggi abbiamo ospitato al LaBS la redazione di Frontiere, per realizzare un articolo su donne e STEM. Ho coinvolto le ricercatrici che oggi erano presenti in laboratorio, e abbiamo fatto insieme una chiacchierata molto stimolante, dove si sono intrecciati passione per la ricerca, vita privata e sogni per il futuro. Guardandole riunite attorno a quel tavolo mi sono sentita orgogliosa di loro, e mi sono ricordata di quanta strada è stata fatta da quando ero io al loro posto, e di quanta ce ne sia ancora da fare.

Come forse sai, mi sono iscritta a Ingegneria Meccanica al Politecnico nel 1976. All’epoca c’era ancora l’ordinamento unico, quindi erano cinque anni con ordinamento annuale, e gli iscritti a Ingegneria Meccanica seguivano i primi tre anni insieme agli iscritti a Ingegneria Civile. Nella mia sezione, di circa 350 studenti, eravamo solo 3 donne, di cui 2 iscritte a Ingegneria Civile.

All’inizio intendevo seguire l’indirizzo energetico. In realtà, arrivata al quarto anno, momento in cui si doveva scegliere l’indirizzo, alcuni dei miei colleghi di studio hanno proposto di scegliere bioingegneria, che all’epoca era una disciplina del tutto innovativa e poco conosciuta anche da noi studenti.

Eravamo un gruppo di quattro studenti. Ci siamo laureati nel 1982. I miei tre colleghi (maschi) hanno scelto di lavorare nei settori tipici dell’ingegneria, mentre io ho deciso di rimanere al Politecnico dedicandomi alla ricerca nel settore dell’Ingegneria Biomedica.

Il mio primo anno di lavoro è stato supportato da borse di studio. Tra le prime attività affidatemi dal mio Tutor, c’è stata la progettazione e l’organizzazione di un primo Laboratorio di Ricerca nel settore della Biomeccanica, che poi, una volta istituito il LaBS vi è confluito.

La mia attività di studio e di ricerca ha da sempre riguardato lo studio modellistico e sperimentale della fluidodinamica del sistema cardiovascolare, degli organi interni (cuore, polmone, rene, pancreas, ecc.), la progettazione e validazione e gestione di sistemi di supporto alla vita e la personalizzazione dei trattamenti clinici.

Questo è un campo di grande importanza, che tuttora mi appassiona, che unisce all’attività di ricerca nel campo dell’Ingegneria Biomedica un continuo confronto con la realtà ospedaliera attraverso la collaborazione con medici delle diverse specializzazioni e il contatto con i pazienti. Questo permette di sviluppare sistemi e soluzioni sempre più aderenti alle sempre mutevoli esigenze della medicina moderna.

Nel 1983, sono iniziati in Italia i Corsi di Dottorato di Ricerca in molte discipline scientifiche.  Io sono stata ammessa, con altri 6 colleghi di altre sedi Universitarie del Nord Italia, a quello in Bioingegneria. Di noi 7 ammessi, 2 eravamo donne.

Una volta conseguito il Titolo di Dottore di Ricerca ho continuato la mia carriera universitaria fino a diventare Professore Ordinario nel 2006. Le competenze maturate durante tutti gli anni di intensa attività scientifica, di ricerca applicata, e di interazione con il mondo clinico, hanno contribuito in maniera significativa alla istituzione, nel 2019, del Corso di Laurea Magistrale MEDTEC School, che ho l’onore di presiedere.

Tale corso istituito congiuntamente da Humanitas University e Politecnico di Milano, integra e potenzia le competenze della figura professionale del medico chirurgo con quelle tipiche dell’Ingegneria Biomedica e al termine del percorso formativo rilascia la Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia e la Laurea in Ingegneria Biomedica. È interessante notare come tra gli iscritti a MEDTEC (ormai oltre 200) il gender gap non esista, in quanto il numero di donne e uomini è sostanzialmente lo stesso.

Foto di gruppo al LaBS
Foto di gruppo al LaBS

Il mio è stato un lungo percorso pieno di soddisfazioni e riconoscimenti. Non vanno però dimenticate le difficoltà che ho incontrato specialmente all’inizio.

Mi riferisco in particolare al “gender gap” che ho sperimentato più volte. Come ti ho già detto, quando mi sono iscritta al Poli nel 1976 nella mia sezione ero l’unica studentessa in ingegneria meccanica.

Quindi, più che gender gap, all’epoca si trattava proprio di una voragine.

Mi ricordo al secondo anno un professore che mi chiese: “Ma lei perché fa ingegneria meccanica? Suo papà ha un’azienda?”. Era dato per scontato che all’epoca una donna ingegnere non avrebbe trovato lavoro in nessun luogo tranne che nell’azienda del babbo.

Dopo essermi laureata, e ancora adesso, mi capita di ricevere mail da qualcuno che mi apostrofa con un “Buongiorno signora”, oppure “Gentile signora Maria”. Sono indici linguistici di stereotipi ancora purtroppo molto radicati.

Ma nonostante questo, non mi sono mai lasciata abbattere, grazie anche a un carattere determinato e ottimista.

Questo approccio positivo alla vita, mi ha portato a sposarmi all’inizio del quinto anno di università (mi mancavano sette esami e la tesi) e a mettere al mondo un figlio durante il primo anno di frequenza al Dottorato.

Tieni conto che all’epoca la frequenza al Corso di Dottorato, non prevedeva alcun congedo di maternità (forse non era prevista la partecipazione femminile). Ciò ha comportato, come puoi facilmente immaginare, una serie di difficoltà che ho superato grazie alla mia giovane età (26 anni), alla mia determinazione, al supporto della mia famiglia e del mio Tutor.

A proposito della difficoltà di immaginare che una donna potesse svolgere una professione nelle discipline STEM, ti racconto cosa mi successe quando mi presentai in una nota clinica di Milano, per partorire. Al momento dell’accettazione, il medico mi chiese la mia professione. Alla mia risposta: “Ingegnere”, lui senza alzare lo sguardo mi apostrofò: “Le ho chiesto la sua professione, non quella di suo marito!”. Lascio a te ogni commento.

Non sto a raccontarti altre situazioni poco gradevoli vissute in occasione di alcuni colloqui di lavoro che avevo fatto in attesa dei risultati dell’ammissione al Dottorato.

Ma tornando a oggi, mi chiedo se la situazione sia migliorata per una ricercatrice donna. Per fortuna sì, molto. Devo tuttavia ammettere che tuttora esiste qualche disparità. Più che “gender gap” vorrei proprio definirla disparità di genere, che deve essere assolutamente sanata, sebbene sia mitigata rispetto a quanto potesse essere una volta.

Maria Laura Costantino
Maria Laura Costantino nel suo ufficio

Nonostante tutto, alla fine incontri sempre moltissime persone che sono delle persone intelligenti, corrette e consapevoli, a cui non importa che tu sia donna, uomo o altro. L’importante è come sei come persona, indipendentemente dal tuo genere.

A una donna che mi chiedesse un consiglio circa la sua intenzione di intraprendere un percorso STEM, consiglierei senza alcun dubbio di farlo, perché è molto bello e gratificante. Dà soddisfazioni immense, anche se a volte accompagnate da delusioni cocenti, che però non devono abbattere.

A Ingegneria Biomedica la situazione è sicuramente più equilibrata, perché la presenza femminile è da tempo più numerosa che in altri Corsi di Ingegneria.

C’è comunque qualcosa che ancora mi disturba. Alcune studentesse, mi dicono che hanno scelto Ingegneria Biomedica perché ritengono sia un’ingegneria “più facile e addomesticata”.

Trovo questa posizione del tutto sbagliata. Sono tuttavia cosciente che ciò possa anche dipendere dall’incapacità di cogliere la complessità dell’applicazione dei metodi ingegneristici a sistemi che coinvolgono intimamente la salute e il benessere di chi ne usufruisce.

Il compito dell’Ingegnere Biomedico, uomo o donna che sia, è capire a fondo quali siano le necessità e i problemi da affrontare (espressi dalla componente medica) per poi progettare le soluzioni e i sistemi più adeguati alla loro risoluzione. Quindi un approccio tipicamente ingegneristico, integrato dalla consapevolezza della finalità terapeutica della propria attività.

Quando penso al LaBS, ritengo una grandissima ricchezza la presenza attiva di tante ricercatrici.

Le donne attive nelle professioni STEM, e in particolare quelle attive nell’Ingegneria hanno, ovviamente, le stesse competenze e le stesse capacità dei loro colleghi di diverso genere, ma con una visione diversa.

È questa la ricchezza dei gruppi di lavoro aperti a tutte le componenti. In questo modo si affrontano le sfide professionali da diversi punti di vista, cogliendone al meglio la complessità e individuando le soluzioni migliori, attraverso la discussione e il confronto.

Sulla base della mia ormai lunga attività professionale, durante la quale ho incontrato centinaia di studenti e studentesse (in numero sempre crescente) e ho visto, e anche contribuito, all’evoluzione della presenza femminile nelle discipline STEM, posso affermare che per eliminare del tutto il “gender gap” sia ancora necessario, oltre alla ovvia e completa eliminazione degli ostacoli del tutto strumentali e a volte corporativi posti ancora oggi alla partecipazione delle donne, continuare a valorizzare in tutti gli ambiti le differenze di genere.

Questa è, d’altra parte, la vera essenza della ricerca scientifica applicata alla soluzione dei problemi, cioè dell’Ingegneria.

Cara Ricerca, ci rivediamo in laboratorio per continuare insieme il nostro viaggio, che sarà ancora lungo.

Tua,

Maria Laura Costantino

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