Quanta casualità c’è nell’improvvisazione jazz? Ce lo racconta il fisico Lewenstein

Dall’ottica quantistica ai gas ultrafreddi, fino all’informazione quantistica: la carriera di Maciej Lewenstein è un viaggio attraverso i territori più affascinanti della fisica teorica. Nato a Varsavia nel 1955, ha iniziato il suo percorso con una passione per la fisica matematica, per poi essere spinto verso l’ottica quantistica da un’imprevedibile decisione accademica.

Da allora, ha collaborato con alcune delle figure più influenti del settore, tra cui premi Nobel come Anne L’Huillier, Roy Glauber, Eric Cornell, e ha contribuito allo sviluppo di modelli fondamentali nella generazione di armoniche di ordine elevato e nei simulatori quantistici.

La sua ricerca è caratterizzata da un approccio multidisciplinare e da una curiosità inesauribile, che lo hanno portato in giro per il mondo, dal Colorado a Parigi, a esplorare anche connessioni inaspettate tra fisica e musica, fino a studiare la casualità nell’improvvisazione jazz.

Oggi, alla guida di un prestigioso gruppo di ricerca presso l’ICFO, l’Istituto delle Scienze Fotoniche a Castelldefels, vicino a Barcellona, continua a spingersi oltre i confini della conoscenza, con un occhio critico sulle potenzialità dei computer quantistici e un forte impegno per la formazione delle nuove generazioni di fisici.

Lo abbiamo incontrato al Dipartimento di Fisica del Politecnico di Milano e con lui abbiamo ripercorso le tappe fondamentali della sua carriera, dalle prime esperienze in Polonia e Germania fino ai progetti più recenti, per capire cosa significhi davvero fare ricerca ai massimi livelli e quali sfide attendono il futuro della fisica quantistica.

La sua ricerca spazia in diversi campi, cosa l’ha inizialmente attratta alla fisica teorica e come si è evoluto nel tempo il suo ambito di ricerca?

Quando ero studente a Varsavia, in Polonia, il mio principale interesse era in realtà la fisica matematica, perché nel dipartimento di fisica di Varsavia c’era una sorta di snobismo poco sano: tutti i migliori studenti volevano studiare fisica matematica, teoria quantistica dei campi e cose del genere.

Ma quando stavo per laurearmi, il Preside del dipartimento disse che non era possibile che tutti gli studenti migliori si dedicassero alla fisica matematica e dichiarò che non avrebbero più consentito a nessuno di specializzarsi in fisica matematica.

Non mi fu possibile quindi proseguire con un master in quell’ambito e così decisi di unirmi, insieme al mio amico più stretto (che ora è anch’egli professore di fisica teorica a Varsavia), alla cattedra di teoria quantistica dei campi o qualcosa di simile. Lì ci dissero che avremmo dovuto occuparci di ottica quantistica. Io risposi: “Ma vogliamo studiare la teoria quantistica dei campi!”. E loro ci dissero: “L’ottica quantistica è una teoria quantistica dei campi applicata”. Ed è così che iniziai con l’ottica quantistica.

Con che figure di spicco della fisica ha collaborato?

Feci il mio master con Kazik Rzążewski, una figura molto importante nell’ottica quantistica. Il mio amico invece studiò con Krzysztof Wódkiewicz (già scomparso), anch’egli una figura di spicco nella fisica quantistica.
Nel 1981 ottenni una borsa di studio di sei mesi dall’Deutsche Akademische Austausch Dienst (DAAD). Inizialmente mi trovavo in Germania e andai a Essen, dove incontrai colui che sarebbe poi diventato il mio supervisore. Avevo iniziato sotto la guida di Rzążewski in Polonia, ma poi mi trasferii a Essen e terminai il mio dottorato lì con Fritz Haake.

Come mai non tornò in Polonia?

In Polonia, nel frattempo, erano scoppiati gli scioperi di Solidarność e fu imposto lo stato di emergenza. Avevo paura di tornare perché sarei stato arruolato nell’esercito per due anni. Quindi rimasi in Germania fino alla fine della mia tesi, che completai nel 1983. Tornai in Polonia all’inizio del 1984.

Quando stavo finendo il mio percorso, il mio supervisore, Fritz Haake, mi disse qualcosa di molto significativo: “Maciej, l’ottica quantistica non è un campo separato della fisica teorica. Devi studiare di più. Studiare la fisica statistica, la materia condensata e così via”.

Cosa ha imparato da questo professore?

In un certo senso, fu lui a plasmare il mio modo di pensare. Mi insegnò che la cosa migliore non è sapere tutto di una sola cosa, ma piuttosto sapere qualcosa di tutto. E ancora meglio sarebbe sapere tutto di tutto!
Il suo insegnamento più importante direi che fu questa visione aperta e multidisciplinare, non rimanere confinato in un solo campo, ma esplorare, imparare cose nuove e divertirsi a farlo. Se mi annoiavo con un argomento, potevo sempre passare a un altro.

Nel 1986, a soli 30 anni, ottenne una cattedra in Polonia.

Sì all’epoca il mio lavoro era ancora concentrato soprattutto sull’ottica quantistica, ma già iniziavo a interessarmi alla fisica statistica, ai vetri di spin e alle reti neurali. Negli anni ‘80, le reti neurali erano già un argomento di grande interesse. Tutti dicevano che avrebbero rivoluzionato tutto, solo che all’epoca non c’erano ancora abbastanza computer potenti per dimostrarlo.

Alla fine del 1986 ricevetti un’offerta da Roy Glauber, il premio Nobel per la fisica nel 2005, considerato l’inventore dell’ottica quantistica moderna e della descrizione della coerenza quantistica della luce. Andai quindi ad Harvard verso la fine del 1986 e il mio lavoro era ancora incentrato sull’ottica quantistica, ma con una novità: iniziai a collaborare intensamente con gli sperimentali. In particolare con Tom Mossberg, un fisico che all’epoca era ad Harvard, ma poi si trasferì in Oregon.

Maciej Lewenstein con Roy Glauber
Maciej Lewenstein con Roy Glauber

Negli anni ‘80 cominciai anche a occuparmi di laser ad alta intensità e ultra-veloci, un campo che stava nascendo in quel periodo; scrissi alcuni articoli su questo tema.

Un’altra cosa importante è che iniziai a lavorare anche nel campo della modellizzazione dei processi cognitivi. Mi interessavano le reti neurali, quindi cercai un collaboratore in Polonia e trovai un sociologo-psicologo senza una formazione matematica o fisica formale, ma molto abile nelle simulazioni al computer.
Insieme scrivemmo diversi articoli sui modelli di diffusione dell’opinione pubblica nelle società, basati su concetti come l’influenza di alcune persone rispetto ad altre. Probabilmente, avevamo già previsto l’ascesa di Donald Trump all’epoca, ma purtroppo non ci prestarono attenzione!

Nel 1992 andai a lavorare per sei mesi a Parigi, al laboratorio di Saclay, un polo scientifico e tecnologico dove lavorava anche Anne L’Huiller. Quello è stato il momento in cui ho iniziato a lavorare sull’intensità di queste armoniche, che sono alla base di tutta la fisica del segmento SATO, apprezzata da persone in questo dipartimento, come Mauro Nisoli e Caterina Vozzi.

È in quel periodo che ho scritto quello che considero il mio articolo più influente, che credo abbia ricevuto circa 5000 citazioni. Tratta della teoria della generazione di armoniche di ordine elevato nei campi laser a bassa frequenza. Questo concetto, in realtà, era già stato introdotto in precedenza da Paul Kirkham e Ken Kulander.

Da sinistra: Claes-Göran Wahlström (professore di LUND); Mette Gaarde (Louisiana State University – USA);
Philippe Balcou (CEA; Centre Lasers Intenses et Applications, France); Pascal Salieres (CEA);
Maciej Lewenstein; Anne L’Huillier (Premio Nobel in Fisica 2023); Kenneth Schafer (Louisiana State University)

Riesce a spiegarcelo in parole semplici?

L’idea è che un impulso laser colpisce un elettrone e lo espelle dalla zona vicina al nucleo attraverso il cosiddetto processo di tunneling. L’elettrone attraversa la barriera creata dall’attrazione coulombiana del nucleo e dal laser stesso, viene espulso all’esterno, ma può ancora essere accelerato nel campo laser. Poi ritorna verso il nucleo, o lo ione, e in questo processo rilascia fotoni di alta armonica.

Questo è esattamente il meccanismo per cui Anne L’Huillier, Pierre Agostini e Ferenc Krausz hanno ricevuto il Premio Nobel per la Fisica nel 2023.

Poi, a un certo punto, credo nel ‘93, mi sono trasferito aL JILA, il Joint Institute for Laboratory Astrophysics a Boulder, in Colorado.

Lì lavorava Peter Zoller, un celebre teorico dell’ottica quantistica e di discipline affini. Appena arrivato, mi dissero che avrei dovuto organizzare il seminario sulla condensazione di Bose-Einstein. Così, per un anno, ho gestito questo seminario con sperimentali e teorici.

Tra gli sperimentali c’erano Eric Cornell e Carl Wieman, entrambi vincitori del Nobel nel 2001, e anche John Hall, che ha ricevuto il Nobel nel 2005, nello stesso anno di Roy Glauber, per i suoi studi sulla spettroscopia laser e la metrologia delle frequenze.

Era un ambiente straordinario, ed è lì che ho iniziato a occuparmi di gas atomici ultrafreddi e di sistemi a molti corpi. Così il mio interesse per l’argomento è cresciuto sempre di più.

Ora è a capo del gruppo di ricerca sulla teoria dell’ottica quantistica presso l’ICFO. Qual è il focus della sua ricerca e chi lavora con lei?

Beh, un po’ di tutto, davvero. È un gruppo piuttosto grande, e finora ho avuto molta fortuna nell’ottenere finanziamenti. Ho ricevuto tre sovvenzioni dal Consiglio Europeo della Ricerca (ERC). Questi fondi sono molto prestigiosi e altamente competitivi. Ho ottenuto tre “Advanced Grants”, destinati ai ricercatori senior come me. Si tratta di finanziamenti di due milioni e mezzo per cinque anni, quindi il nostro lavoro è abbastanza stabile e ben finanziato. Il mio gruppo oscilla tra le 20 e le 30 persone.

Ha anche giovani ricercatrici nel suo gruppo?

Sì, certo. Abbiamo una politica attiva per cercare di attrarre più donne nella ricerca. Penso che attualmente circa un quarto o un terzo del mio team sia composto da donne, il che, per la fisica, è un buon risultato.

Avere un team numeroso ci permette di lavorare su molti progetti contemporaneamente. Abbiamo progetti di ottica quantistica, ma in generale lavoriamo su gas ultrafreddi, informazione quantistica e simulatori quantistici, in particolare sistemi che possono riprodurre fenomeni interessanti della fisica della materia condensata o dell’alta energia. Utilizziamo atomi e ioni, ovvero sistemi che possiamo controllare nella fisica a basse energie.

Maciej Lewenstein con il suo gruppo all'ICFO
Maciej Lewenstein con il suo gruppo all’ICFO

Quando è nato il suo interesse per l’informazione quantistica?

Durante il mio periodo a JILA, il Joint Institute for Laboratory Astrophysics in Colorado, quando Peter Zoller ha iniziato a interessarsi all’argomento. Ho assistito alla nascita di un famoso articolo sui gate logici quantistici con ioni, scritto da Cirac e Zoller tra il 1993 e il 1994 che è alla base dei moderni computer quantistici.

Io, invece, ho scritto uno dei primi articoli sul “perceptron” quantistico, che parlava di reti neurali quantistiche e apprendimento automatico quantistico. All’epoca, però, nessuno si interessava a questi argomenti; quindi, il mio lavoro è rimasto in ombra. Solo di recente ha iniziato a ricevere qualche citazione, dato che è uno dei primi studi del genere.

Da allora, mi occupo di informazione quantistica sia dal punto di vista teorico, studiando la matematica delle correlazioni quantistiche, sia da un punto di vista più applicativo, lavorando sui simulatori quantistici.

Cosa ne pensa dei computer quantistici?

Non sono contrario ai computer quantistici, ma ho molte riserve. Sono ottimi come simulatori, ma sulla loro effettiva utilità nel risolvere problemi pratici in modo vantaggioso rispetto ai computer classici, ho i miei dubbi.

Ha collaborato con alcuni dei fisici più importanti al mondo fra cui tanti premi Nobel, può raccontarci un momento particolarmente significativo di queste collaborazioni?

Quando sono arrivato a Saclay, nessuno capiva veramente il modello a tre fasi per la generazione di armoniche elevate, ovvero il meccanismo per cui un elettrone viene estratto per tunneling, accelerato dal campo laser e poi riassorbito dal nucleo con emissione di fotoni di alta armonica.

All’inizio del 1993, durante una conferenza in Belgio, Paul Corkum e Ken Kulander presentarono per la prima volta il modello classico per spiegare questo processo.

Fu un momento di svolta. Subito dopo, capimmo che potevamo descrivere lo stesso fenomeno in un modo completamente quantistico, utilizzando il linguaggio degli integrali di cammino di Feynman e della teoria quantistica dei campi. Scrivemmo rapidamente il nostro primo articolo su questo argomento, e fu un lavoro fortemente influenzato dalla conferenza in Belgio.

Un dettaglio divertente di quella conferenza è che ci fu un’alluvione nella zona; quindi, non si poteva bere acqua del rubinetto perché era contaminata. Così, in hotel, ci dissero che potevamo bere qualsiasi altra cosa disponibile. Ovviamente, tutti scelsero la birra! Che, per fortuna, in Belgio non manca. Fu una conferenza molto “brillante”.

La meccanica quantistica è spesso vista come un campo complesso e astratto. Qual è un concetto della sua ricerca che potrebbe affascinare o sorprendere il pubblico?

Beh, chiaramente l’aspetto probabilmente più sorprendente della meccanica quantistica è quello che viene chiamato la “non-località”. Questa non-località è una proprietà che cercherò di spiegare, anche se non è così facile. È stata dimostrata sperimentalmente, ed è ciò per cui è stato assegnato il Premio Nobel 2022 ad Alain Aspect, Anton Zeilinger e John Clauser.

L’idea è la seguente ed è legata a questo concetto di correlazioni quantistiche molto forti, chiamate “entanglement”. Ma la non-località è qualcosa di più forte, in un certo senso.

Immaginiamo che ci siano Alice e Bob. Ora userò un esempio completamente classico: tu sei Alice e io sono Bob. Supponiamo di avere due palline, una bianca e una nera. Le mettiamo in due sacchetti in modo casuale, senza sapere quale sia in quale sacchetto. Tu prendi un sacchetto e io prendo l’altro, poi io vado sulla Luna, perché Elon Musk paga per il mio viaggio [!]. Quando apri il tuo sacchetto e trovi la pallina bianca, sai immediatamente che io ho quella nera. Se invece trovi la nera, sai che io ho la bianca. Questa è una correlazione classica, niente di sorprendente.

Il problema con la meccanica quantistica è che i colori non sono definiti fino a quando non vengono misurati. Se le due palline sono in uno stato entangled e anti-correlato, il punto è che se Alice misura bianco, può essere sicura che Bob misurerà nero. Ma se misura grigio al 30%, allora Bob misurerà grigio al 70%, in modo complementare.

Einstein sosteneva che dovesse esserci un “elemento di realtà locale” per ogni proprietà di una particella. Ma nella meccanica quantistica, dobbiamo accettare che il colore sia definito solo al momento della misurazione. Questo è paradossale perché implica una correlazione istantanea tra le particelle, anche a distanze enormi. Tuttavia, non si può trasmettere informazione più velocemente della luce, perché tutto è governato dalla casualità.

È uno degli aspetti più sorprendenti della meccanica quantistica. Alcuni cercano interpretazioni alternative, come la teoria dei molti mondi, ma io preferisco accettare la meccanica quantistica così com’è: un potente strumento di calcolo.

Da sx: Kenneth Schafer (Louisiana State University); Pierre Agostini (Premio Nobel in Fisica 2023)
Alain Aspect (Premio Nobel in Fisica 2022); Maciej Lewenstein; Pascal Salieres (CEA)
Da sx: Kenneth Schafer (Louisiana State University); Pierre Agostini (Premio Nobel in Fisica 2023)
Alain Aspect (Premio Nobel in Fisica 2022); Maciej Lewenstein; Pascal Salieres (CEA)

Lei è un grande appassionato di jazz: si racconta che abbia almeno 9000 vinili. Quali connessioni vede fra il jazz e la fisica?

Sì, negli ultimi anni mi sono interessato soprattutto al jazz d’avanguardia e all’improvvisazione libera. In Italia, alcuni dei musicisti più importanti in questo ambito sono Andrea Centazzo, un batterista che lavora spesso negli Stati Uniti, e Walter Prati, professore al Conservatorio di Como, che suona anche musica improvvisata. Anche Ennio Morricone è stato un pioniere della musica d’improvvisazione e d’avanguardia.

Nell’improvvisazione libera non ci sono regole fisse, il che la rende interessante dal punto di vista fisico e matematico. Se suoni da solo, segui solo il tuo istinto. Ma se suoni con qualcun altro, cerchi di comunicare con lui, creando una sorta di “entanglement” musicale. Mi sono sempre chiesto quanto sia realmente imprevedibile l’improvvisazione libera. Per esempio, possiamo prevedere la musica di Beethoven o persino il jazz di John Coltrane con modelli statistici o intelligenza artificiale. Ma quanto è prevedibile l’improvvisazione libera?

Ho provato a ottenere un finanziamento da una fondazione americana per studiare la casualità nella musica improvvisata, utilizzando generatori di numeri casuali quantistici per confrontare il livello di casualità nella musica. Non ho ricevuto i fondi, ma con altri finanziamenti ho assunto all’ICFO una compositrice, Reiko Yamada che è ancora con noi per seguire un programma chiamato “Sonification of quantum mechanics”. Abbiamo trasformato dati quantistici in numeri, e questi in suoni, e cercato di capire se possiamo “ascoltare” gli effetti quantistici nella musica. Abbiamo fatto anche concerti a un festival nel 2021 e registrato un disco; ora abbiamo due studenti di master e un PhD che sono sia fisici che musicisti che ci stanno lavorando.

Secondo me la musica contemporanea, per esempio John Cage, non è prevedibile, anche se nessuno lo ha misurato.

Ha lavorato in diversi paesi e istituzioni di ricerca. Quali sono i vantaggi di un approccio internazionale alla scienza?

Si impara molto, non solo le lingue (parlo italiano, inglese, francese, spagnolo catalano, tedesco, russo e polacco), ma anche culture diverse. Questo ti rende più flessibile, adattabile e capace di risolvere problemi in modi nuovi.

Credo sia essenziale che i giovani ricercatori non rimangano sempre nello stesso posto, ma viaggino e lavorino in ambienti diversi. Certo, può essere difficile per la vita familiare, ma è un’esperienza inestimabile per la crescita personale e professionale.

Molti studenti trovano la fisica quantistica affascinante, ma spesso ne sono spaventati. Che consiglio darebbe a chi vuole intraprendere una carriera nella fisica teorica?

È vero che studiare fisica è difficile, ma è fondamentale l’atteggiamento giusto. Se ti piace davvero, ce la farai.

Quando scegli un supervisore per la tesi o il dottorato, è importante valutare anche l’aspetto umano. Devi chiederti: è una persona con cui posso lavorare bene per i prossimi anni? Anche il gruppo di ricerca e l’ambiente contano molto, bisogna creare una buona chimica.

E poi, bisogna divertirsi! Studiare fisica dovrebbe essere una passione, non una punizione.

Se potesse conversare con un fisico del passato, chi sceglierebbe e perché?

La risposta ovvia sarebbe Einstein, per capire meglio perché non accettasse la meccanica quantistica. Ma forse sceglierei Aristotele, come in un’avventura di Indiana Jones!

Che attività sta conducendo qui al Politecnico di Milano?

Sono in anno sabbatico. Normalmente lavoro in Catalogna, ma sto concludendo il mio incarico lì e ho deciso di rallentare un po’ e collaborare con nuovi gruppi di ricerca.

Lavoro due giorni alla settimana al Politecnico con Mauro Nisoli e Caterina Vozzi del Dipartimento di Fisica. Dopo marzo andrò a Cracovia per un po’. Sto cercando di avviare nuove collaborazioni con gruppi di ricerca qui.

Su cosa sta lavorando attualmente?

Sto esplorando la connessione tra la meccanica quantistica e l’elettrodinamica quantistica, un’area poco studiata finora. La luce, nei normali esperimenti, è descritta bene dalla fisica classica, ma in certe condizioni emergono effetti quantistici.

Le applicazioni potrebbero riguardare la crittografia quantistica, la metrologia o nuovi tipi di spettroscopia quantistica. L’idea è che la luce quantistica potrebbe rivelare più informazioni sui materiali rispetto ai metodi classici. È una ricerca molto nuova, quindi vedremo dove porterà!

Si diverte ancora a fare ricerca?

Assolutamente sì! Se non mi divertissi più, smetterei.

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