
Mancavano pochi giorni alla Giornata mondiale dell’acqua, quando all’interno della redazione è nata quasi spontanea l’idea di dedicare a questo tema un numero monografico di Frontiere. Inutile dire che qui al Politecnico, di ricerca su questo argomento di certo non ne manca. Uno dei filoni che subito mi è venuto in mente è quello dell’ingegneria per l’ambiente e il territorio. Ma cosa scegliere? Ho cercato di seguire il filo dei grandi temi che occupano oggi il discorso pubblico: cambiamento climatico, sostenibilità, rapporto con il territorio e sua tutela.
È così che ho scoperto MAURICE, progetto di ricerca che racchiude in sé questo e tanto altro.
Il punto di partenza, come leggo nel primo abstract, è ancora una volta quello del cambiamento climatico, con cui purtroppo abbiamo sempre più a che fare. Come impatta sulla gestione attuale delle acque? Sono ancora sufficienti i vecchi modelli? Quali possono essere le nuove strategie di gestione delle acque per aumentare la resilienza del nostro territorio?
A cercare di rispondere a queste domande e a raccontarmi il progetto su cui stanno lavorando sono Luca Alberti e Paolo Colombo del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale. Luca Alberti è il referente del progetto per il Politecnico. Professore associato di modellazione applicata delle acque sotterranee e dei fiumi, la sua carriera è tutta politecnica, consacrata all’idrogeologia. Paolo Colombo, invece, è al suo terzo anno di dottorato di ricerca, dedicato proprio ai temi investigati da MAURICE.
Mi accolgono nelle sale della Collezione Petrografica, un affascinante museo delle rocce incastonato all’interno del nostro campus Leonardo, di cui ignoravo l’esistenza, ma che mi lascia a bocca aperta. Mi sono già ripromesso di raccontarvelo in un prossimo appuntamento della rubrica “I luoghi della ricerca”.

Luca, partiamo da te. Mi puoi fare una panoramica del progetto?
Il progetto MAURICE si inserisce nella cornice di Interreg Central Europe, il programma di cooperazione territoriale europea tra regioni dell’Europa centrale su sfide comuni e sviluppo sostenibile.
È proprio nell’Europa centrale che i cambiamenti climatici in corso stanno mettendo a rischio la disponibilità delle risorse idriche. È per questo che MAURICE raccoglie i partner di progetto tra Italia, Polonia, Germania, Repubblica Ceca, Slovenia, Croazia. Oggi, in queste regioni, si rende necessario aumentare la resilienza agli eventi meteorologici estremi come siccità e inondazioni, nonché alla potenziale riduzione delle risorse idriche sotterranee.
Guardando specificamente all’Italia, qual è l’ambito su cui voi state lavorando?
Nella pianura padana, sia il calo dei livelli delle acque di falda nel lungo periodo che la quantità eccessiva di acqua nel breve periodo rappresentano gravi rischi da affrontare con adeguate pratiche di gestione idrica.
L’obiettivo specifico dei partner italiani, cioè noi del Politecnico con il Consorzio di Bonifica Est Ticino Villoresi, è definire e testare sul campo misure di adattamento per aumentare la resilienza agli effetti del cambiamento climatico per la futura disponibilità di acqua, in particolare quella sotterranea.
Questa è solo un’introduzione generale, ma lascio con piacere la parola a Paolo, che ti racconterà tutti dettagli della ricerca, anche sul campo.
Grazie mille, Luca. Paolo, quanto è importante la falda nel sistema idrogeologico della Lombardia? Iniziamo con un po’ di storia?
Le pratiche di irrigazione a sommersione e a scorrimento sono molto importanti per il nostro territorio, applicate da secoli in Pianura Padana, e permettono una considerevole infiltrazione di acqua verso gli acquiferi sotterranei, attivando un processo di ricarica delle falde.
Questo processo, però, è peculiare e ciclico: nelle aree irrigue la penetrazione di acqua determina un innalzamento della falda in estate e una decrescita in inverno.
E qui arriva l’idea del progetto MAURICE…
L’idea del progetto è proprio quella di sfruttare una dinamica che va avanti in Lombardia da secoli, utilizzandola come nuova possibilità di gestione rispetto a siccità e cambiamenti climatici.
Vogliamo arricchire la falda sfruttando la rete di irrigazione in periodi in cui non si irriga, ovvero quelli autunnali e invernali, quando l’abbondanza di precipitazioni permette una maggiore disponibilità idrica nei laghi prealpini.





Come funziona concretamente?
Facendo infiltrare l’acqua in falda, alziamo il livello incrementando il volume immagazzinato, che può essere usato nelle stagioni successive, replicando quello che avviene in primavera/estate.
In questo modo, creiamo un serbatoio aggiuntivo che è naturale, e che quindi non necessita della costruzione di nuove infrastrutture, poiché i canali e gli acquiferi (ovvero le falde sotterranee) sono già presenti. Abbiamo così realizzato un vantaggio sia dal punto di vista ambientale che economico.
Questa pratica comporta anche benefici indiretti sull’efficienza di trasporto dei canali e sulla lavorazione dei campi, oltre a fornire uno strumento di gestione aggiuntivo per attenuare possibili piene fluviali.
La componente della ricerca sul campo è particolarmente forte in una ricerca di questo genere. Dove svolgete le vostre attività?
L’area pilota comprende circa 30 ettari di campi a ovest di Milano, tra i comuni di Sedriano, Bareggio e Cusago, selezionati dal Consorzio di Bonifica Est Ticino Villoresi insieme al Politecnico di Milano, in collaborazione con i coltivatori del consorzio. La collaborazione di questi ultimi è fondamentale perché sono loro che irrigano i campi, e ci hanno dato grande disponibilità.
In questa zona l’acqua arriva dal Ticino attraverso il canale Villoresi, che successivamente raggiunge l’Adda restituendo l’acqua non utilizzata dagli agricoltori. Abbiamo individuato due aree di indagine con caratteristiche differenti: una presenta fontanili, mentre l’altra no.
I fontanili sono una presenza tipica del paesaggio rurale lombardo. Puoi spiegare cosa sono a un pubblico più allargato?
Le risorgive sono punti della Pianura Padana dove l’acqua della falda affiora spontaneamente in superficie. Tuttavia, fin dal XVI secolo gli agricoltori hanno iniziato ad approfondire mediante scavi il punto di emersione dell’acqua per incrementarne la portata e canalizzare l’acqua dando luogo a quelli che oggi chiamiamo fontanili, che pur essendo di origine antropica sono ormai completamente integrati nel paesaggio. .
Nella nostra ricerca è importante valutare l’interazione con i fontanili perché sottraggono acqua dalla falda aumentando la propria portata; quindi, l’accumulo di acqua vicino al fontanile è minore. Allo stesso tempo, però, l’incremento di portata permette il sostentamento e la proliferazione degli ecosistemi di queste aree umide.
Qual è lo stato attuale della falda lombarda?
La falda di Milano è alta; anche la siccità nel 2022 non ha portato a una crisi consistente. Non siamo sicuramente ai minimi storici, che sono stati invece raggiunti negli anni ’70 del Novecento, a causa di una presenza massiccia di industrie. Successivamente le fabbriche nell’area milanese se ne sono andate, il livello della falda è risalito negli anni ’80, e adesso direi che siamo un po’ più alti che in quel periodo.

Come si svolgono le misurazioni sul campo?
Siamo partiti sia recuperando punti di monitoraggio già esistenti, sia realizzando 4 nuovi punti dotati di rilevatori di livello di falda in continuo.
Il dato più interessante da rilevare è proprio il livello di falda, ed è il dato che puntiamo a incrementare. Le misure dei livelli vengono compite manualmente e mensilmente su una rete di 29 punti, mentre viene rilevato automaticamente con cadenza oraria. nei 4 nuovi piezometri: si tratta di scavi tubolari nel terreno in cui viene inserito un tubo forato fino alla profondità desiderata.
Mi mostra un tubo di circa un metro di lunghezza per 10 cm di diametro, con le pareti filtranti. Si tratta di elementi combinabili tra loro fino a raggiungere la profondità desiderata.
L’acqua entra in questo tubo e per pressione arriva al livello dell’acqua in falda. In pratica è paragonabile a un piccolo pozzo, che ci serve per monitorare livelli dell’acqua, la sua qualità, ecc.
Per darti un’idea, nella zona in cui effettuiamo le sperimentazioni la falda è tra i 3 e i 5 metri di profondità.
Ti è piaciuto fare ricerca sul campo? Hai qualche aneddoto su questa esperienza?
È stata una novità per me, che sicuramente mi è piaciuta molto: riconosco che in questi due anni ho vissuto un’esperienza molto intensa.
Il lavoro di campo impiega molto tempo, è sempre un’incognita. È fondamentale il lavoro di squadra: nella parte iniziale abbiamo dovuto piazzare tutti gli apparecchi di misurazione. Ma avere un contatto diretto con quello che stai facendo, aprire tombini, inserire i freatimetri (gli strumenti per misurare la profondità dell’acqua nei pozzi), raccogliere i dati, piuttosto che guardare queste cose solo al computer, dà una immensa soddisfazione.
È un territorio un po’ più ignoto di un laboratorio, perché pieno di imprevisti. La cosa bella è che quando sei in campo pensi solo a quello, quando sei in ufficio pensi ad altro.
A volte ci sono stati piccoli inconvenienti e misteriose sparizioni, come quello di uno stramazzo, che è un misuratore di portata del fontanile, che non abbiamo trovato più.
Ora del lavoro di campo si sta occupando un mio collega, al momento io mi sto focalizzando sulle analisi dei dati raccolti.
Quali altri dati raccogliete, oltre alla profondità della falda?
Il consorzio ci fornisce i dati relativi alle portate di acqua distribuite tutti i giorni nella sua rete irrigua. Altri dati interessanti che raccogliamo sono il battente dell’acqua contenuta nei fontanili e la loro portata, i valori di permeabilità del fondo dei canali, tutto per quantificare le perdite e calcolare il bilancio idrico.
Da ARPA Lombardia ci arrivano invece i dati su precipitazioni e temperatura dell’aria nella zona.
Poi ci arrivano i dati sulla temperatura nella falda e quella nei canali, che assieme alle misure isotopiche ci aiutano a capire da dove viene l’acqua e come si sposta tra i diversi domini.
In che modo? E cosa sono le misure isotopiche?
Noi otteniamo una firma isotopica dell’acqua dei canali, dell’acqua di falda e dell’acqua dei fontanili analizzando il rapporto tra ossigeno e deuterio (due isotopi, appunto) contenuti nell’acqua. Il valore dell’acqua di falda è diverso da quello delle acque superficiali e questo ci permette di distinguerli. Dove i due tipi di acque si mescolano, avremo una firma isotopica posta tra questi due estremi.
Per capire i movimenti dell’acqua si usa anche il parametro della temperatura: quella del fiume è più elevata in estate e più bassa in inverno, mentre quella della falda è costante a 15°C.





A cosa vi servono questi dati?
I dati sono fondamentali per osservare le variazioni in falda indotte dall’irrigazione invernale oggetto della sperimentazione e confrontarle con le variazioni “indisturbate” circostanti.
I dati servono anche per la costruzione di un modello numerico spazialmente distribuito degli acquiferi e del sistema irriguo, capace di riprodurre le condizioni attuali e simulare scenari alternativi, come l’espansione delle aree irrigate e l’impatto del cambiamento climatico.
L’irrigazione a scorrimento lombarda è quindi un modello virtuoso? O presenta dei contro?
L’Unione Europea vede l’irrigazione a scorrimento tradizionale della Lombardia come spreco di risorsa idrica. In effetti è vero che solo il 30% dell’acqua viene usato dalle piante, ma il restante 70% non va sprecato, perché entra nel sottosuolo e accumulato.
L’UE spinge verso sistemi più efficienti, come l’irrigazione a goccia (microirrigazione) e ad aspersione.
Ma passare a questo tipo di irrigazione nel nostro territorio sarebbe doppiamente negativo: non ricaricheremmo più la falda che verrebbe impoverita dalle troppe uscite necessarie agli agricoltori. Andremmo veramente a depauperare la risorsa idrica sotterranea.
L’UE dà ad esempio incentivi per passare dalla classica coltivazione del riso a sommersione a quella a secco. Questo ha portato tanti problemi nel pavese, dove in alcune zone l’acqua non arriva più tramite i fontanili.
Il sistema che state studiando con MAURICE suggerisce una possibilità di sostenibilità del sistema lombardo?
Sì, perché crea un circolo virtuoso: sfrutti l’acqua per irrigare d’inverno e accumuli acqua per irrigare d’estate. La falda oggi non sarebbe così alta, se non ci fosse irrigazione.
E ci sono tutta un’altra serie di elementi positivi su altri versanti: l’esistenza di aree umide che dipendono dall’emersione della falda, la tutela del paesaggio e il mantenimento della struttura dei canali agricoli…

A che punto del progetto siamo, oggi? E com’è andato finora?
Dopo aver effettuato un primo test di irrigazione invernale durante l’inverno 2023/24 e un secondo ancora in corso durante l’inverno 24/25, il progetto entrerà nella fase conclusiva. L’analisi dei dati raccolti e le simulazioni numeriche permetteranno di valutare l’efficacia della misura nel migliorare la resilienza del territorio ai cambiamenti climatici e di quantificarne i benefici.
Abbiamo avuto un po’ di imprevisti all’inizio, quando ha piovuto tanto, perché ha reso impossibile dei lavori in campo.
Nella prima fase, inoltre, non avevamo potuto avere delle misure di livello in continuo, ma avevamo dovuto usare misure manuali con un effetto non facilmente interpretabile. Durante questo inverno, invece tutte le misurazioni si sono svolte secondo i nostri piani.
Ci sono dei primi risultati?
C’è da scorporare l’effetto della precipitazione, per capire quanta è stata effettivamente l’acqua che si è accumulata in falda. Dobbiamo capire inoltre eventuali effetti limitrofi come quelli dei fontanili, che hanno un contributo non indifferente.
Stiamo seguendo due percorsi: la ricerca sul campo e la sperimentazione del modello con le prove numeriche. Vediamo il modello cosa ci dirà.
Dai dati vediamo dei risultati positivi, ma non siamo ancora in grado di quantificare gli effetti della misura, cioè quanta acqua riusciamo a conservare nel sottosuolo: perché nel sottosuolo l’acqua si muove lentamente, ma si muove, e pian piano la perdi, perché fluisce verso i fontanili e verso il Ticino.
Avete avuto anche altri partner nel progetto?
Sì, come partner associati ci sono Regione Lombardia, Metropolitana Milanese, ISPRA.
Con loro abbiamo istituito un tavolo di lavoro insieme ad altri attori del territorio come i gestori del servizio idrico e i parchi naturali per porre le basi di una strategia a livello regionale per rendere le misure veramente effettive. Ci riuniamo ogni sei mesi per ragionare insieme sul da farsi e sulle misure da applicare.
Paolo, ti va di raccontare di come è nata la tua passione per l’ingegneria ambientale e come sei arrivato al progetto MAURICE?
Il mio interesse per l’ambiente è nato alle scuole medie. A quel tempo sognavo di fare la guardia forestale. Per questo mi sono poi iscritto all’istituto tecnico agrario, seguivo un corso dedicato alla gestione delle risorse naturali.
Poi è arrivato il momento di scegliere l’università, e all’Open Day del Poli ingegneria ambientale mi aveva subito appassionato, e l’ho scelto come corso di studi. Devo dire che non ho mai avuto nessun pentimento: più sono andato avanti e più si è rivelato un campo di studi fatto per me.

Come mai ti sei orientato proprio verso il mondo dell’acqua?
Andando avanti, mi sono sempre più appassionato alla gestione della risorsa idrica, alle questioni sociali e ambientali che vi gravitano attorno.
L’acqua è vettrice di vita, ma, allo stesso tempo, anche di conflitto. È interconnessa con tante sfere del nostro pianeta, legata ai più diversi ambiti.
A questo proposito, ti cito la mia tesi magistrale, che ho realizzato a Wageningen (Paesi Bassi). Era uno studio delle influenze umane sulla siccità, in una regione a nord-est del Brasile. Un bacino dove sono stati costruiti diversi serbatoi idrici, dei laghetti, in modo che ogni agricoltore avesse il suo. In quel caso, nel valutare gli impatti, ho rilevato che l’acqua piovana che scorre lungo i fiumi arriva con capacità molto minore nei grandi serbatoi, enfatizzando la siccità nei bacini più a valle.
Dopo la magistrale cosa hai fatto?
Nel 2021 ho trascorso un periodo con il team di idroinformatica all’Istituto di Ricerca Idrologica KWR, sempre nei Paesi Bassi, dove ho sviluppato un modello di deep learning per prevedere i livelli delle acque superficiali e sotterranee.
È lì che ho iniziato a pensare al dottorato, perché conoscendo l’ambiente, ho scoperto che era un’esperienza da provare. Il progetto che ho trovato qui al Politecnico era perfetto, perché mette in comunicazione la gestione delle acque superficiali e di quelle sotterranee.
Dove ti vedi nel futuro?
All’inizio dell’anno prossimo finirò il dottorato. L’idea di rimanere in università non mi dispiace, perché mi dà tante possibilità, è un ambiente dinamico. Ma c’è sempre l’incertezza di trovare posto per fare ricerca. Vedremo come andrà, anche perché “il fuori” non mi spaventa!
La tua attività relativa ad acqua e ambiente non si ferma solo alla ricerca e allo studio, vero?
Uno dei temi a cui sono più attaccato è quello della sostenibilità ambientale e sociale. Che è un tema anche di giustizia. Si collega sia al lavoro della tesi, sia al progetto MAURICE. Perché tutto ruota attorno alla questione “sostenibilità della risorsa”.
È da tanto che al Politecnico mi interesso di queste tematiche. Quando ero studente ero parte attiva dell’associazione Resilient G.A.P., il cui motto è “Pensare globale, agire locale”. Con l’associazione abbiamo portato il tema del cambiamento climatico e le questioni socio-ambientali all’attenzione del Politecnico in tempi ancora non sospetti. Pensa che abbiamo iniziato a realizzare le prime conferenze sul cambiamento climatico nel 2015!
In questo periodo faccio parte di un collettivo appena nato, CREPE, con cui abbiamo organizzato un corso popolare di introduzione ai cambiamenti climatici.
Attualmente sono vice chair del comitato scientifico della rete Groundwater Youth Network (GWYN), patrocinata dall’UNESCO. Abbiamo diversi gruppi di lavoro legati al patrimonio e alla salvaguardia delle acque sotterranee.
Faccio inoltre parte di AIGU, Associazione italiana giovani per l’UNESCO.
E oltre al tuo, di futuro, come vedi il futuro del pianeta, alla luce della situazione sociopolitica attuale?
I contesti di crisi, come quello che stiamo vivendo oggi, sono i contesti in cui effettivamente può esserci un cambiamento. Il problema è che il cambiamento può essere in un senso o nell’altro.
Bisogna dare una spinta decisa, contraria alla direzione che abbiamo seguito da un secolo a questa parte; quella della crescita infinita, della produttività infinita. Dobbiamo cercare di staccarci da quell’ideologia, da quel modo di vedere il mondo.
La resistenza a questa visione del mondo c’è sempre stata, ed è sempre stata molto osteggiata. Il futuro può essere anche molto buio. Ma la via verso un futuro più luminoso c’è, se questi semi di cambiamento vengono recepiti e fatti crescere.
Una domanda che mi piace spesso fare: c’è un libro, un film, che consiglieresti come suggestione per chi vuole approfondire gli argomenti di cui abbiamo parlato?
Oro blu: storie di acqua e cambiamento climatico, Edoardo Borgomeo, Laterza. Nove storie da tutto il mondo raccontano come l’acqua si intreccia all’economia, alla storia, alla cultura e alla vita di ciascuno di noi.
Geopolitica dell’acqua, Margherita Ciervo, Carocci. L’acqua è un bene comune o un bene economico? Un saggio che ci aiuta a riflettere su domande come questa.
The seeds, Ann Nocenti, David Aja, Bao. Una città spaccata in due: da un lato, totale dipendenza dalla tecnologia, mentre dall’altro vivono i luddisti che la rifiutano. Una graphic novel sui futuri possibili.