
In che modo i fenomeni celesti hanno influenzato la storia, le dinamiche di potere e il comportamento umano nel corso dei millenni?
È a questa affascinante domanda che cerca di rispondere l’Archeoastronomia, una disciplina scientifica ma profondamente interdisciplinare, che studia il rapporto tra l’uomo e il cielo attraverso l’analisi delle architetture e delle culture antiche.
Ne parliamo con Giulio Magli, Professore ordinario di Fisica Matematica al Politecnico di Milano e unico docente in Europa a tenere un corso universitario dedicato proprio all’Archeoastronomia.
Per farlo, ci guida in un viaggio indietro nel tempo di 4.500 anni, nel cuore della Quarta Dinastia dell’Antico Regno Egizio, per svelare come astronomia, religione e potere si siano intrecciati nella costruzione delle piramidi e nella nascita di simboli destinati a durare nei secoli.
Per chi si avvicina per la prima volta all’archeoastronomia, può non essere facile orientarsi tra le varie definizioni. Come la racconteresti a un pubblico non esperto?
L’archeoastronomia oggi è una disciplina scientifica, anche se relativamente giovane: nasce alla fine degli anni ’60 del Novecento, quindi ha poco più di 50 anni. Il suo obiettivo principale è studiare la presenza – o l’assenza – di allineamenti astronomici, cioè di riferimenti a fenomeni celesti all’interno delle strutture architettoniche antiche. Questa è la parte più tecnica.
Ma c’è anche un’altra dimensione fondamentale: dimostrare se questi allineamenti sono intenzionali, quindi non casuali, e nel caso lo siano, cercare di interpretarli in chiave storica, religiosa e, molto spesso, politica e, quindi, di gestione del potere. Questi monumenti infatti sono quasi sempre legati alla gestione del potere nelle antiche civiltà. Per questo l’archeoastronomia è una disciplina fortemente interdisciplinare.
Quindi immagino che anche il tuo percorso di studi sia fortemente interdisciplinare?
Ho un dottorato (PhD) in astrofisica, sono professore ordinario di Fisica Matematica, e per molto tempo mi sono occupato di astrofisica relativistica. Poi ho cambiato completamente direzione e mi sono dedicato allo studio del rapporto tra l’uomo e il cielo.
Per ciò che riguardo la formazione più storica e umanistica, fondamentale, me la sono costruita da solo. È stato necessario, ovviamente, per poter approfondire certi temi legati alle antiche civiltà. Ho anche imparato a leggere i geroglifici, per esempio.
È affascinante. Immagino che anche lo studio dell’etnografia e delle religioni sia fondamentale.
Devi capire come il potere – e questa è la parola chiave: potere – si è storicamente legato alla religione e all’astronomia. Prendiamo l’esempio delle piramidi in Egitto: non sono state costruite da schiavi, come si pensa spesso, ma da operai specializzati. Era gente che faceva quello di mestiere.
Lo Stato investiva risorse enormi per costruire la tomba del faraone. Perché? Perché, per quanto il faraone potesse essere megalomane, l’intero Stato riteneva fondamentale garantire il suo passaggio nell’aldilà. E non per il faraone in sé, ma per la sopravvivenza dell’ordine politico e religioso.
Il faraone era un dio vivente. Quando moriva, “saliva al cielo”, e questo passaggio garantiva la continuità del potere attraverso suo figlio, il nuovo faraone, anch’egli divinizzato. Assicurare il destino celeste del faraone significava garantire la continuità della vita sulla terra, la fertilità del Nilo, la stabilità dello Stato.
Ecco dove entrano in gioco l’astronomia, l’architettura, la religione e il potere. Il destino del faraone era letteralmente scritto nelle stelle. Ed è da lì che nasce l’archeoastronomia.

E com’è nato questo interesse per l’archeoastronomia e le civiltà antiche?
Tutto è cominciato in Egitto, che resta la mia grande passione. Anche se poi ho lavorato in molte altre parti del mondo – Cina, Israele, vari siti UNESCO in Messico – è proprio in Egitto che ho avuto la mia “rivelazione”.
Alla fine degli anni ’90 si è svolta l’esplorazione dei condotti interni della piramide di Cheope, che sono strutture molto particolari e complesse e ancora parzialmente inesplorate dopo più di 4.500 anni. La spiegazione dei condotti delle camere interne è astronomica. Questa scoperta mi ha completamente cambiato prospettiva e mi ha spinto ad approfondire il tema.
Da allora sono passati più di vent’anni e continuo a occuparmi di archeoastronomia.
Tornando invece agli aspetti più tecnici: qual è la disciplina fondamentale alla base dello studio archeoastronomico?
La disciplina tecnica centrale è il rilievo. In particolare, il rilievo topografico, ovvero la misurazione delle distanze, angoli, altezze. Nel caso dell’archeoastronomia, quello che ci interessa in particolare è l’altezza dell’orizzonte. Fondamentale per ricostruire il cielo così com’era in passato. Il cielo, infatti, cambia nel tempo a causa di un fenomeno fisico chiamato precessione, che modifica lentamente la posizione delle stelle rispetto alla Terra. Non vale per il Sole, anche se spesso si sente parlare di “precessione degli equinozi”, ma per le stelle sì.
Quindi si usa un software – quello che consiglio sempre ai miei studenti è Stellarium, gratuito e open source – per ricostruire un cielo teorico da dover poi confrontare con il luogo in cui ti trovi.
Ad esempio, se una stella, secondo il software, sorge a est, ma a est hai una montagna di un chilometro, quella stella non la vedi perché è coperta dalla montagna. La tecnica del rilievo consiste proprio nella rilevazione dell’orizzonte locale.
Passando ora alla tua ricerca, puoi raccontare come si è sviluppata e cosa avete scoperto?
La nostra indagine si concentra su un periodo brevissimo ma straordinario della storia umana: la Quarta Dinastia egizia, che dura solo un secolo e mezzo, tra il 2600 e il 2450 a.C. In questi pochi decenni vengono costruiti monumenti grandiosi: prima di Dashur, poi di Giza.
Quando parlo della piramide di Cheope, sottolineo sempre che sono un professore del Politecnico e che tutto ciò che dico è scientificamente verificato. Parliamo di un’opera alta 146 metri, con una base di 230 metri per lato, che contiene 8 milioni di tonnellate di pietra. Otto milioni! E tutto questo è assolutamente vero. Sono numeri che fanno girare la testa.
Poi, all’improvviso, questa stagione grandiosa si interrompe improvvisamente con il faraone Shepsekhaf. E qui iniziano i segnali di rottura.

Cosa cambia con lui?
Tre cose fondamentali.
Primo: nel suo nome non compare più il suffisso “Ra”, che identificava i suoi predecessori come figli del dio Sole. Gedefra, Kafra, Menkaura: tutti hanno “Ra” nel nome. I discendenti di Cheope si identificano come discendenti del Sole. Lui no.
Secondo: non costruisce una piramide. Realizza una tomba molto raffinata, in granito, lavorata con estrema cura – architravi da 80 tonnellate trasportate da Assuan, a 800 km a sud, per capirci – ma non è una piramide. È più simile a una mastaba: una forma più bassa e rettangolare, tipica delle tombe dei funzionari. Anche se è immensa, costruita con blocchi da piramide e con l’organizzazione interna tipica delle piramidi, non ha la valenza simbolica della piramide, che rappresentava l’ascesa verso il cielo.
Terzo: sceglie un luogo molto particolare. I suoi predecessori, prima di lui, usavano costruire la tomba sulla riva a ovest del Nilo (dove tramonta il sole e i morti si uniscono per risorgere), in vista del tempio del Sole di Eliopoli. Lui decide invece di costruirla in un sito a sud, a Saqqara, da cui non si vede Eliopoli, che era il punto di riferimento sacro e simbolico di tutta la Quarta Dinastia. È una rottura voluta.
E questo ha conseguenze anche storiche?
Assolutamente. È una cesura così forte che gli egittologi parlano di cambio di dinastia. Dopo di lui inizia la Quinta Dinastia, che sarà ancora più legata al culto solare. Ogni faraone costruirà sia una piramide che un tempio solare. Edifici enormi, unici nella storia egizia.
Come viene spiegato questo cambiamento dalla quarta alla quinta dinastia?
Non è mai stato spiegato. Mai.
Riuscire a ricostruire con precisione sia la genealogia sia la cronologia dei faraoni è davvero complicato, bisogna sempre tener conto che stiamo parlando di eventi avvenuti 4.500 anni fa. Oggi, la cronologia dell’Antico Regno ha un’approssimazione di circa ±25 anni. Che, per quell’epoca, è già un’ottima approssimazione.
Alcuni studiosi hanno proposto che Shepsekhaf non fosse legittimo dal punto di vista dinastico, magari un nipote e non un figlio, o addirittura un usurpatore. Ma non ci sono prove. Quindi, a oggi, questo cambiamento rimane un mistero.
La mia teoria associa questo improvviso cambiamento all’apparizione di un’eclissi, avvenuta esattamente durante il periodo di regno del Faraone Shepsekhaf, quindi nella prima metà del XXV secolo a.C., diciamo tra il 2500 e il 2450 a.C.
Prima di approfondire, partiamo dalle basi: che cos’è un’eclissi?
Spesso nemmeno i miei studenti lo sanno con chiarezza, finché non glielo spiego bene.
Bisogna prima di tutto partire dalla conoscenza che il piano dell’orbita lunare non coincide con l’eclittica, ovvero il piano definito dall’orbita della Terra intorno al Sole. Il piano orbitale della Luna è inclinato di circa 5° rispetto a questo.
Questo significa che è raro che la Luna nuova si trovi esattamente tra Sole e Terra (eclissi di Sole), o che la Luna piena si trovi dopo Sole e Terra (eclissi di Luna).
Questi tre corpi — Sole, Luna e Terra — non sono quasi mai perfettamente allineati. Solo quando l’orbita della Luna interseca esattamente l’eclittica nei punti detti “nodi”, si ha un’eclissi. Quindi, un’eclissi si verifica solo se la Luna nuova o piena coincide con uno di questi nodi.
Poi c’è un altro aspetto affascinante: succede, per puro caso, che le dimensioni apparenti della Luna e del Sole, viste dalla Terra, siano pressoché uguali — circa mezzo grado d’arco. È un caso fortunatissimo, perché è quello che permette di avere le eclissi totali di Sole, dove la Luna copre perfettamente il disco solare.
In questo momento, l’eclissi totale è un evento spettacolare: la temperatura cala di parecchi gradi, gli animali cambiano comportamento — gli uccelli tornano al nido, i cani abbaiano — e si vedono le stelle in pieno giorno. Le stelle di prima magnitudine diventano visibili, e si può guardare a occhio nudo, senza protezione, la corona solare (ma solo nel momento esatto della totalità!).
Tutto questo rientra nella meccanica del sistema Terra-Luna-Sole.
E la meccanica si può calcolare: con i software di astronomia si può risalire con estrema precisione ai giorni in cui si sono verificate le eclissi, anche migliaia di anni fa.

Sembra molto semplice e quasi immediato…
In realtà c’è un problema: sappiamo con precisione quando c’è stata un’eclissi. Il problema è dove si è vista, nella sua totalità. Perché l’eclissi totale è visibile solo lungo una fascia stretta, larga circa 200-300 km.
Dove viene proiettata l’ombra dipende dalla rotazione terrestre, e la rotazione della Terra nel tempo non è costante. Quindi, per sapere dove è caduta esattamente l’ombra, bisogna stimare la variazione di rotazione della Terra nei millenni. Oggi questi modelli sono abbastanza affidabili, e i miei colleghi che se ne occupano sono ragionevolmente sicuri di sapere dove venga proiettata l’ombra di un’eclissi nel tempo.
Secondo questi studi, il 1° aprile del 2471 a.C. un’eclissi totale di Sole ha attraversato il Basso Egitto.
La totalità ha coperto Menfi, la capitale del regno, ed è passata anche sopra Giza, sopra Eliopoli, e sopra altri centri sacri del Delta, come Buto. È un segnale molto forte.
E c’è di più: si può simulare quell’eclissi.
Allora proviamo a chiudere gli occhi: raccontami cosa successe quel 1° aprile.
Era un’eclissi particolarmente impressionante perché il Sole è sorto già parzialmente oscurato, e poi è calato nel buio totale. La fase di oscuramento è durata più di sei minuti — quasi il massimo possibile.
E nel cielo, improvvisamente scuro, sono apparse stelle significative per la religione egizia, come le Pleiadi, insieme a Venere e Mercurio.
Quindi si può ipotizzare che proprio quest’eclissi sia stata vissuta come un cattivo presagio dal Faraone Shepsekhaf. Una sorta di avvertimento divino contro il proseguire nel culto solare. Da qui l’ipotesi che abbia voluto interrompere bruscamente la tradizione solare della Quarta Dinastia.
Questa, ovviamente, è una proposta. Non possiamo sapere con certezza se sia andata davvero così. Ma c’è una speranza di trovare conferme.

In che modo?
Ogni complesso piramidale comprendeva, oltre alla piramide, due templi: uno detto “funerario” e uno “in valle”, collegati da una strada rialzata. Per esempio, a Giza, la Sfinge si trova nel Tempio in Valle di Chefren. Anche Shepsekhaf, pur non costruendo una piramide, ha comunque un complesso tombale reale. E anche in questo caso esistevano un tempio funerario, una strada rialzata e un tempio in valle. Questi due templi non sono ancora stati scavati.
Io non so cosa potrebbe venire fuori, ma so che la scrittura esisteva in Egitto già da 700 anni. Quindi non è impossibile che emerga qualche iscrizione. Non mi aspetto certo che ci sia scritto “Ho visto l’eclissi!”, ovviamente no, ma potrebbe esserci qualcosa che alluda al contesto o agli eventi vissuti.
Il 21 giugno sarò sul posto: è in corso una missione archeologica polacca nella Mastaba al-Faragun, la tomba di Shepsekhaf. Spero che salti fuori qualcosa. Anche perché di eclissi nei testi egizi non si parla quasi mai. Non solo di questa: proprio in generale, è rarissimo che gli Egizi citino un’eclissi. Molto raro.
Se mai emergessero testi che facciano riferimento, per esempio, a un legame tra Shepsekhaf e l’occhio di Horus — che a volte è stato interpretato come un’allegoria dell’eclissi (il fatto che venga colpito da Set, ecc.) — beh, tutto questo potrebbe rafforzare molto l’ipotesi.
Esistono altre ricerche, magari in contesti diversi, in cui eventi astronomici hanno portato poi a una conferma storica?
Sì, nell’ambito dell’archeoastronomia oggi abbiamo una visione molto chiara di tante civiltà. In Cambogia, per esempio, ci sono monumenti che mostrano correlazioni topografiche e astronomiche tra loro.
Per quanto riguarda le eclissi, però, dobbiamo spostarci a epoche un po’ più tarde. Ci sono eclissi documentate dalla storiografia greca che sono state identificate, e hanno avuto un impatto anche storico.
C’è la battaglia di Halys, anche conosciuta come “battaglia dell’eclissi” che fu interrotta da un’eclissi, combattuta nella penisola anatolica nel 585 a.C, come riportato dagli scritti dello storico greco Erodoto. I testi raccontano infatti che i combattimenti cessarono quando il cielo si oscurò. È un caso emblematico: l’evento astronomico, interpretato anche in questo caso come un cattivo presagio, fermò la battaglia.
Impressionante. Ti vengono in mente altri esempi più vicini a noi?
C’è un altro esempio straordinario di evento astronomico imprevisto: nel 44 a.C. Ottaviano, che ancora non si chiama Augusto, sta celebrando i giochi funebri in onore di Cesare. Compare una cometa. È documentato, non ci sono dubbi. Verrà poi chiamata la “stella di Cesare” — lo “stellone” da cui deriva anche l’espressione popolare italiana che associa lo “stellone” alla buona fortuna. Questa cometa era visibile anche di giorno — cosa rara, ma possibile. E Ottaviano coglie l’occasione per dire: “Quella è l’anima di Cesare, che sale al cielo”. Da lì, essendo lui figlio adottivo di Cesare, diventa automaticamente “figlio di un Dio”. È così che nasce il concetto di imperatore-divinità a Roma.
E la cosa è documentata: Plinio scrive che Augusto vide quella stella e la interpretò come la divinizzazione di Cesare. Ma il meccanismo è sempre lo stesso. Il faraone, 2.500 anni prima, faceva la stessa cosa: saliva tra le stelle. Il legame tra potere e cielo è sempre stato presente. Potere, religione, astronomia e architettura.
Augusto, per celebrare questa nuova identità divina, farà costruire non un singolo monumento, ma un intero complesso: il Campo Marzio, l’Ara Pacis, farà portare l’obelisco dall’Egitto… Tutto per celebrare e ribadire che lui è il figlio di un Dio.
Fino ad ora abbiamo parlato dell’archeoastronomia applicata a eventi antichi, storici. Ma viene mai applicata anche a fenomeni più recenti, contemporanei?
Sì, assolutamente. L’orientamento astronomico è qualcosa che cerco di trasmettere anche ai miei studenti di architettura. Infatti, non superano l’esame se non hanno analizzato autonomamente un sito utilizzando i metodi dell’archeoastronomia. Questo perché, una volta compreso il metodo, possono decidere di integrarlo in progetti contemporanei.
Ed è successo, anche recentemente, che architetti di rilievo abbiano utilizzati metodi dell’archeoastronomia. Ti faccio un esempio: a Baltimora è stato realizzato un monumento in memoria delle vittime dell’11 settembre. Per farlo, è stata utilizzata una trave originale proveniente da una delle torri del World Trade Center, montata su un basamento in marmo progettato con estrema precisione.
Questo basamento, che ricorda una meridiana ma non lo è in senso stretto, presenta delle tacche che segnano – attraverso le ombre del Sole – i momenti chiave degli eventi dell’11 settembre.
Spero che anche qualcuno dei miei studenti possa, un giorno, progettare qualcosa che riprenda questi allineamenti astronomici e, possibilmente, in maniera corretta.

E tu, personalmente, hai avuto occasione di applicarli?
Sì, e con grande emozione. Ho avuto l’onore di orientare un nuraghe.
In questo momento stiamo portando avanti un progetto scientifico di archeologia sperimentale, che prevede la ricostruzione di un nuraghe utilizzando solo tecniche antiche: spostamento delle pietre con corde, sollevamento tramite cavalletti di legno, e così via.
Il progetto si chiama NurTime, di cui sono consulente scientifico. Abbiamo già costruito una parte sommitale della torre, tirando su pietre enormi solo con leve di legno e manodopera. Io sono consulente scientifico del progetto, quindi dico “abbiamo” con orgoglio.
Ma la cosa più straordinaria è stata proprio orientare il nuraghe, perché molti nuraghi sono orientati al sorgere del Sole al solstizio d’inverno. E quindi, dopo tremila anni, ho avuto l’onore di orientarne uno nuovo, calcolando l’allineamento all’alba, al solstizio d’inverno, solo con corde e paletti, come si faceva allora. Niente GPS, nessuna tecnologia moderna.
Ora, per sempre, in quella settimana dell’anno, il Sole sorgerà perfettamente in asse con il nuraghe che abbiamo costruito a Isperdas, vicino a Gergei, nel cuore della Sardegna. È stato come dialogare, a distanza di tremila anni, con un architetto nuragico che non ha mai lasciato una parola scritta.