Architetta dell’innovazione: una conversazione con Svafa Grönfeldt

Dall’Islanda al MIT, dalla biotecnologia all’imprenditorialità guidata dal design, la professoressa Svafa Grönfeldt ha costruito una carriera all’insegna della trasformazione. In questa intervista con Frontiere, condivide il suo percorso, la sua filosofia e la sua visione del futuro dell’innovazione.

Svafa Grönfeldt
Svafa Grönfeldt photocourtesy © Svafa Grönfeldt

Buongiorno professoressa e grazie per averci concesso il suo tempo. Il suo è un percorso straordinario tra accademia, imprenditorialità e leadership. Cosa ha acceso per la prima volta il tuo interesse per la combinazione di design, innovazione e business?

Ottima domanda – e molto ampia! Sono originaria dell’Islanda, dove sono nata e cresciuta. Come molti islandesi, ho completato parte della mia istruzione all’estero: la laurea in Islanda, il master negli Stati Uniti e il dottorato a Londra. Si può dire che io sia un “cocktail” di influenze diverse.

Ma nulla di tutto questo aveva a che fare con il design. Fin da bambina, però, sognavo di diventare architetta e pensavo che prima o poi avrei trovato il tempo per intraprendere quegli studi. Ma la vita aveva altri piani: mi fu offerta l’opportunità di contribuire alla creazione di un’azienda. Non mi vedevo come imprenditrice, ma quell’occasione ha dato il via a una carriera imprenditoriale che dura ancora oggi.

Quella prima azienda è cresciuta fino a operare in 70 Paesi. Dopo un’esperienza di tale impatto, è difficile tornare indietro. È un lavoro estremamente impegnativo – servono nervi saldi – ma è anche un’opportunità unica per fare davvero la differenza.

Poi il ritorno in Islanda e al mondo accademico.

Più o meno nel periodo in cui stavamo vendendo la prima azienda, ricevetti una telefonata che mi invitava a tornare in Islanda per unire alcuni college locali, trasformarli in una università di ricerca e costruire un nuovo campus. Era esattamente nelle mie corde – il mio dottorato è in sviluppo organizzativo e, nel mio precedente ruolo, avevo spesso gestito fusioni e integrazioni aziendali.

Fu anche una decisione personale. Viaggiavo di continuo e mi sentivo come se stessi guardando i miei figli crescere da lontano. Tornare in Islanda ci ha dato la possibilità di stare insieme come famiglia.

Il ruolo di rettrice è stato il lavoro più impegnativo che abbia mai svolto – ma anche il più gratificante. Mi ha permesso di mettere a frutto tutto ciò che avevo imparato e di continuare ad apprendere. Ho lavorato con un team straordinario alla Reykjavik University.

Come è iniziata la collaborazione con il MIT?

Quando arrivai all’università, non volevo un ufficio – non ne ho uno da 25 anni! Mi trovavo al bar dell’università con il nostro nuovo Dean of Engineering. Il nostro compito era creare una nuova scuola di ingegneria, e ci siamo resi conto che forse avevamo bisogno di aiuto. Essendo un ex studente del MIT, suggerì di contattarli. Sono famosi per condividere conoscenza e supportare altre istituzioni. Quella fu la mia prima visita al MIT, e fu. Ci aiutarono a costruire programmi di altissimo livello – qualcosa che da soli non avremmo potuto realizzare.

Un momento del laboratorio condotta dalla Professoressa Svafa Grönfeldt e dal Professor Gianluca Carella
Un momento del laboratorio condotta dalla Professoressa Svafa Grönfeldt e dal Professor Gianluca Carella photocourtesy @ Dipartimento di Design

Cosa l’ha riportata nel mondo dell’impresa?

Dopo aver completato il campus, integrato processi e sistemi dei college e creato due nuove scuole e programmi, i miei ex colleghi mi chiamarono per aiutare a costruire un’altra azienda. Non mi sono mai vista come un’accademica a lungo termine – io sono una “builder”, una “costruttrice”. Amo creare e sintetizzare prospettive diverse in qualcosa di nuovo.

Così tornai all’industria e contribuì alla creazione di una seconda azienda globale, che ha richiesto circa otto anni. Poi, proprio mentre stavamo vendendo l’azienda, ricevetti una chiamata dal MIT.

Che opportunità le ha offerto il MIT?

Mi chiesero se volevo contribuire alla creazione di un nuovo programma. In quel periodo avevo compiuto 50 anni e finalmente decisi di realizzare il mio sogno di studiare architettura. Mi iscrissi al programma Design Discovery di Harvard – un’esperienza breve ma intensa. Ero circondata da ventitreenni che sceglievano i loro master, e mi sono divertita ogni secondo.

Quell’esperienza mi fece capire che ero sempre stata un’architetta – non di edifici, ma di sistemi, servizi ed esperienze. Ho continuato a frequentare corsi di architettura, diventando, come mi piace dire, una “mezza architetta”.

Cosa l’ha convinta a unirsi al MIT e a guidare DesignX?

Dennis Frenchman, fondatore del programma e professore di lunga data di architettura, mi ha convinta in dieci minuti. Voleva creare un programma che desse agli studenti gli strumenti per mettere in pratica le proprie idee subito dopo la laurea – senza dover aspettare anni di carriera aziendale.

Il MIT mi definisce una “venture designer”. Ed è per questo che mi hanno cercata: volevano qualcuno che avesse costruito aziende nella vita reale, con una passione per il design e la formazione, capace di aiutare gli studenti a concretizzare le loro idee.

Che cos’è DesignX e che impatto ha avuto?

DesignX è un programma guidato dagli studenti che supporta i laureandi che escono dai laboratori e dagli studi del MIT. Possono avere una nuova tecnologia, una scoperta scientifica o semplicemente il desiderio di avere un impatto – ma non sanno da dove iniziare.

Noi forniamo loro gli strumenti per eseguire. Co-dirigo il programma con colleghi straordinari. Abbiniamo direttori accademici a direttori esecutivi che gestiscono le operazioni quotidiane e garantiscono che tutto funzioni senza intoppi.

Negli ultimi dieci anni, abbiamo contribuito al lancio di numerose startup e soluzioni. I nostri alumni oggi servono oltre 100 milioni di persone, hanno raccolto centinaia di milioni di dollari e creato quasi 2.000 posti di lavoro. E fino a pochi anni fa erano solo studenti!

Che ruolo ha il design in questo approccio imprenditoriale?

Il design è centrale in tutto ciò che facciamo. Quando mi formavo alla London Business School, l’obiettivo era arrivare da A a B il più velocemente possibile. Ma è per questo che 9 innovazioni su 10 falliscono. Harvard, ad esempio, stima che il tasso di fallimento dei progetti innovativi possa arrivare fino al 95%.

Il design offre un approccio diverso. Consente una sperimentazione rapida e riduce il rischio. Quando si arriva al lancio, si ha una corrispondenza tra problema e soluzione molto più solida. È questo il motivo per cui abbiamo creato il campo del “venture design” al MIT.

Il programma è ora ospitato all’interno della Morningside Academy for Design. Era nato nella Scuola di Architettura e Pianificazione, ma è stato spostato in questa nuova entità perché il MIT riconosce l’importanza del design come partner essenziale di tecnologia e scienza per ottenere risultati innovativi efficaci. Il design connette le discipline e dà vita alle idee.

Aiuta gli studenti con forti competenze tecniche – in informatica, biologia o ingegneria – a colmare il divario tra teoria e applicazione reale centrata sugli stakeholder.

Ora è attiva una collaborazione con il Politecnico di Milano. Quali erano le sue aspettative per questa partnership?

L’Italia è nota per il design – non c’è posto migliore al mondo. Il MIT è noto per l’innovazione e la tecnologia. Quando ci siamo messi in contatto con il Politecnico tramite Francesco Zurlo, sembrava un abbinamento naturale tra le nostre due scuole.

Abbiamo iniziato l’anno scorso con un hackathon transatlantico di 24 ore, con studenti di entrambe le istituzioni che lavoravano insieme nei rispettivi campus, collegati via Zoom per co-creare soluzioni basate sul design. È andato così bene che abbiamo deciso di estendere l’esperienza a un’intera settimana questa estate. Stiamo ora co-creando una nuova metodologia che fonde il curriculum di innovazione e venture design del MIT con l’eccellenza del design del Politecnico, per dare vita a un nuovo corso congiunto alla Scuola di Design del Politecnico di Milano.

Cosa c’è in programma per questa collaborazione?

Abbiamo intenzione di continuare a costruire insieme. Stiamo analizzando un grande dataset raccolto al MIT negli ultimi otto anni per capire come i founder utilizzano il design e quali elementi contribuiscono al loro successo. Insieme a Gianluca Carella e al fantastico team del Polimi, speriamo di sviluppare nuove intuizioni e metodi da condividere attraverso pubblicazioni.

Un momento del laboratorio condotta dalla Professoressa Svafa Grönfeldt e dal Professor Gianluca Carella
Un momento del laboratorio condotta dalla Professoressa Svafa Grönfeldt e dal Professor Gianluca Carella photocourtesy @ Dipartimento di Design

Condividi