L’essere umano è da sempre spinto dall’istinto di esplorare, un desiderio che lo ha portato a solcare i mari e raggiungere porti in ogni angolo del mondo. Arianna Bionda incarna perfettamente questa spinta: appassionata di vela fin da ragazzina, ha trasformato il suo amore per il mare in una carriera, unendo due grandi passioni: il design sostenibile e la navigazione.
Oggi è ricercatrice al Politecnico di Milano in Yacht Design, una disciplina fortemente interdisciplinare che fonde le tre anime del Politecnico: architettura, design d’interni e ingegneria. Il suo lavoro esplora le nuove frontiere della progettazione nautica, dalle tecnologie innovative ai materiali sostenibili, con l’obiettivo di rendere la navigazione sempre più efficiente e rispettosa dell’ambiente.

Com’è nata la tua passione per la navigazione?
La mia passione per la navigazione è iniziata a 13 anni con i primi corsi di vela, che poi si sono trasformati in esperienze su cabinati e regate. Amo le grandi traversate oceaniche, quelle in cui si parte per 20 giorni o un mese senza mai toccare terra. Questo tipo di viaggio, da un lato, ha alimentato il mio interesse per le imbarcazioni e la loro progettazione; dall’altro, mi ha fatto sperimentare in prima persona i limiti di vivere in uno spazio ristretto e completamente autonomo.
Durante la mia prima traversata atlantica i contatti con la terra erano quasi inesistenti e le connessioni satellitari private non erano diffuse nè stabili. Nell’ultima, invece, avevamo Starlink. Ho vissuto sulla mia pelle l’evoluzione tecnologica applicata alla nautica e continuo a seguirla ogni giorno.
Parallelamente, durante il mio percorso al Politecnico, ho scoperto un laboratorio nel Dipartimento di Design che costruiva barche. Credo di essere corsa lì nel giro di due ore [ride]. Grazie al Politecnico, sono riuscita a unire la mia passione per la navigazione e per il design. Oggi la mia ricerca si concentra proprio su questi due ambiti.
Raccontaci del percorso che ti ha portato al Politecnico
Dopo la laurea in architettura delle costruzioni al Politecnico e un master in design, ho lavorato nell’industria della nautica, come project manager di un cantiere nautico in Italia. Sentivo però il richiamo della ricerca, perché è una strada che ho sempre sognato di intraprendere. Così, dopo qualche anno, sono tornata al Politecnico, prima con un assegno di ricerca e poi con un dottorato sulle tecnologie per la nautica. Era il momento del piano per l’industria 4.0 e la mia ricerca di dottorato ha esplorato le tecnologie digitali applicate alla nautica. Dopo il dottorato ho continuato a fare ricerca in quest’ambito, sviluppando anche l’aspetto della sostenibilità legato al digitale.
Quali sono le sfide maggiori che si affrontano a bordo? E come il progettista, designer, architetto o ingegnere può lavorare in questo senso?
Vivere l’esperienza di navigazione in prima persona, essendo a bordo dell’imbarcazione per molti giorni, permette di rendersi conto di tanti aspetti cruciali per la progettazione nautica. Personalmente ho scritto tanti pezzi di ricerca e di didattica a bordo. Uno degli aspetti principali è sicuramente la gestione delle risorse primarie, come acqua, energia e cibo: in una traversata lunga è fondamentale essere autosufficienti. Non bisogna nemmeno sottovalutare l’aspetto della gestione degli scarti: il progettista deve tenerne conto perché stivare a bordo gli scarti dell’alimentazione quotidiana, ad esempio, non è una buona soluzione, così come scaricarli in mare.
Inoltre, ci si rende conto dell’importanza delle tecnologie di tracciamento e di connessione, che sono essenziali per poter comunicare all’esterno. Tali tecnologie devono essere affidabili e facili da programmare, perché ci garantiscono la sopravvivenza in un ambiente che è al di fuori delle nostre abitudini di vita e che ha caratteristiche estreme.
Infine, un’altra sfida progettuale su cui mi piacerebbe aprire un filone di ricerca è l’ergonomia degli spazi interni delle imbarcazioni, connessa al benessere delle persone a bordo. È una problematica che vivo in prima persona, dato che soffro di mal di mare[ride]. Quest’ultimo dipende sia dal movimento dell’imbarcazione sia da come sono costruiti gli ambienti interni, ovvero da come vengono percepiti dalle persone a bordo. A questo proposito abbiamo avviato un dialogo con i ricercatori dell’Università di Pisa, che si occupano di benessere psicofisico delle persone, e stiamo collaborando anche con l’High Performance Computing di Cineca per la simulazione delle onde.
Di cosa si occupa la tua ricerca?
La mia ricerca si concentra sui materiali e sui processi costruttivi per la nautica, con un’attenzione particolare alla sostenibilità, alle tecnologie digitali applicate al settore e al modo in cui viviamo la navigazione. Il mio gruppo di ricerca, pur essendo piccolo, è fortemente interdisciplinare e coinvolge diversi ambiti: design, ingegneria meccanica, gestionale e chimica. Negli ultimi anni, si è aggiunto anche un team di ingegneria energetica per studiare sistemi di propulsione alternativi. Questo approccio interdisciplinare è fondamentale per stare al passo con le tecnologie innovative; inoltre, la connessione con altri centri di ricerca internazionali ci rende pronti a rispondere alle nuove sfide del mondo industriale.
Quali sono i progetti di ricerca che ti hanno più appassionato?
Uno dei progetti su cui lavoriamo è Nemo – Design 4 Yacht Flexible Customization; il progetto, coordinato da Andrea Ratti del Dipartimento di Design, si concentra sulla customizzazione flessibile nella nautica. Il problema principale riguarda le barche in vetroresina, un materiale composito complesso e difficile da riciclare. Inoltre, la crescente richiesta di personalizzazione implica la necessità di creare nuovi stampi per ogni modifica, rendendo il processo complesso. Stiamo quindi esplorando l’uso della stampa 3D rinforzata per produrre componenti nautici in modo più sostenibile.
Un altro progetto, e-SHyIPS, è incentrato sull’applicazione dell’idrogeno nel trasporto marittimo, con particolare attenzione alla sicurezza e agli standard progettuali per il trasporto dei passeggeri. Il progetto, che ha coinvolto 14 partner sotto la guida di Monica Rossi del Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano, si è appena concluso nel dicembre 2024. Insieme abbiamo analizzato come integrare l’idrogeno a bordo, valutando l’impatto sulla progettazione degli spazi, sugli standard di sicurezza e sulle nuove logiche costruttive.
La nautica sta vivendo una trasformazione radicale: già oggi esistono alcune imbarcazioni da diporto che utilizzano idrogeno o metanolo in sistemi Fuel Cell, modificando completamente il sistema di produzione e gestione dell’energia a bordo. Sempre più cantieri navali, grazie anche ai finanziamenti dell’Unione Europea, stanno avviando progetti sperimentali in questo campo.
Un aspetto chiave della sostenibilità in ambito nautico riguarda non solo le emissioni zero di questi nuovi sistemi di propulsione, ma anche la riduzione del rumore e delle vibrazioni subacquei prodotto dai motori tradizionali, che ha un impatto significativo sulla fauna marina. Inoltre, stiamo iniziando a collaborare con il Dipartimento di Energia con l’obiettivo di sviluppare un Energy Management System avanzato, che permetta di ottimizzare i consumi energetici combinando solare, eolico e altre fonti rinnovabili per la navigazione.
Questa ricerca è ancora in fase embrionale, ma rappresenta il prossimo grande passo verso un’imbarcazione più efficiente, sostenibile e autonoma dal punto di vista energetico.

Tra i vari ambiti di ricerca di cui ti occupi c’è anche il design per l’economia circolare e il riciclo. Come si applica concretamente questo approccio nel settore nautico?
La nautica, da questo punto di vista, non è ancora all’avanguardia. Qualcosa è stato fatto, ma c’è ancora molta strada da percorrere. Attualmente, la sostenibilità in questo settore è affrontata principalmente con un approccio ingegneristico, focalizzato sull’ottimizzazione del singolo componente. È un metodo che anche noi, inizialmente, abbiamo seguito.
Quando ho iniziato a occuparmi di ricerca in questo ambito, circa dieci anni fa, ci siamo concentrati su materiali specifici, come i rivestimenti antivegetativi e i bio-compositi, cercando di sostituire il vetro o il carbonio con fibre naturali. Tuttavia, negli ultimi anni questo non è più sufficiente: serve una visione più ecosistemica, che consideri l’intero ciclo di vita delle imbarcazioni e dei loro componenti. Proprio su questo tema stiamo lavorando con il nostro gruppo di ricerca, anche attraverso un dottorato che si occupa di life cycle design applicato alla nautica. Questo progetto, finanziato dal PNRR, coinvolge anche il cantiere Sanlorenzo, leader mondiali nella costruzione di yacht, nonché il primo ad aver realizzato imbarcazioni a idrogeno.
Attualmente stiamo costruendo, insieme a designer e cantieri, delle linee guida per la valutazione del ciclo di vita di un’imbarcazione (LCA – Life Cycle Assessment). Il problema principale è che uno yacht è un sistema complesso, composto da molti elementi, e un’analisi troppo dettagliata rischierebbe di diventare obsoleta prima ancora di essere completata, vista la velocità con cui si evolvono le tecnologie.
Per questo stiamo collaborando con il gruppo di ricerca LeNS lab del Politecnico di Milano, specializzato in design per la sostenibilità, per sviluppare un metodo efficace di analisi e progettazione che consideri tutte le fasi della vita di un’imbarcazione. Oggi, la fase più impattante è la navigazione, specialmente per gli yacht a motore tradizionali. Tuttavia, per le imbarcazioni a vela o con combustibili alternativi, l’impatto è minore e le strategie di progettazione sostenibile cambiano.
Parallelamente, stiamo lavorando con la Water Revolution Foundation, un’organizzazione che promuove la sostenibilità nel settore dei grandi yacht. L’obiettivo è unire le forze e costruire un metodo condiviso, perché la nautica è un settore di nicchia, dove tutti si conoscono e dove convivono due spinte opposte: da un lato, la volontà di preservare la tradizione; dall’altro, il desiderio di innovare.

Quali sono le tecnologie e i materiali più innovativi nello yacht design?
Tra le innovazioni più interessanti nello yacht design c’è la stampa 3D di grande formato applicata alla nautica. Parliamo di una tecnologia che utilizza compositi fibrorinforzati, aprendo nuove possibilità di costruzione, soprattutto per i componenti di coperta e di allestimento dell’imbarcazione. Questi elementi, infatti, richiedono un alto livello di personalizzazione e, al tempo stesso, devono garantire proprietà meccaniche avanzate. Rispetto agli scafi, che hanno vincoli strutturali più rigidi, questi componenti offrono una maggiore libertà progettuale.
L’uso dell’additive manufacturing consente non solo una personalizzazione più spinta, ma anche un’ottimizzazione delle forme e delle strutture. Grazie a strumenti di intelligenza artificiale per la visualizzazione e per l’ottimizzazione, stiamo studiando i percorsi e le topologie migliori per garantire la massima efficienza strutturale. Questo approccio ci permette di superare le logiche tradizionali dei compositi, esplorando nuove modalità di progettazione e produzione attraverso la stampa 3D di grande formato.

In che modo la digitalizzazione sta trasformando il mondo della nautica e della progettazione degli yacht?
Negli ultimi anni, e in particolare dopo la pandemia, le tecnologie digitali hanno avuto un’accelerazione straordinaria e oggi sono una realtà consolidata a bordo. Sono stati avviati numerosi studi, sia accademici sia applicati all’industria, per sviluppare sistemi di tracking degli impianti di bordo e della navigazione. Si stanno facendo passi avanti significativi anche verso la guida autonoma, nonostante permangano alcune sfide legate alla cybersecurity e alla protezione dei dati. Le imbarcazioni, infatti, operano in ambienti estremi e devono essere in grado di navigare e risolvere problemi autonomamente, senza affidarsi completamente alla connessione remota.
In pochi anni, il modo di navigare è cambiato completamente. Questa crescita esponenziale ha ridotto la diffidenza dell’industria nei confronti delle nuove tecnologie, che oggi vengono adottate con maggiore fiducia. Un esempio simile è l’idrogeno: cinque anni fa sembrava impensabile, mentre oggi è una realtà concreta. La tecnologia avanza molto più velocemente di quanto l’industria sia pronta ad adottarla, ed è qui che entra in gioco il ruolo fondamentale dell’università. I centri di ricerca studiano queste innovazioni fin dalle loro fasi iniziali e guidano il loro sviluppo per rispondere a problemi concreti della cantieristica nautica.
Un caso emblematico è la stampa 3D per le imbarcazioni: solo un anno e mezzo fa era vista con scetticismo, oggi i nostri partner industriali hanno talmente tante richieste da non riuscire a soddisfare appieno la richiesta di produzione customizzata. Il settore sta evolvendo a una velocità incredibile e tra un anno, probabilmente, parleremo già di un altro scenario tecnologico.
Oltre alla ricerca e alla didattica sul design nautico, il Politecnico di Milano ha una squadra che partecipa a competizioni internazionali di vela, il Polimi Sealing Team. Ci racconti cosa fate e qual è il tuo ruolo?
Nel Polimi Sealing Team progettiamo e costruiamo imbarcazioni con le quali partecipiamo a competizioni internazionali. Io sono la project manager del team e collaboro al coordinamento di un gruppo di studenti provenienti dalle diverse scuole del Politecnico. Il team infatti coinvolge studenti di architettura, design e ingegneria ed è una grande occasione di crescita, perché gli studenti gestiscono in autonomia tutti gli aspetti del progetto: da quelli di progettazione e costruzione (gestione del cantiere, recupero dei materiali, gestione dei fornitori) a quelli finanziari, di relazione con gli sponsor, fino alla parte sportiva durante la regata.
Quest’esperienza è fondamentale anche per sviluppare abilità come il problem solving, perché una caratteristica delle imbarcazioni è che spesso in fase di test si rompe qualcosa. Per me insegnare anche fuori dall’aula e riuscire a far mettere in pratica quello che viene studiato è un valore molto importante; io stessa sono entrata nel team da studentessa al mio secondo anno di università e vedo ora studenti con più esperienza crescere e assumersi più responsabilità all’interno del team.

Su cosa ti piacerebbe concentrati in futuro?
Sicuramente vorrei cercare di consolidare l’approccio ecosistemico ai temi di innovazione e sostenibilità. L’imbarcazione non è di certo un prodotto facile: i materiali e gli elementi a bordo sono diversi, dalle lastre di acciaio per lo scafo alla pelle che riveste divani; anche la relazione tra le esigenze funzionali e l’aspetto estetico è complessa. Ritengo però che sia arrivato il momento di guardare alle imbarcazioni nella loro completezza e nel loro intero ciclo di vita. C’è tanto da fare in questo senso, soprattutto nelle fasi di costruzione e dismissione.
Se però devo dire il mio sogno nel cassetto, da designer e architetto, è quello di aprire il filone di ricerca sull’ergonomia degli spazi di vita, concentrandomi maggiormente sul fattore umano a bordo. È un filone di ricerca che ha importanti implicazioni anche in ambiti diversi da quello nautico, perché riguarda il benessere delle persone su qualsiasi veicolo o luogo abitativo in movimento. La motion sickness, infatti, può impattare anche chi viaggia in treno o in macchina, oppure gli astronauti durante i viaggi spaziali. Iniziare questa riflessione dall’ambito nautico è forse più facile perché si tratta di un settore poco ampio e di lusso, che ha il vantaggio di avere ricerche industriali importanti.