Intervista a Edoardo Sabbioni, docente di Meccanica al Politecnico di Milano

Se la mattina sull’autobus vi capita di lamentarvi per il traffico, le frenate brusche o i tempi d’attesa infiniti ai semafori, il progetto TECHBUS potrebbe essere la risposta a molti di questi problemi. Ne abbiamo parlato con il professor Sabbioni del Politecnico di Milano, che ci ha raccontato come questo innovativo progetto, sviluppato in collaborazione con numerosi partner pubblici e privati, punti a rivoluzionare il trasporto urbano, rendendolo più sicuro, efficiente e sostenibile, attraverso l’utilizzo di veicoli elettrici intelligenti e connessi. Ecco cosa ci ha raccontato.
Professor Sabbioni, partiamo dalle origini. Com’è cominciato il suo percorso?
Mi sono laureato in ingegneria meccanica al Politecnico di Milano nel 2002. Ho svolto la tesi al Centro Ricerche Fiat, dove mi sono occupato di modelli termici dei freni e sistemi di controllo legati all’impianto frenante. Da lì ho proseguito con dottorato, assegni di ricerca, sono diventato ricercatore e oggi sono professore associato, sempre al Politecnico.
Una vita accademica tutta al Politecnico, insomma. Ma la passione per la meccanica c’era già da bambino?
Sì, da sempre sono appassionato di auto e moto. Volevo fare l’ingegnere sin da piccolo. Poi, al Politecnico, ho scoperto quanto la meccanica sia una disciplina trasversale, che tocca anche informatica, automazione, telecomunicazioni… tutte competenze sempre più interconnesse nei progetti di oggi.
Uno di questi progetti è TECHBUS. Di cosa si tratta?
TECHBUS è nato all’interno di un Joint Research Lab sulla mobilità autonoma, connessa ed elettrica, supportato dalla Fondazione Politecnico e mira a rendere il trasporto urbano più efficiente, sostenibile e sicuro. Ha coinvolto numerosi attori pubblici e privati – da ATM a Vodafone, che sono stati un po’ le colonne portanti del progetto, a Solaris, IBM, Brembo, ST Microelectronics, Camera di Commercio Lombardia e Generali Assicurazioni e il supporto del Comune di Milano che ci ha concesso di poter iniziare a fare alcune sperimentazioni.

Qual era l’obiettivo del progetto?
Non un solo obiettivo, ma ben quattro, innanzitutto aumentare la sicurezza stradale e l’efficienza del servizio di trasporto; poi aumentare il comfort dei passeggeri rendendo l’esperienza di viaggio più accogliente e confortevole per tutti i fruitori del servizio pubblico; quindi rendere la mobilità più sostenibile sia riducendo i consumi che studiando soluzioni innovative per l’elettrificazione dei mezzi.
Per fare questo, nella prima parte del progetto abbiamo strumentato e sensorizzato il veicolo così da aumentare la percezione dell’ambiente circostante il veicolo.
Questo ha consentito di avere a disposizione poi delle informazioni che possono essere comunicate al conducente.
Come?
Abbiamo lavorato su un filobus elettrico ATM della linea 90/91, dotandolo di sensori, lidar, radar, telecamere, GPS e sistemi di navigazione avanzati. L’idea è far “vedere” meglio il mezzo: rilevare ostacoli, conoscere l’ambiente circostante e comunicare con l’infrastruttura urbana, ad esempio i semafori.

Cos’è il LIDAR?
Se la telecamera garantisce la visione, il radar misura distanza, velocità e direzione dei diversi ostacoli, il LIDAR è in pratica un laser che spara dei raggi a 360° e ricostruisce una nuvola di punti che rappresenta tutto l’ambiente circostante al veicolo, un pedone, un ciclista o qualsiasi altro ostacolo che possiamo incontrare sulla strada. Una volta strumentato il veicolo abbiamo impostato una comunicazione tra il veicolo e l’infrastruttura.
Quindi come avete connesso il filobus?
Come caso studio abbiamo connesso il veicolo con una serie di una ventina di semafori lungo la tratta della 90 91, così che possono essere ricevute a bordo del veicolo le informazioni relative a questi 23 semafori sulle fasi semaforiche. Quindi semaforo rosso, semaforo verde.
Quanto tempo ho per il passaggio dalla fase di verde alla fase di rosso e viceversa.

Quali vantaggi porta questa connessione?
Ad esempio, sapere in anticipo quando un semaforo sta per diventare rosso permette al conducente di rallentare gradualmente, evitando frenate brusche. Questo aumenta la sicurezza, specialmente per i passeggeri in piedi. Inoltre se il semaforo è rosso e so che rimarrà rosso, posso mantenere le porte aperte alla fermata, così da permettere di salire anche ai ritardatari. Infine, ma non meno importante, siccome richiedo una minore accelerazione al veicolo, riduco il consumo.
Di quanto?
Nella sperimentazione che abbiamo fatta, al di fuori degli orari di punta e al di fuori degli orari di servizio del veicolo riuscendo a connettere il veicolo con la semaforica, si possono ridurre i consumi di circa il 20%-25%.
Sembra già molto concreto. A che punto siete?
Abbiamo completato una prima fase di sperimentazione all’interno della città che è andata sicuramente a buon fine, chiaramente rimangono diversi punti aperti, il primo è quello di testare i sistemi in un contesto di servizio, in mezzo al traffico. Ora il progetto è in pausa, anche perché il Comune di Milano è coinvolto in un nuovo Living Lab finanziato dal PNRR, dove sperimenteremo soluzioni simili in un contesto urbano reale.
Ci sono stati ostacoli durante i test?
La sfida principale è stata la quantità di informazioni da gestire per il conducente perché contemporaneamente deve guidare, stare attento ai veicoli, agli altri utenti della strada, quindi pedoni, ciclisti, monopattini, in più di stare attento ai passeggeri a bordo che spesso lo distraggono. In particolare per trasmettere informazioni all’autista abbiamo dovuto modificare la dashboard di bordo del veicolo per comunicare dati utili, come la velocità ottimale da tenere o il countdown del semaforo. Serve un addestramento adeguato per abituarsi.

E infatti pensate di usare simulatori per formare gli autisti, giusto?
Esatto. I simulatori del Politecnico possono aiutare a familiarizzare con questi nuovi strumenti in un ambiente controllato, prima di affrontare il traffico vero.

© Lab Immagine Design POLIMI
Secondo lei cosa ci aspetta nei prossimi anni?
Una mobilità sempre più connessa e automatizzata. Non solo per comodità, ma soprattutto per sicurezza: se veicoli, infrastrutture e utenti si scambiano informazioni in tempo reale, si riduce il rischio di incidenti. Penso in particolare ai ciclisti: oggi spesso non sono visibili da camion e autobus. Con i sensori e le telecamere intelligenti, quei “punti ciechi” scompaiono.
Sta lavorando anche su altri progetti?
Sì, oltre a proseguire su questi temi all’interno del Living Lab del Comune di Milano collaboro in progetti legati al Centro Nazionale per la Mobilità Sostenibile (MOST), con Pirelli sul modellazione e testing degli pneumatici, su progetti legati al settore ferroviario, ad esempio per migliorare la sicurezza in stazioni o in aree con cantieri sui binari.
Cosa consiglierebbe a un giovane indeciso se intraprendere ingegneria meccanica?
Di non farsi spaventare dal nome. La meccanica non è affatto una disciplina “vecchia”: è alla base di qualsiasi tecnologia in movimento, ed è in continua evoluzione. Dalla guida autonoma all’industria 4.0, ovunque c’è un oggetto in movimento, c’è dietro un ingegnere meccanico.
E quando non lavora, cosa le piace fare?
Viaggiare e camminare in montagna, trekking soprattutto. Un modo per staccare, respirare e ricaricarsi.
Video della sperimentazione di TECHBUS