Comunicazioni veloci e sicure grazie alla luce caotica

Immaginate un futuro dove i dati non viaggeranno più su fibra e si utilizzerà la luce in modalità wireless grazie a nuovi chip fotonici?

Lo sta già facendo Andrés Martínez, da sempre intrigato dalle potenzialità della luce. Attualmente è al secondo anno di dottorato in telecomunicazioni e fa ricerca con il Photonic Devices Group su circuiti integrati fotonici per applicazioni FSO, sistemi di comunicazione ottica e tecnologie non convenzionali per la trasmissione, il monitoraggio e il controllo dei segnali ottici.

In questa intervista ci ha parlato di chip e telecomunicazioni del futuro.

Andrés Martínez in laboratorio

Buongiorno Andrés. Tu lavori a PoliFAB, il centro di micro e nanofabbricazione del Politecnico, di cosa ti occupi esattamente?

Qui a PoliFAB sviluppiamo processi per fabbricare diversi tipi di dispositivi. In particolare, io faccio parte del gruppo di ottica integrata, dove sviluppiamo chip fotonici. Mi occupo sostanzialmente della progettazione, della caratterizzazione e del testing di questi chip. La fabbricazione, invece, è gestita dai tecnici all’interno di Polifab.

Cos’è un chip fotonico? Come funziona?

Lo possiamo pensare come un chip normale, simile a quelli che abbiamo nel nostro computer, nel nostro smartphone, nello smartwatch; ma mentre questi ultimi utilizzano segnali elettrici per elaborare informazioni, un chip fotonico utilizza la luce per effettuare calcoli.

Quali sono i vantaggi?

Il più peculiare è che niente può viaggiare più veloce della luce. Quindi se noi abbiamo un chip che elabora informazioni o che le trasmette usando la luce, non c’è niente di più veloce di quel chip. Questo è un grandissimo vantaggio.

Un altro è che questi chip non consumano energia. Sostanzialmente non si scaldano, a differenza dei dispositivi tradizionali che possono surriscaldarsi durante l’uso prolungato e smettono di funzionare. In un chip fotonico questo non accade perché la luce non dissipa energia.

Dal punto di vista del consumo energetico, i chip fotonici sono un’alternativa importante, proprio ora che c’è sensibilità per la sostenibilità.

Il chip fotonico può essere programmabile. In che senso?

Programmabile significa che possiamo far fare alla luce “quello che vogliamo”.

Sostanzialmente, all’ interno di questi chip ci sono delle “strade” della luce. Guidando la luce attraverso diversi percorsi riusciamo a scegliere quali operazioni vogliamo far compiere. Per esempio, posso configurare il chip per fare una somma o una divisione soltanto cambiando il percorso della luce al suo interno.

Rappresentazione artistica del chip ottico che riceve un fascio di luce deteriorato dalla turbolenza atmosferica e ne recupera l’integrità

Quali sono i vantaggi per l’utente finale?

L’utente finale vedrà un’unica interfaccia che potrà programmare come un computer.

Se questi chip non fossero programmabili, per ogni applicazione bisognerebbe averne uno. Questo non è molto pratico ed efficiente, perché si dovrebbe imparare a usare ogni singolo chip per ogni singola applicazione.

Se è programmabile, posso avere un chip universale per fare diverse attività attraverso una semplice interfaccia come con il nostro cellulare.

Il tuo gruppo di ricerca ha appena concluso un importante lavoro sulle telecomunicazioni sicure e veloci in ambienti atmosferici difficili. Cosa avete sviluppato?

L’idea è emersa dalla necessità di comunicare in luoghi dove la fibra ottica non può arrivare, come aree remote o per comunicazioni tra la Terra e i satelliti. Vogliamo sfruttare la luce per trasmettere senza cavi, proprio come facciamo con il cellulare.

Oggi tutti abbiamo a casa la fibra ottica che arriva e si collega al modem. Il prossimo passo è quello di trasmettere i dati in modalità wireless direttamente con la luce, senza bisogno della fibra.

È quello che chiamiamo free space optics: trasmettere la luce senza nessun mezzo trasmissivo oltre all’aria. Sostanzialmente quello che accade oggi con la trasmissione dati degli smartphone.

Quali sono le sfide legate a questa tecnologia?

Il chip realizzato

La luce è suscettibile ai cambiamenti atmosferici, come pioggia o polvere, alla contaminazione dell’atmosfera, ai cambi di temperatura, di pressione, all’umidità o al vento: tutto questo può compromettere la trasmissione.

Abbiamo perciò sviluppato un chip fotonico programmabile che può ricostruire l’informazione anche quando è distrutta dalla turbolenza atmosferica, tra la fase di emissione del segnale e quello della sua ricezione, in modo da ricavare tutta l’informazione.

Nel caso specifico, il segnale che abbiamo trasmesso è quello che chiamiamo segnale criptato con il caos.

Il nome è suggestivo. Puoi spiegarci di cosa si tratta?

La crittografia, in generale, significa “nascondere” un messaggio in qualche modo, così che, se una persona o un ente non destinatari del mio messaggio, riescono a ricavare il mio segnale, non possano ricavare l’informazione.

Il caos è una tecnica per nascondere il messaggio. Se immaginiamo di trasmettere un’immagine, quello che si fa è riordinare in modo aleatorio ogni pixel dell’immagine, in modo che, quando viene trasmessa, tra il mittente e il destinatario si rileverà solo un puzzle confuso. L’end user, invece, sarà in grado di riorganizzare tutti i pixel dell’immagine in modo da ricavare l’immagine originale.

Questo è, semplificandolo, il concetto del caos che applichiamo: chi è “a metà strada” vede soltanto rumore!

Quali sono i vantaggi di questo chip fotonico programmabile?

Il più immediato è la sicurezza nelle comunicazioni, fondamentale in ambito militare, per la trasmissione di dati sensibili e per tutto quello che abbiamo bisogno di trasmettere con un elevato grado di sicurezza.

Un secondo è certamente la possibilità di comunicazione in luoghi al mondo dove non è possibile arrivare con la fibra ottica per qualche motivo.

Con questi dispositivi potremmo in futuro far comunicare la Terra con i satelliti e i satelliti tra loro utilizzando la luce e non i segnali in radio frequenza.

Secondo te, in questo campo, qual è la prossima sfida da vincere?

Per il momento abbiamo sviluppato soltanto un ricevitore: abbiamo qualcosa che trasmette e noi usiamo il nostro chip per ricavare tutta l’informazione.

Il prossimo passo è avere anche un chip fotonico programmabile anche lato trasmettitore. In questo modo, posso avere due chip fotonici che comunicano tra di loro in modo veloce e sicuro anche in ambienti ostili, come quando c’è molta pioggia, neve o altri eventi atmosferici avversi.

Potrebbe esserci un impatto sulle nostre applicazioni quotidiane?

Siccome questi chip sono piccoli, possiamo pensare di integrarli sui dispositivi mobili. Possiamo iniziare anche a pensare che un giorno potremo avere la rete cellulare non più basata su segnali in radiofrequenza, ma su segnali ottici. Anche il wi-fi, ad esempio, potrebbe funzionare con la luce.

C’è comunque da dire che i segnali in radiofrequenza hanno certi vantaggi e i segnali ottici ne hanno altri. Utilizzandoli in modo integrato, potremmo avere una connessione ovunque per il 100% del tempo.

Cosa consiglieresti a studenti e studentesse che volessero seguire il tuo percorso in questo campo?

In questo momento il settore delle telecomunicazioni è un ambito in cui il mercato del lavoro è molto ricettivo. Le aziende cercano ingegneri delle telecomunicazioni, soprattutto sul lato hardware.

Infatti, noi del Photonic Devices Group sviluppiamo progetti di ricerca insieme alle aziende, italiane e da tutto il mondo, che sono orientati ad ottenere il prodotto finale.

Photonic Devices Group

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