Abbiamo incontrato Francesco Braghin del Dipartimento di Meccanica. È direttore del laboratorio interdipartimentale E⁴SPORT: sei dipartimenti del Politecnico al servizio di atleti e di persone con disabilità.
Parlare con lui ci ha fatto capire quanto è importante collaborare, ma anche quanto è fondamentale la passione che mettiamo nel nostro lavoro e quanta soddisfazione possa dare.
E⁴SPORT è attivo da quasi dieci anni nella ricerca in campo sportivo. Qual è l’idea alla base della sua creazione?
All’inizio, ognuno di noi ricercatori, separatamente, aveva già delle attività in corso in ambito sportivo.
Ad un certo punto ci siamo resi conto che le sfide e le richieste che ci venivano poste non potevano essere risolte con le sole competenze che ognuno di noi aveva. Per questo abbiamo iniziato a collaborare ben prima di lanciare ufficialmente il laboratorio interdipartimentale E⁴SPORT. Confrontandoci frequentemente e condividendo problemi che rientravano nelle nostre rispettive competenze, è nata l’idea di unirci. In breve, siamo diventati una squadra.
Quali sono le componenti di E⁴SPORT?
Del laboratorio fanno parte sei dipartimenti del nostro Ateneo. Marco Tarabini ed io veniamo dal Dipartimento di Meccanica, io sono il direttore attuale. Manuela Galli viene dal Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria; Stefano Mariani è del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale, Emanuele Lettieri del Dipartimento di Ingegneria Gestionale, Luca Andena e Tomaso Villa del Dipartimento di Chimica, Materiali, Ingegneria “Giulio Natta”; Giuseppe Andreoni del Dipartimento di Design.
Facciamo un passo indietro. Quali sono stati i primi passi nella costituzione di E⁴SPORT?
Il mio primo contatto è stato con Manuela Galli su un problema di biomeccanica. I bob vengono accelerati dagli atleti nel tratto iniziale della pista (fase iniziale di spinta), il segreto è trovare il momento giusto per saltarci dentro. Se si sbaglia l’attimo, o non si è riusciti ad accelerare al massimo il bob o si rischia di rallentarlo. E questo istante dipende dalle leve antropometriche dell’atleta. Quindi, come sempre nello sport professionistico, l’attrezzo (il bob) va progettato sull’atleta.
E come è andato a finire lo studio di questo bob?
Era un bob a due: ci siamo resi conto che da soli avremmo anche potuto progettare il bob migliore della terra, pensato come se fosse una vettura da Formula Uno, con la migliore dinamica e aerodinamica possibile. Però, alla fine, il bob vince se è partito bene. Se non arriva per primo molto probabilmente è perché è partito male, perché gli atleti hanno sbagliato la fase di spinta, perché sono saliti male, ecc.
Quindi bisogna curare anche come l’atleta riesce a saltare dentro il bob.
A questo punto avevamo preso piena coscienza che molti problemi non li avremmo potuti risolvere da soli. Da qui la volontà di sfruttare l’occasione dei laboratori interdipartimentali per mettere a sistema le nostre competenze.
Con quali obiettivi?
E⁴SPORT ha tre principali obiettivi.
Il primo è avvicinare il grande pubblico allo sport, perché l’attività sportiva sicuramente contribuisce ad arrivare sani a una certa età. Quindi gli eventi che facciamo servono anche a fare promozione e far capire l’importanza dello sport. Per il grande pubblico non c’è bisogno di tecnologia di frontiera, ma è fondamentale far capire che lo sport, malgrado la fatica, alla fine fa divertire, attiva le endorfine: fai fatica, arrivi stanco, ma contento.
Il secondo obiettivo?
È quello di avvicinare e di permettere di fare sport a ragazze e ragazzi con disabilità. Lo sport, che dovrebbe aiutare a socializzare, come nei giochi di squadra, diventa invece una barriera per queste ragazze e questi ragazzi che hanno, ad esempio, difficoltà motorie. In quei momenti si sentono esclusi: lo sport, in questo caso, invece di avvicinare, allontana. Proprio l’opposto dello spirito sportivo. E per farli partecipare sono necessari ausili specifici per quella ragazza e quel ragazzo. Percepire l’idea “mi muovo come tutti gli altri” è fondamentale.
L’ultimo obiettivo…
È lo sport agonistico. Siccome la prestazione è portata all’estremo, è importante che l’atleta “vesta” l’attrezzatura. E sappiamo benissimo che una persona si trova bene con quelle specifiche scarpe, quegli sci, quei pattini, quel caschetto, quella tuta.
Quindi anche per lo sport agonistico è importante personalizzare le attrezzature per la prestazione; o, parlando ancora di disabilità, per l’integrazione e l’inclusione. Quindi dobbiamo studiare l’attrezzo sportivo e come questo interagisce con il movimento dell’atleta, in modo tale che sia specifico, che porti alle prestazioni volute, o anche migliori. Non c’è solo la forma, non c’è solo il materiale, non c’è solo il movimento, ma tutti questi collaborano a portare al risultato, che in un caso è l’inclusione e nell’altro è la prestazione.
Per questo ci siamo trovati: lavoriamo insieme, mettiamo a sistema le nostre strumentazioni, perché altrimenti non riusciremmo a colmare quel gap che porta all’inclusione e/o alla vittoria.
Come si è evoluta la collaborazione tra di voi? Si può fare un bilancio?
In pratica, ci siamo trovati tra amici. Forse è anche lo spirito sportivo che ci unisce e che ci fa sentire più amici che non colleghi, o non solo colleghi. Oggi, se abbiamo problemi di qualsiasi natura, conoscendoci, sappiamo quali sono le competenze reciproche, chi chiamare.
Mi fa qualche esempio?
Tramite Fondazione Politecnico siamo stati contattati da un’altra azienda che fa sottofondi per i campi da calcetto. Li abbiamo aiutati a progettare un sottofondo con prestazioni migliori rispetto a quelli della concorrenza. Alla fine ci siamo scontrati con un problema di materiali. Ho quindi sentito Luca Andena (lo sento per qualsiasi problema relativo ai materiali, ormai è il mio riferimento).
Così come Stefano Mariani è il mio riferimento per tutta la parte di simulazione. Per il gesto atletico, il movimento, chi sento? Manuela! E così via.
Insomma, come dicevo prima il nostro rapporto è diventato un’amicizia a trecentosessanta gradi.
È sempre l’occasione per sentirci e dirci: “Tu che conosci meglio il problema specifico, mi dai una dritta?”.
Quali competenze trasversali hanno avuto più successo nel mondo produttivo? Con quali progetti?
Certamente il caschetto studiato all’interno del progetto “Safer helmets” di Stefano Mariani. Anche questo progetto ha diversi obiettivi.
Il primo è incrementare la consapevolezza delle persone, specialmente dei giovani, relativamente ai rischi legati ad alcuni sport di velocità.
Poi vogliamo sviluppare un sistema di monitoraggio incluso nel casco, che possa supportare i soccorsi in caso di cadute o impatti.
Ci siamo concentrati sul ciclismo e lo sci alpino per le similitudini tra questi due sport in termini di velocità, esposizione ai rischi dovuti a cadute e costruzione dei caschi protettivi. Abbiamo preso in considerazione le correlazioni tra i diversi punti di impatto a livello cranico e le ricadute in termini di concussioni.
È stato quindi costruito e testato in laboratorio un prototipo di caschetto strumentato con micro-sensori distribuiti in modo da percepire impatti nelle posizioni più probabili secondo ricerche mediche. Sono stati utilizzati dispositivi di tipo MEMS (Micro-Electro-Mechanical Systems) per la loro leggerezza e limitata invasività, per evitare così possibili riduzioni dell’effetto protettivo garantito dal casco.
In collaborazione con una importante industria lombarda produttrice di caschi, è stato poi sviluppato un modello costitutivo per la schiuma polimerica utilizzata come strato interno dei caschi. È stato quindi implementato un modello in grado di cogliere gli effetti combinati di impatto e geometria del casco, creando una sorta di gemello digitale del casco stesso, che è stato validato e calibrato tramite test di laboratorio.
Un altro esempio di collaborazione a tema sportivo?
Un altro esempio è il progetto di Luca Andena, che collabora da oltre 8 anni con Mondo S.p.A., leader nella produzione di superfici sportive, per sviluppare piste di atletica all’avanguardia.
La collaborazione si è concentrata sull’uso della simulazione, per combinare la progettazione tradizionale basata su prototipi con la modellazione virtuale.
La struttura di una pista di atletica prefabbricata è complessa: bisogna scegliere il materiale accuratamente e individuare il miglior compromesso, cioè accumulare sufficiente energia per prevenire gli infortuni degli atleti e ridurne lo sforzo sulle articolazioni, ma anche accompagnare il gesto atletico in modo che l’energia venga restituita all’atleta in un modo e in un tempo ideali per un’esecuzione ottimale del suo gesto.
Quali sono stati i risultati pratici?
Lo studio ha portato alla selezione di un alveolo ellittico utilizzato per la pista dello Stade de France e alla definizione di un nuovo modello di pista: Mondotrack™Ellipse Impulse.
Il nuovo design del sottofondo permette alla pista di rispondere in modo fluido e dinamico ad ogni passo, balzo o lancio, migliorando significativamente l’assorbimento e la restituzione dell’energia impressa dall’atleta sulla pista di atletica.
E al di là del successo industriale, qual è il progetto che vi ha dato maggiori soddisfazioni?
Beh, dopo il bob, mi sono appassionato di sport invernali. Ho seguito progetti per sci, slittino, skeleton, ecc.
Ricordo quando abbiamo fatto testare ad Armin Zoeggeler, oramai a fine carriera (stiamo parlando di qualche anno dopo Cesana) dei pattini in titanio. Dalle nostre analisi la conducibilità termica del titanio era ideale per minimizzare l’attrito tra pattino e ghiaccio. Ed in effetti fece un tempo incredibile. Purtroppo però il materiale dei pattini è imposto dalla Federazione e quindi i pattini in titanio erano completamente fuori regolamento.
Quali i risultati?
Adesso vado a memoria, perché era un po’ di anni fa… I tempi di discesa di Armin sulla pista di Cesana erano di 51-52 secondi. Con quei pattini fuori regolamento avevamo ridotto il tempo di discesa di oltre un secondo. Tenendo conto che si vince o si perde per centesimi di secondo (i primi tre posti in classifica tipicamente sono tutti all’interno di un secondo) è una cosa mostruosa…
È stata una grandissima soddisfazione. Voleva dire che il modello ci aveva preso, avevamo capito il meccanismo che genera l’attrito tra pattino e ghiaccio.
Poi c’è stato anche lo skeleton, giusto?
Si. Basandoci su indicazioni di Maurizio Oioli abbiamo riprogettato la slitta che gli facilitasse certi movimenti (sostanzialmente una maggiore torsione della slitta). E con quella slitta Maurizio fa il suo miglior piazzamento di carriera in coppa del mondo: 9º a Lake Placid (USA). Sono soddisfazioni!
Per concludere, vuole darci un messaggio che riassuma il suo lavoro in E⁴SPORT?
Secondo me occuparsi di tecnologie per lo sport è il bello della ricerca, la fai per passione, per i colori della tua nazione, lo fai per l’entusiasmo che leggi in queste persone, che dovrebbe essere anche il nostro entusiasmo.