5A, la tecnologia al servizio del sociale

Quando pensiamo alla realtà aumentata e alla realtà virtuale spesso ci vengono in mente situazioni legate al mondo dell’intrattenimento o della formazione specializzata. Queste tecnologie, grazie alla diffusione sempre più capillare di visori e smartphone, stanno prendendo piede anche in ambiti differenti, ad esempio per la fruizione virtuale dei beni culturali. Non solo, sono sempre più i progetti che stanno studiando come queste innovazioni digitali possano essere utilizzate anche nel sociale e nella vita quotidiana.

Uno di questi progetti è 5A- Autonomie per l’Autismo Attraverso realtà virtuale, realtà Aumentata e Agenti conversazionali, realizzato dall’I3lab (Innovative Interactive Interfaces Laboratory), un laboratorio del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano, in collaborazione con due prestigiosi istituti di assistenza e cura – la Fondazione Sacra Famiglia Onlus e l’Associazione La Nostra Famiglia- e con il contributo finanziario di Fondazione TIM.

La ricerca prevede l’utilizzo di applicazioni interattive innovative basate su smartphone e visori indossabili, che integrano Realtà Virtuale Immersiva, Realtà aumentata e Agenti Conversazionali. Scopo del progetto è quello di rafforzare l’autonomia delle persone (soprattutto adolescenti) con disturbi dello Spettro Autistico per favorirne l’autonomia e l’inserimento sociale, e migliorarne la qualità di vita.

Il team dell’I3lab (Innovative Interactive Interfaces Laboratory) del Politecnico di Milano e gli esperti della Fondazione Sacra Famiglia Onlus e dell’Associazione La Nostra Famiglia.

«Il progetto si svolge nel contesto di un bando di Fondazione TIM ma nel nostro laboratorio avevamo già esplorato questa strada attraverso tesi di laurea magistrale e dottorato e ricerche varie – spiega la professoressa Franca Garzotto, docente di Sistemi di Elaborazione delle Informazioni e Responsabile Scientifica di 5A – infatti conoscevamo i due partner, la Fondazione Sacra Famiglia e l’Associazione La Nostra Famiglia, perché in passato avevamo lavorato con loro in altri contesti.

5A è un progetto nato veramente insieme a questi due partner terapeutici, e una delle idee di fondo di questo progetto è nata proprio da loro: affrontare attraverso la tecnologia il tema della rigidità cognitiva, mitigando le difficoltà di generalizzazione delle persone con autismo, e aiutando i soggetti a sviluppare capacità di concettualizzazione.  

Dato che il tema del bando era lo sviluppo dell’autonomia per l’autismo, abbiamo pensato all’autonomia come capacità di essere   indipendenti nelle task fondamentali della vita quotidiana, e abbiamo concentrato il nostro sforzo sulla mobilità negli spazi cittadini: la metropolitana, il treno, il supermercato, il museo, la biblioteca, l’ospedale, etc.  

In ricerche precedenti la realtà virtuale era già stata usata per supportare il training di persone con difficoltà nella sfera cognitiva; ma il problema di fondo è che la persona nel mondo reale non ritrova esattamente la scena con cui aveva fatto esperienza nel mondo virtuale, e quindi si disorienta appunto perché non riesce a generalizzare quello che ha imparato attraverso la tecnologia. Come provare a superare questo limite? Abbiamo pensato che dopo l’esperienza in realtà virtuale, in cui la persona sperimenta una simulazione di alcuni task, quando si trova nel mondo reale ha bisogno di qualcosa che la agganci all’esperienza virtuale precedente per essere stimolato ad applicare le competenze acquisite e capire come farlo.  Ecco l’idea di coordinare la realtà aumentata con la realtà virtuale attraverso gli elementi transmediali: questi elementi sono comuni alla realtà virtuale e alla realtà aumentata, dove questa ultima è usata per aiutare il soggetto quanto si trova nel mondo reale: qui il ragazzo attraverso il suo smartphone può vedere, sovrimposti alla visione del mondo circostante, alcuni elementi visivi dello scenario simulato nella realtà virtuale, e soprattutto ritrova il suo “compagno virtuale”, un simpatico agente conversazionale dalla forma buffa che non dà banalmente istruzioni ma è interattivo, parla, e aiuta a ricordare e generalizzare. Questo è quanto ci hanno suggerito chiaramente i terapisti, e abbiamo cercato di realizzare al meglio possibile, pur riconoscendo il limite di non poter mappare nella realtà virtuale esattamente tutte le situazioni del mondo reale».

Ci sarà anche una raccolta dei dati di utilizzo per affinare la tecnologia? 

«Inizieremo a raccogliere i dati a breve quando cominceremo la sperimentazione sul campo presso i due centri la Fondazione Sacra Famiglia Onlus, con sede a Cesano Boscone (MI) e l’Associazione La Nostra Famiglia- IRCCS Medea di Bosisio Parini (LC). Coinvolgeremo un gruppo di terapisti e almeno 60 adolescenti con autismo che loro recluteranno.  Raccoglieremo i dati sia in modo automatico (registrando su cloud tutte le interazioni degli utenti sia nella realtà virtuale che aumentata) sia attraverso osservazioni, questionari, e focus groups.

L’analisi dei dati sarà perciò sia qualitativa che quantitativa. Avremo informazioni sull’usabilità, sulla soddisfazione, e speriamo anche sull’efficacia dei nostri strumenti rispetto all’ apprendimento e alla capacità di autonomia, misurando vari aspetti prima e dopo il training in realtà virtuale e prima e dopo l’esperienza in realtà aumentata

La valutazione empirica nel campo dell’autismo è sempre difficilissima, perché ogni soggetto è profondamente diverso dall’altro, anche quando ha lo stesso profilo clinico. Dalla nostra c’è il fatto che a queste persone piace moltissimo la tecnologia interattiva: è percepita come qualcosa di ludico, non è emotiva, non si stanca quando tu la stressi, non perde la pazienza, è prevedibile.  E poi gli adolescenti sono comunque dei nativi digitali, e per loro usare il computer o il telefono è qualcosa di molto naturale».  

I terapisti vi hanno aiutato anche nella progettazione?

«Abbiamo fatto vero co-design con i terapisti, attraverso 4 workshops in cui sei terapisti ci hanno aiutato progettare sia la realtà virtuale che la realtà aumentata, in modo spesso creativo, ad esempio utilizzando dei fogli trasparenti su foto reali della città, per capire quali elementi dovevano essere messi in sovrimpressione. Ci hanno anche aiutato nella parte conversazionale, dandoci indicazioni molto interessanti e azzeccate su come creare dialoghi appropriati per le persone con autismo, sia in termini di flusso e formulazione delle frasi da parte dell’agente conversazionale, sia in termini di interpretazione della produzione linguistica di questi soggetti. Siamo davvero stati molto seguiti dai terapisti in tutti questi processi».

Qual è il prodotto finale che desiderate implementare con 5A?

«L’obiettivo finale è arrivare a un’applicazione in realtà virtuale integrata con un’applicazione in realtà aumentata che permetta alle persone di essere il più possibile autonomi nei tipici contesti di mobilità cittadina, e sperabilmente, in futuro, in altri contesti di vita quotidiana.  Un processo di apprendimento e aiuto che parte da un training nel mondo virtuale, da svolgere a casa, a scuola, o presso un centro terapeutico, a un supporto digitale contestualizzato nello spazio e nel tempo, attraverso la realtà aumentata che permette di aiutare il soggetto in uno specifico momento e luogo.     

Questa tecnologia pensate di sfruttarla solo in ambito terapeutico o farla diventare di massa?

«Al momento in realtà si tratta di app progettate non nate con scopi terapeutici, ma riteniamo che potrebbero essere adottate come ausilio durante interventi terapeutici più classici per l’autismo. Ci piacerebbe sviluppare una tecnologia di massa che chiunque possa adottare. Questo tecnicamente è possibile: alla fine sia per la realtà virtuale che per la realtà aumentata si tratta di app facilmente scaricabili ed utilizzabili su smartphone di livello medio, che renderemo disponibili liberamente a chiunque le voglia usare. Tuttavia gli scenari che riusciremo a sviluppare durante questi due anni di progetto sono limitati: progettare e implementare uno scenario è davvero molto complesso e faticoso, soprattutto perché’ ogni singolo aspetto deve essere non solo funzionante ma assolutamente perfetto in termini di interfaccia ed interazione, ed adeguato alle persone con autismo. Inoltre, la tecnologia è in continua evoluzione e occorre gestire i continui aggiornamenti del software. Quindi c’è un problema di sostenibilità legato alla necessità di aumentare il numero degli scenari e mantenere in vita le applicazioni, e dobbiamo trovare un modo per finanziare la estensione e la manutenzione tecnica delle app nel medio-lungo termine.  Ci stiamo già muovendo per trovare una soluzione operativa già per l’anno prossimo, quando finirà il progetto. Speriamo bene!».

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