Tecnologia, Inclusione e Futuro: conversazione con Darya Majidi

Darya Majidi è imprenditrice, esperta di innovazione digitale e inclusione di genere. Fondatrice di Daxo Group e autrice di libri sull’empowerment digitale femminile (Donne 4.0 e Sorellanza Digitale), è membro del comitato scientifico del progetto Human Tech del Politecnico di Milano.

In occasione del Festival Interazionale dell’Ingegneria 2025, l’abbiamo intervistata per Frontiere al termine del dibattito “Donne e Intelligenza Artificiale: dalla minaccia all’opportunità”.

Darya Majidi
Ritratto cortesemente fornito da Darya Majidi

Ci incontriamo qui al Festival Internazionale dell’Ingegneria del Politecnico di Milano, quindi partirei con il chiederti qualcosa sulla tua collaborazione con la nostra università.

Ho il grande piacere e onore di far parte del comitato scientifico di Human Tech, che è un progetto del Dipartimento di Eccellenza, incentrato sulla collaborazione uomo macchina. Quindi con Raffaella [Cagliano, Direttrice del Dipartimento di Ingegneria Gestionale] collaboriamo ormai da tre anni, e ne sono molto felice e orgogliosa.

Approfittiamo allora della presenza della professoressa Cagliano per capire meglio che cos’è Human Tech.

R.C.: L’obiettivo del progetto è quello di ripensare il modo con cui le tecnologie vengono sviluppate e poi adottate nei processi produttivi, nelle catene del valore e nell’organizzazione del lavoro, in modo da tenere la persona al centro. Quindi far sì che le tecnologie siano positive per la società e per il benessere delle persone.

È un grande progetto quadro – iniziato nel 2023 e che durerà cinque anni – volto a creare diversi stream di ricerca su questo tema.

Darya, proprio sul tema di tenere la persona al centro, avete parlato di AI in qualche modo pericolosa per le donne. Questo riguarda solamente il tema dei bias o ci sono pericoli anche più nascosti?

Uno dei pericoli è che lavorando sui dati storici, noi andiamo a propagare, ad amplificare dei bias, degli stereotipi del passato. Frasi come “Donna al volante, pericolo costante” andranno a sporcare la conoscenza.

Un altro pericolo è il fatto che, non coinvolgendo le donne nella creazione di questi sistemi, noi non includiamo il 50% della conoscenza e la prospettiva femminile, che è differente.

Pensiamo ad esempio alla medicina femminile, alla medicina di genere. Il coinvolgimento delle donne fa sì che possiamo conoscere meglio i sintomi; l’uomo, semplicemente, non può sapere tutto, ha una prospettiva di genere. Quindi, non coinvolgendo la conoscenza delle donne, di fatto rischiamo di creare dei sistemi incompleti.

Il terzo problema è il fatto che le donne, non studiando queste materie, si precludono di entrare nel mercato del lavoro e nei ruoli apicali di questi sistemi.

Un problema che ci portiamo avanti da sempre…

I dati più recenti ci dicono che le donne si diplomano meglio e escono con voti di diploma e voti di laura migliori. Però poi, selezionando spesso percorsi accademici disciplinarmente lontani, non hanno poi la possibilità di lavorare in questi settori.

L’ultima cosa da notare è che spesso i lavori tipicamente femminili, quali call center, customer service, commesse, data entry, sono tutti lavori che nel prossimo futuro potremo velocemente sostituire con l’ai generativa. Anzi, sta già accadendo.

Momenti dal talk "Donne e Intelligenza Artificiale: dalla minaccia all'opportunità"
Momento dal talk “Donne e Intelligenza Artificiale: dalla minaccia all’opportunità” al Festival Internazionale dell’Ingegneria 2025 ©

Pensi che i dati siano intrinsecamente affetti da bias? E sarà mai possibile separarli?

Il dato rappresenta uno specchio del linguaggio, quindi è già intriso di bias.

Un esempio su tutti: se noi chiediamo al traduttore di un famoso motore di ricerca la traduzione in italiano della frase “The doctor was an expert”, il sistema automaticamente restituisce “Il dottore (maschio) era un esperto”. Se noi invece inseriamo “The nurse was an expert”, automaticamente traduce in “infermiera”. Quindi si tratta di una tradizione con bias di genere addirittura intrinseca.

Ne parlavo già nel mio TedX del 2018, allora era un semplice alert. Ora abbiamo fatto molta esperienza e possiamo chiederci se possiamo utilizzare l’AI per ripulire queste traduzioni. Cioè, io Conoscendo i bias, i sistemi possono concepire filtri che vadano proprio a ripulire i dati; quindi, paradossalmente, può essere una nostra ottima alleata.

Parli spesso di tecnologia come strumento per l’empowerment delle donne. Possiamo ritenere il digitale oggi alfabetizzazione di base per le persone? A parer tuo andrebbe insegnato a scuola fin da piccoli?

Sì, il digitale è sicuramente uno strumento di empowerment.

Pensiamo al fenomeno del #metoo: perché è diventato mondiale? Perché le donne, diffondendo quell’hashtag, hanno usato Internet per fare una denuncia sociale. Se noi sappiamo cosa succede ogni istante nel mondo, in Afghanistan o in Iran, è perché le ragazze, le donne, lì possono avere voce attraverso le tecnologie. Per questo le tecnologie sono strumenti di potere.

Il problema qual è? Che se noi usiamo questi sistemi consapevolmente diventano un vero alleato. Ma in questo momento storico, il 90% delle AI che noi usiamo qui da noi è fatto o nella Silicon Valley o in Cina. Non include tutta la storia, la cultura europea, piuttosto che greca o persiana. È come se la storia fosse resettata e quindi dobbiamo stare attenti che questi modelli linguistici di grandi dimensioni (Large Language Models) tengano in conto tutte le diversità e sfaccettature.

Tu dici che fare impresa è importante per l’empowerment delle donne. La mia curiosità è se potrebbe in qualche modo essere basato su una visione maschilista della società associare il successo personale al guadagno economico.

Capisco cosa intendi. Ma un conto è voler diventare miliardaria per questioni di mero profitto. Un conto è avere la propria autonomia economica.

In questo momento, in Italia, il 47% delle donne non lavora, non ha un’autonomia economica. Vuol dire che anche per comprarsi il pane devono chiedere una autorizzazione a qualcuno. Nelle generazioni precedenti questa dipendenza economica era contestualizzata in un sistema sociale che garantiva un sostegno alla donna. Ora, con le separazioni, i divorzi, le donne sole e senza lavoro rappresentano purtroppo una nuova povertà. E nemmeno per quelle che lavorano è tutto facile: le donne con un impiego nei settori tecnologici hanno una differenza di paga che arriva fino al 25%.

C’è un cambio culturale che noi dobbiamo mettere in atto. A breve verranno emanate direttive europee che correggeranno che dovrebbero fare in modo che a parità di mansioni, le donne abbiano lo stesso stipendio. Abbiamo la consapevolezza che una donna che non lavora è anche più soggetta anche alla violenza.

E non si tratta di un discorso di capitalismo, è un discorso di trovare il miglior equilibrio nell’attività lavorativa.

Darya Majidi
Ritratto cortesemente fornito da Darya Majidi

Mi fai qualche esempio di come la tecnologia possa migliorare questo equilibrio?

Certo. In varie parti del mondo stanno nascendo esperienze interessanti, dalla generazione della cosiddetta gig economy. Si tratta di professionalità basate su attività consulenziali. Immagina se noi donne ci impossessassimo di queste competenze. Per esigenze spesso familiari di cura dobbiamo stare a casa, però se capissimo come usare internet per creare un flusso di ricavo alternativo, avremmo uno strumento potente di conciliazione vita-lavoro. È questo che va insegnato alle donne: il lavoro “dalle 9 alle 5” sta sparendo nel mondo perché i giovani vogliono maggiore flessibilità. Gli strumenti come il part-time saranno sempre più una realtà.

La competitività però è globale: dall’altra parte del mondo può esserci un altro lavoratore o lavoratrice che fa quel lavoro per una paga molto minore. Per questo le competenze varranno davvero.

C’è ad esempio una piattaforma di servizi freelance, dove le persone, in maggior parte giovani, offrono le loro capacità per un compenso da lui determinato. Per esempio, per fare un sito c’è chi chiede 15 euro e chi 2.000.

Non è un discorso al ribasso, perché puoi vedere cosa ciascuno offre a quel costo valorizzando le proprie competenze. Paradossalmente queste piattaforme danno voce agli artisti, ai content creator, a chi ad esempio crea una canzone o un jingle, piuttosto che a chi fa video con le AI.

Penso che quello sia un aspetto del lavoro imprenditoriale che i giovani italiani ancora non hanno scoperto, e che invece sarà uno degli sbocchi professionali più interessanti nel futuro.

La violenza digitale è ormai pervasiva; è quasi considerata un effetto collaterale dei social. Hai qualche idea su possibili soluzioni alla violenza digitale o dobbiamo considerarla una battaglia persa?

Sono convinta che la soluzione sia la consapevolezza.

Io penso che di quei 700.000 individui che sono stati beccati su quella famigerata piattaforma di scambio foto di donne ignare, la stragrande maggioranza non sapeva di compiere un reato. Molte persone credono che perché è digitale, non è reale, e quindi non è un reato. Questi individui, andrebbero mai in giro con una foto del genere della propria moglie?

E poi voglio fare un appello agli uomini: siate portatori di una nuova mascolinità, di una nuova figura maschile, che sia protettivo. Non basta “Non partecipate a quello”, ma se lo vedete, bisogna che denunciate. Se sentite una battuta sessista fra uomini, non consideratela goliardia. Per noi donne è offensivo da sempre, solo che ora ci siamo date voce e abbiamo iniziato a dire: “Guardate che non va bene”. Vorremmo che fossero gli altri uomini a dire basta, che quello non va bene.

Momenti dal talk "Donne e Intelligenza Artificiale: dalla minaccia all'opportunità"
Momento dal talk “Donne e Intelligenza Artificiale: dalla minaccia all’opportunità”

Posso chiederti com’è nata questa sua passione per la tecnologia e il digitale in tempi non ancora “sospetti”?

Io ho fatto le elementari e una parte delle medie in Iran, dove la preparazione matematica è molto più avanzata. Quando sono arrivata qui, sono entrata in seconda media, ma uscivo nelle ore di matematica perché in quella materia ero molto avanti rispetto alla classe. Studiavo l’Eneide, in quelle ore. Questa buona preparazione me la sono ritrovata poi al liceo, dove presi la maturità con 60 – il vecchio 60!

Quando sono arrivata alla scelta dell’università, mi ricordo che volevo sicuramente studiare una materia tecnologica, magari matematica o fisica. Poi ho scoperto Dipartimento di Scienze dell’Informazione a Pisa. Venendo a conoscenza che avevo questa scuola d’eccellenza a poca distanza da me, mi sono iscritta.

La tua famiglia ti ha supportato? Ti hanno detto “Vai e spacca”, come dici tu alle donne che incontri?

A quanto mi ricordo, mio papà mi ha chiesto: “Ma esattamente cosa studi?”. Non era ingegneria, faceva parte della Facoltà di matematica e fisica.

Non esistendo ancora il web, non c’era niente da far vedere, a parte le schede perforate. Anche spiegare esattamente cosa studiassi, per me non era facile. Tant’è che poi, quando a mia figlia a scuola chiedevano: “Ma la tua mamma cosa fa?”, lei non sapeva come dirlo. C’erano genitori che erano medici, c’erano ingegneri. Allora diceva: “La mia mamma è dottore dei numeri!”. È un modo di descrivere quello che faccio che nella mia famiglia è rimasto famoso.

Dopo la mia scelta, mio papà mi ha sempre incitata, mi ha sempre detto che “Sei una campionessa!”. Tant’è che io ho questa sua frase tatuata in persiano, lingua dove non c’è il femminile e il maschile. Ed è la frase che anch’io dico sempre a mia figlia.


La conversazione con Darya Majidi ci ricorda che la tecnologia non è neutrale: riflette i valori e le scelte di chi la progetta. Per questo è fondamentale che le donne siano protagoniste, non solo utilizzatrici, nel mondo digitale e dell’AI. Inclusione, consapevolezza e formazione sono le chiavi per trasformare i rischi in opportunità e costruire un futuro in cui innovazione e equità procedano insieme. Il messaggio finale è chiaro: “Vai, vola e spacca”, perché il cambiamento parte da ciascuno di noi.

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