Prevenzione e dati: il futuro della salute attraverso l’analisi geospaziale

Cosa succede quando il caldo estremo mette a rischio la salute dei cittadini? E come possiamo usare i dati per prevenire le emergenze sanitarie? A queste domande risponde uno studio condotto dal D-Hygea Lab del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano, che ha analizzato l’impatto delle ondate di calore sul rischio di emergenze cardiovascolari nei quartieri della città. Il risultato è una mappa precisa delle aree più vulnerabili, elaborata grazie all’uso dell’intelligenza artificiale e all’analisi di oltre 64.000 interventi medici registrati tra il 2017 e il 2022. Lo studio ha identificato 18 quartieri ad alta vulnerabilità, dove il rischio aumenta del 22% durante le giornate di caldo estremo, rispetto a un rischio nullo nei 20 quartieri più resilienti.

Tra i fattori che contribuiscono alla vulnerabilità ci sono l’assenza di spazi verdi e fontanelle pubbliche, ma anche variabili demografiche come l’età avanzata della popolazione residente. Al contrario, una maggiore presenza di aree naturali aiuta a mitigare gli effetti negativi del calore, evidenziando l’importanza di una pianificazione urbana attenta.

Tra gli autori di questa ricerca c’è Lorenzo Gianquintieri, un ricercatore che ha trasformato la sua passione per la bioingegneria e l’analisi dati in strumenti concreti per migliorare la salute pubblica. In questa intervista, Lorenzo ci racconta come il suo lavoro stia aprendo nuove prospettive nella prevenzione e nella gestione delle emergenze sanitarie, non solo a Milano ma potenzialmente in tutto il mondo.

Com’è nato il filone di ricerca sul rapporto tra rischio cardiovascolare e ondate di calore?

«Un primo passaggio è stato metodologico e risale alla mia tesi magistrale, in cui ho applicato tecniche di geomatica, ossia analisi di dati georeferenziati e spaziali, a un problema di salute pubblica: abbiamo lavorato sul posizionamento ottimale dei defibrillatori esterni a Milano, in collaborazione con l’Agenzia Regionale Emergenza Urgenza (AREU), il gestore del servizio ambulanze per Regione Lombardia, con cui ancora oggi lavoriamo in stretto contatto.

Successivamente, grazie a una borsa di ricerca interdipartimentale con il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale, durante il mio dottorato (iniziato nel 2018), abbiamo approfondito l’analisi dei dati legati agli interventi di emergenza medica extraospedaliera. Durante i lockdown del 2020-2021, abbiamo sviluppato modelli predittivi a breve termine per supportare Regione Lombardia con bollettini settimanali. Questo studio ci ha portati a indagare il legame tra inquinamento e diffusione del COVID-19. Grazie ad un diverso approccio metodologico, abbiamo scoperto una correlazione con l’ammoniaca, un inquinante poco considerato, piuttosto che con il particolato, ribaltando ipotesi diffuse all’epoca.

Queste intuizioni hanno evidenziato l’importanza di un’analisi geospaziale, trattando l’intero territorio come un organismo unico e ampliando la prospettiva dalla fisiologia individuale a una visione ecologica e sistemica. Con questo approccio, abbiamo reclutato studenti PhD e sviluppato il lavoro sulle ondate di calore.»

Quali sono i principali risultati della vostra ricerca sulle ondate di calore e quali le implicazioni per la salute pubblica?

«L’elemento fondamentale è la metodologia: non ci limitiamo a studiare il singolo cittadino sano o patologico, ma analizziamo lo stato di salute di un’intera popolazione, come uno spettro continuo. Adottiamo un approccio di tipo ‘One Health’, considerando anche l’ambiente e la popolazione animale come parte di un unico ecosistema.

Questo ci permette di fornire indicazioni evidence-based ai decisori politici, per ottimizzare gli interventi sia in termini di efficacia che di costi, ma, soprattutto, in ottica preventiva. Per esempio, abbiamo identificato la percentuale di territorio naturale come il fattore più determinante nel mitigare gli effetti del calore e dell’inquinamento. Tuttavia, in ambito urbano, la pianificazione richiede un equilibrio tra densità abitativa, che favorisce i servizi al cittadino, e presenza di aree verdi.»

Nella vostra ricerca, avete notato correlazioni controintuitive, come quella tra il livello d’istruzione e il rischio cardiovascolare?

«Sì, abbiamo osservato che i quartieri con una maggiore percentuale di laureati presentano una vulnerabilità più alta durante le ondate di calore. Una possibile spiegazione è che queste persone vivano più vicine ai centri urbani, dove l’effetto del calore è maggiore. Inoltre, l’accesso ai servizi di emergenza potrebbe essere più frequente in questa popolazione, riflettendo una maggiore consapevolezza medica. Questo dimostra che anche una corretta interpretazione dei risultati è fondamentale.»

Mappa dei distretti analizzati: sono stati identificati 18 NIL (Nuclei di Identità Locale – divisioni amministrative riconosciute dal Comune di Milano) altamente vulnerabili al calore in contesto cardiovascolare e 20 NIL a bassa vulnerabilità. Tra i NIL ad alta vulnerabilità e alto numero di residenti ci sono quelli di Buenos Aires – Porta Venezia- Porta Manforte, Loreto Casoretto Nolo, via Padova – Turro- Crescenzago e Quartiere Gallaratese – Quartiere San Leonardo – Lampugnano. I distretti invece con molti residenti e bassa vulnerabilità sono Gorla Precotto, Villapizzone, Porta Magenta, Chiesa Rossa. Milano inoltre è stata suddivisa in tre cluster socio-urbanistici: Centrale, Residenziale e Periferico. In questi cluster, cinque variabili chiave – temperatura superficiale, densità di fontanelle, percentuali di anziani, donne e laureati – hanno un impatto significativo sulla vulnerabilità cardiovascolare durante il caldo. Per quanto riguarda i NIL altamente vulnerabili, oltre 210.000 residenti (66% dei residenti totali nei NIL ad alta vulnerabilità) sono concentrati nel cluster Centrale, mentre nei NIL a bassa vulnerabilità quasi 200.000 residenti (70% della popolazione dei NIL meno vulnerabili) risiedono nella parte Residenziale della città.

Quale ruolo gioca l’intelligenza artificiale nel vostro studio?

«L’intelligenza artificiale è uno strumento essenziale per analizzare grandi moli di dati. Tuttavia, nel nostro ambito il problema principale resta la disponibilità e la qualità dei dati stessi. Applicare algoritmi complessi su dati raccolti in modo approssimativo è poco utile. L’investimento nella raccolta dati è cruciale, ma spesso sottovalutato rispetto a sviluppi tecnologici più appariscenti.»

Questo framework di ricerca è replicabile in altri contesti?

«Assolutamente sì. Abbiamo appena sviluppato un modello replicabile e adattabile a diverse combinazioni di fattori ambientali e patologie. Ad esempio, possiamo applicare lo stesso approccio per studiare la relazione tra polveri sottili e patologie respiratorie, o tra inquinamento acustico e salute mentale, purché i dati siano disponibili. Una delle nostre ambizioni principali è che questo modello possa divenire un nuovo standard nel settore.»

Come vedi il futuro di questo filone di ricerca?

«Il mio obiettivo è diffondere un nuovo paradigma, soprattutto all’interno del contesto della bioingegneria: l’analisi geografica mirata alla prevenzione è tanto importante quanto la pratica clinica ed è un investimento, non un costo. Spero di contribuire a questo cambio di prospettiva, guardando alla salute come spettro continuo e non come una dicotomia tra sani e malati. Inoltre, ho la fortuna di poter insegnare e trasmettere queste idee alle nuove generazioni, che dimostrano un interesse crescente per la relazione tra ambiente e salute.»

Che consiglio daresti a chi vuole intraprendere la carriera di ricercatore?

«Consiglio di credere nella ricerca fin dall’inizio, nonostante le poche certezze. Io ho sviluppato questa consapevolezza durante il percorso, ma una maggiore convinzione iniziale mi avrebbe permesso di agire in modo più focalizzato. La passione è fondamentale: senza di essa, i sacrifici richiesti dalla ricerca diventano insostenibili.»

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