Pierluigi Cerri. Idee, forme, intenzioni

In occasione dell’inaugurazione della mostra Pierluigi Cerri. Allestimenti. Idee, forme, intenzioni, allestita negli spazi degli Archivi Storici del Politecnico di Milano al Campus Bovisa fino al 28 settembre, abbiamo incontrato il nostro alumnus e intessuto un dialogo intorno al suo pensiero architettonico e alla multidisciplinarità.

Pierluigi Cerri ritratto da Filippo Fortis
Pierluigi Cerri ritratto da Filippo Fortis

La sua attività, seppur svolta sia in ambito nazionale che internazionale, è fortemente legata al contesto milanese. Sono a Milano, infatti, gli studi con cui realizza gli innumerevoli progetti di architettura e graphic design che costellano la sua carriera: dapprima lo studio Gregotti Associati di cui è socio fondatore (1974-1998), poi lo Studio Cerri & Associati (1998-2018) e oggi Pierluigi Cerri Studio.

Lei si laurea in architettura al Politecnico, cosa l’ha spinta a scegliere questa professione?

Mi sono iscritto ad architettura perché sono stato sedotto dalle peculiarità legate al lavoro dell’architetto. Ho avuto la fortuna di conoscere e collaborare da giovanissimo con Rogers, Peressutti e Belgioioso e di fronte al forte impegno sociale che si rispecchiava in ogni aspetto del loro lavoro, mi sono trovato di fronte a una cosa nuova, inconsueta. Non avevo mai pensato fino ad allora  che un’architettura servisse a migliorare la qualità della vita degli uomini ma che, invece, venisse fruita come un’opera d’arte qualunque, decontestualizzata… Ecco: quel tipo di vita, quel modo di affrontare il progetto mi ha sedotto fin da ragazzo!

Venti progetti per il futuro del Lingotto - Lingotto, Torino
19 maggio – 24 giugno 1984
Venti progetti per il futuro del Lingotto – Lingotto, Torino
19 maggio – 24 giugno 1984
Da architetto e graphic designer come si è evoluta la sua prestigiosa carriera? Come ha intrecciato questi due ambiti nella sua ricerca progettuale?

Questo è un tema che mi piace molto: declinare naturalmente due discipline diverse, anche tre a volte, mette in evidenza il mio essere “eclettico” e quindi il detestare gli specialisti, intendendo lo specialista come qualcuno che riduce volontariamente il campo della sua visione.

Si è occupato anche di exhibit, design d’interni e progettazione navale: qual è il punto di vista dell’architetto nell’affrontare ambiti così diversi?

È tipico dell’architettura affrontare ambiti diversi. Per progettare un’architettura di qualunque tipologia, che sia una nave, un ospedale o un edificio tecnico, bisogna studiare. Studiare per capire con che cosa si ha a che fare. Progettare una nave, naturalmente, vuol dire affrontare una serie di problemi che nell’edilizia “bagnata”, ossia nel cantiere umido, non esistono, mentre sono presenti nei cantieri secchi. Non a caso, la progettazione della nave è uno degli elementi invocati da Le Corbusier in Vers une architecture , perché la nave si disegna in millimetri con tutte le conseguenze del caso e disegnare una nave vuol dire disegnare un vero e proprio edificio orizzontale.

Nel caso dell’edilizia residenziale, a mio parere il suo destino dovrebbe coinvolgere soprattutto il disegno della città: un’architettura isolata e decontestualizzata non ha senso, ma lo assume solo quando il tessuto urbano è disegnato per accoglierla. C’è un esempio bellissimo: la parte più bella di Milano secondo me è Foro Bonaparte. Se guardi ad uno ad uno gli edifici che lo compongono, non sono straordinari, ma quello che rende Foro Bonaparte un capolavoro di architettura è il suo disegno urbano.

Frank O. Gehry dal 1997 | Palazzo della Triennale, Milano
27 settembre 2009 – 10 gennaio 2010
Frank O. Gehry dal 1997 | Palazzo della Triennale, Milano
27 settembre 2009 – 10 gennaio 2010
Ha un progetto al quale è particolarmente legato? Quale e perché?

Sicuramente la sede milanese della Fondazione Arnaldo Pomodoro, che è un progetto che pare realizzato nel suo luogo d’origine, le ex officine meccaniche Riva-Calzoni. In realtà la fabbrica è stata del tutto modificata tenendo però conto dei materiali e del linguaggio con cui era stata concepita e delle nuove prestazioni a cui era chiamata a rispondere, vale a dire consentire una visione tridimensionale delle opere, mostrandole da più punti di vista in un percorso lungo il quale l’ottica di percezione degli oggetti è mutevole.

Parlando di mostre, lei ha realizzato numerosi allestimenti espositivi in cui è posta particolare attenzione alla figura del visitatore: cosa serve per coinvolgere il visitatore di una mostra?

Esiste una serie di accorgimenti. Per prima cosa è necessario che l’opera rappresentata sia posta al centro dell’attenzione, in un ambiente in cui prevale il silenzio. Poi, la sequenza delle opere deve costituire uno dei tanti racconti possibili e, infine, bisogna fare in modo che dal progetto prenda forma un luogo che possa esprimere tutto questo. In fondo l’idea del vuoto silenzioso viene dall’arte, viene da Enrico Castellani (artista contemporaneo italiano ndr), Sol LeWitt e altri.

Il silenzio può divenire un elemento costruttivo e stilistico dell’architettura.

Installazione B&B | 28° Salone del Mobile, Fiera Campionaria, Milano
settembre 1988
Installazione B&B | 28° Salone del Mobile, Fiera Campionaria, Milano
settembre 1988
Che cos’è la bellezza per lei?

Se chiedessi a un passante qualunque se quell’architettura è bella o è brutta, non saprebbe rispondere. La gran parte delle persone che si muovono per la città, in generale col naso in giù, stentano ad avere gli elementi per definire se quell’architettura è bella o brutta, a dire perché piace o perché non piace.

In generale dire se un’architettura è bella o brutta è molto complicato perché il giudizio è legato a una serie di elementi e di rapporti, come quello col disegno della città, difficili da valutare. Ci sono invece oggetti che sono talmente popolari che possono con tranquillità essere giudicati dalle persone non specialiste, come le automobili ad esempio, che sono veri oggetti d’uso.

Ha dei modelli ai quali si è ispirato nel passato?

Ce n’è uno in particolare che è Peter Behrens, soprattutto per il lavoro eclettico e coordinato svolto per l’AEG per la quale ha disegnato il marchio, curato l’intera grafica e progettato l’architettura, armonizzando tutti questi ambiti come un direttore d’orchestra e dando forma a quella che oggi chiameremmo la corporate identity dell’azienda.

Cosa pensa della architettura di oggi rispetto ai suoi inizi?

Se il progetto architettonico, la disciplina dell’architettura, oggi è in crisi, in parte è dovuto alla committenza, che non è più partecipe di questa volontà di aumentare la qualità della vita delle persone, ma in realtà ha scopi che hanno più a che fare con la finanza e con gli investimenti immobiliari.

Tutti gli elementi caratteristici del progetto architettonico come il contesto, le relazioni tra forme, il corpo, ecc. sono venuti a cadere e cadendo ne hanno messo in crisi l’intero svolgimento. Anni fa ho curato, con altri, un numero di “Rassegna” che si chiamava “I clienti di Le Corbusier” e lì ho capito che la committenza delle grandi architetture ha sempre avuto una partecipazione attiva molto forte: lavorare col signor Citrohan era lavorare con un signore che aveva le idee chiare.

Tutti questi elementi di cui stiamo parlando come lo scopo, la visione, l’impegno… valgono anche per il disegno industriale. Anche il disegno industriale è stato investito da queste défaillance e quindi invece di rispondere al tentativo di aumentare la qualità dell’abitare e della vita in generale è diventato un sistema di produzione di oggetti disegnati dal marketing.

Picasso Metamorfosi | Palazzo Reale, Milano
18 ottobre 2018 – 17 febbraio 2019
Picasso Metamorfosi | Palazzo Reale, Milano
18 ottobre 2018 – 17 febbraio 2019
Se dovesse dare un suggerimento ad un giovane appena iscritto ad Architettura oggi, cosa gli direbbe?

Prima parlavo dello scopo del progetto di architettura che è quello di “cambiare il mondo”, a cui ho sempre creduto fin da studente. Ai giovani architetti direi di continuare a tentare di cambiare il mondo, di darsi da fare per questo.

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